Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1994 del 25/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.25/01/2017),  n. 1994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27594/2015 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE,

49, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO TORTORA, rappresentato e

difeso dall’avvocato DANILO BUONGIORNO, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., C.M., C.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MERCALLI, 80, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO ROMEO, rappresentati e difesi dall’avvocato

GIOVANNI PARINI, giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3587/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

emessa il 16/09/2015 e depositata il 18/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato Giuffrida Roberto (delega Avvocato Danilo

Buongiorno), per il ricorrente, che si riporta agli scritti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. – Con sentenza resa pubblica il 18 settembre 2015, la Corte di appello di Milano dichiarava inammissibile – per genericità, in violazione dell’art. 342 c.p.c.l’impugnazione proposta da R.G. avverso la sentenza del Tribunale di Milano, sezione distaccata di Rho, che aveva rigettato la domanda dell’attore volta a sentir dichiarare la nullità/invalidità/inefficacia della clausola n. 11 del contratto di locazione intercorso tra i locatori C.M., R. e M. e la conduttrice Passion s.r.l., della quale lo stesso R. era fideiussore.

2. – Ricorre contro detta sentenza R.C. sulla base di due motivi (il secondo articolato in plurimi profili di doglianza).

Resistono con controricorso C.M., C.R. e C.M..

3. – Con il primo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 342 c.p.c. “in relazione alle erronee motivazioni con le quali la Corte d’Appello di Milano ha valutato l’inammissibilità dell’appello”.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Occorre premettere che, alla stregua del principio in diritto più volte enunciato da questa Corte (tra le altre, Cass., 10 settembre 2012, n. 15071; Cass., 28 novembre 2014, n. 25308), allorquando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio attinente all’applicazione dell’art. 342 c.p.c., in ordine alla specificità dei motivi di appello, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda.

Ciò posto, anche là dove possa ravvisarsi nella sostanza delle doglianze la deduzione del predetto vizio processuale (Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931), il ricorrente avrebbe dovuto specificare i contenuti dell’atto di appello (nonchè darne idonea localizzazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) al fine di consentire a questa Corte di apprezzare la stessa decisività delle censure mosse alla sentenza impugnata (e, invero, allo stesso modo avrebbe dovuto essere costruita la denuncia anche nel caso in cui si ritenesse che il sindacato di questa Corte abbia ad oggetto solo la motivazione della sentenza impugnata).

Il ricorrente, invece, ha omesso ogni specifica indicazione al riguardo, limitandosi a riferimenti oltremodo generici dell’atto di gravame e lamentando che di esso la Corte di appello abbia dato una lettura formalistica, senza, tuttavia, neppure misurarsi con le ragioni a fondamento della declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, che il giudice di secondo grado ha espresso in modo specifico a p. 7 della sentenza gravata in questa sede. Sicchè, la rilevata estrema geneiicità nel confezionamento della censura appare, nella specie, ancor più significativa.

4. – L’inammissibilità del motivo appena scrutinato (fondata su ragione processuale preliminare – e comunque “più liquida” – rispetto all’eccezione di giudicato sollevata dai contro ricorrenti) assorbe l’esame delle censure veicolate con il secondo articolato mezzo, riguardando queste il merito della decisione di primo grado (su cui la Corte di appello non si è pronunciata per essersi arrestata al rilievo preliminare dell’inammissibilità del gravame).

5. – Sussistendone i presupposti, ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., il ricorso può, dunque, essere avviato alla trattazione camerale, per essere ivi dichiarato inammissibile”;

che la relazione ex art. 380-bis c.p.c., ed il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte in Camera di consiglio sono stati notificati ai difensori delle parti;

che il ricorrente ha depositato memoria in prossimità di detta adunanza;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis c.p.c.;

che le considerazioni svolte con la memoria nulla aggiungono alle doglianze veicolate con il ricorso, là dove, peraltro, si assume – ma in modo inammissibile, perchè detta memoria può essere solo illustrativa e non già emendativa delle denunce prospettate con l’atto di impugnazione – che le censure in sede di appello erano “esposte in modo esteso alle pagine da 5 a 12 del medesimo scritto difensivo”, senza però dare puntuale contezza dei relativi contenuti;

che, infine, neppure giova al ricorrente fare leva sui contenuti della sentenza di appello, giacchè il giudizio di inammissibilità del gravame per difetto di specificità ivi espresso risulta essere confortato proprio in base a quanto riportato nella stessa sentenza;

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti, in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017

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