Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19939 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. I, 29/09/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 29/09/2011), n.19939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.S. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LEONE XIII 464, presso l’avvocato OLIOSI

SERGIO, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARSALA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FULCERI PAULUCCI DE

CALBOLI 60, presso l’avvocato PELLEGRINO STEFANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CAVASINO GIUSEPPE, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

M.G.;

– Intimato –

sul ricorso 29410-2005 proposto da:

M.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE XXI APRILE 11, presso l’avvocato RAINALDI

LAURA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMANO

SALVATORE ALBERTO, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI MARSALA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FULCERI PAULUCCI DE CALBOLI 60, presso

l’avvocato PELLEGRINO STEFANO, rappresentato e difeso dall’avvocato

CAVASINO GIUSEPPE, giusta procura a margine del controricorso al

ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

A.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 376/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 30/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato OLIOSI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto dell’incidentale;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

ROMANO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento

dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per, previa riunione, rigetto

dei ricorsi e condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 17.04.2002, A.S. e M.G. proponevano, dinanzi alla Corte di appello di Palermo e nei confronti del Comune di Marsala, opposizione alla stima delle indennità di espropriazione (L. 17.078.400) e di occupazione legittima del terreno in loro proprietà, (esteso mq 53.370 circa pò; accertati in 53.452 di cui 27.441 a cava di 15 mt di profondità), sito in territorio di (OMISSIS), in catasto al F.266, p.lle 168 e 169 (su cui avrebbe dovuto essere realizzata una discarica).

Deducevano:

che con decreto sindacale n. 413 del 31.05.2000, erano state determinate ed offerte l’indennità provvisoria di espropriazione (L. 17.078.400) e di occupazione temporanea del loro fondo nonchè l’indennità di soprassuolo (L. 84.557.500), che era stata da loro accettata a differenza delle prime;

che l’inadeguata stima provvisoria delle indennità definitive di espropriazione e di occupazione temporanea era stata in via definitiva confermata dalla Competente Commissione provinciale alla stregua del valore agricolo del loro terreno, incluso in zona E2/verde agevolato, con indice di edificabilità pari a 0,10 mc/mq e vicino a zone edificabili nonchè a pubbliche attrezzature;

– che con decreto n. 437 del 25.07.2001 pronunciato dal Commissario straordinario del Comune di Marsala, il loro terreno era stato definitivamente espropriato;

– che il valore del bene occupato ed ablato andava determinato a norma della L. n. 2359 del 1865, art. 39 tenendo conto della cava di conci di tufo ivi esistente (limitrofa all’autoparco comunale, in zona già variata e destinata ad altri insediamenti industriali e di servizi, situata a diretto confine con il mercato ittico all’ingrosso, area questa che nel 1997, in sede di esproprio, era stata già stimata L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis in base a variante generale a servizi).

Con sentenza dell’11-30.03.2005, l’adita Corte di appello di Palermo, nel contraddittorio delle parti, respingeva l’opposizione, compensando le spese processuali e ponendo a carico degli opponenti quelle della CTU. La Corte riteneva:

– che, considerata la rigida ripartizione dei suoli introdotta dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e vista l’acquisita certificazione urbanistica, il terreno degli opponenti dovesse essere qualificato come agricolo, essendo risultato incluso in zona E2 – verde agevolato, con esclusione di alcun genere di attività edificatoria neanche in concreto attuabile, attesa la particolare conformazione dei luoghi ed altresì i vincoli di rispetto dovuti alla vicinanza della pubblica via;

che, conseguentemente, la giusta indennità di espropriazione doveva essere commisurata al valore agricolo medio dell’area, senza che potesse tenersi conto della sua invocata edificabilità virtuale alla stregua di parametri diversi da quelli superiormente indicati (come la vicinanza ad importanti insediamenti pubblici e la possibilità di realizzare in loco fabbricati rurali, destinati alla coltivazione del fondo);

che non poteva nemmeno tenersi conto della cava esistente sui luoghi, su una estensione pari a mq 27.441, risultata ormai inattiva, per l’esaurimento di ogni sua capacità estrattiva, come evidenziato nella CTU;

– che non essendo stato contestato il valore agricolo del fondo come determinato dall’Amministrazione, l’opposizione doveva essere respinta.

Contro questa sentenza l’ A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e notificato sia al Comune di Marsala, che ha resistito con controricorso, e sia al M. che ha proposto ricorso incidentale notificato all’ A. ed al Comune, che vi ha resistito con controricorso. L’ A. ed il M. hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve essere preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi principale ed incidentale, proposti avverso la medesima sentenza. A sostegno del ricorso principale l’ A. denunzia:

1. “Art. 360 c.p.c., n. 3 – L. n. 359 del 1992, art. 5 bis – leggi urbanistiche – L. n. 865 del 1971, artt. 16 e 20 – L. n. 10 del 1977, artt. 14 e 19 – violazione o falsa applicazione di norme e principi di diritto”.

Censura l’applicata regola dicotomica, segnatamente con riguardo al caso in cui la qualificazione urbanistica del fondo come agricolo sia, come nella specie, risalente e non aggiornata in aderenza alle sopravvenute modifiche oggettive dei luoghi, altrimenti, a suo parere, dovendosi fare riferimento alle caratteristiche in fatto presentate dal bene, onde assicurare il serio ristoro. Sostiene:

che i giudici di merito hanno ricondotto l’edificabilità legale solo alla destinazione ad edilizia residenziale abitativa;

che, invece, si dovevano considerare tutte le possibilità legali ed effettive di edificazione, ossia qualsiasi possibilità costruttiva prevista dagli strumenti urbanistici, ivi compresa quella agricola, quand’anche di ridotto indice;

che non si è tenuto conto del fatto che le particelle occupate ed espropriate nn. 168 e 169, ricadevano in zona E/2 verde agevolato con indice di fabbricabilità 0,10 mc/mq secondo il Piano Comprensionale n 1 del Comune di Marsala, approvato con DPRS in data 29.11.1977 n. 133/A, e parte di esse, per lotto di estensione pari a mq 400, in zona edificabile a scopo residenziale con indice di edificazione 0,03 mc/mq;

– che si doveva tenere conto della sorte variata delle aree omogenee connesse, quale quella del confinante mercato ittico all’ingrosso approvato il 28.09.1995 e da realizzare su terreno espropriato il 28.02.1997 e, quindi, ritenere che la complessiva area fosse stata già modificata in zona industriale e servizi pubblici prima che iniziasse l’iter della discarica il 17.11.1998 e ciò con la localizzazione e l’approvazione del progetto del mercato ittico, costituente variante ai dati ed alle classificazioni precedenti dello strumento urbanistico.

2. “Art. 360 c.p.c., n. 3 – L. n. 359 del 1992, art. 5 bis – L. n. 865 del 1971, art. 16 – artt. 3, 42 Cost., comma 3, art. 53 Cost. – violazione o falsa applicazione di norme e principi di diritto”.

Sostiene che la decisione si pone in contrasto con i principi espressi dalla Corte Costituzionale, inclusi quelli affermati nella sentenza n. 3 del 1980, che si sono illegittimamente pretermesse le caratteristiche concrete del suo terreno e la sua valenza economica, quand’anche di natura agricola, con conseguente irrazionale disparità di trattamento.

3. “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia – errato apprezzamento delle risultanze istruttorie”.

Censura le argomentazioni esposte dai giudici di merito a sostegno dell’avversata quantificazione delle indennità, attuata avvalendosi pure di quanto emerso dalla disposta CTU, sostenendo che si è omesso di considerare e valutare l’elemento costituito dal confinante c.d.

mercato ittico all’ingrosso di Marsala ed il fatto che in sede di esproprio ai terreni ad esso adibiti fosse stata attribuita vocazione edificatoria, con ingiustificata e inspiegata diversità di trattamento, che non è stato chiarito il perchè il suo terreno non fosse suscettibile di alcun genere di attività edificatoria neppure in concreto, quando invece, secondo l’esperto d’ufficio, si sarebbe potuto realizzare un edificio con cubatura sino a 5.345 mc, ed ancora che non è stata adeguatamente motivata la conclusione circa la non utilizzabilità ai fini valutativi della zona interessata dalla cava estrattiva di tufo.

A sostegno del ricorso incidentale il M. denunzia:

1. “Violazione e falsa applicazione della L. 2 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis Violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 3 Cost..

Motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

Censura il rigetto della svolta opposizione, dolendosi che i giudici di merito abbiano disatteso le indicazioni del CTU e si siano limitati ad applicare i valori tabellari stabiliti per l’esproprio dei suoli agricoli. Sostiene che non si può escludere, altrimenti incorrendo nella violazione degli artt. 42 e 3 Cost. e negando il serio ristoro, qualsiasi valenza all’indice di fabbricazione attribuito al suo terreno, urbanisticamente classificato quale area E/2 “verde agevolato”, indice pari a 0,10 mc/mq e di tipo solo quantitativo, che seppur di consistenza limitata, superava quello di 0,03 ordinariamente previsto per le zone prettamente agricole classificate E/1, che il terreno dal punto di vista legale era senz’altro edificabile, anche prescindendo dalla tipologia di costruzioni realizzabili, peraltro nella specie d’indole abitativa.

2. “Motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria (art. 360 c.p.c., n 5)” Censura per vizi motivazionali la riconduzione del suo terreno all’ambito di quelli inedificabili e segnatamente l’esclusione di alcun genere di attività edificatoria, in contrasto con l’esito dell’indagine compiuta dal CTU, secondo cui ricorreva l’edificabilità legale ed in concreto la possibilità di realizzare un edificio abitativo, ciò avendo anche considerato le dovute distanze dai confini e dalle strade e data l’ampia estensione del terreno interessato (mq 53.452).

3. “Omessa motivazione (art. 360 c.p.c., n 5)”.

Si duole dell’assenza di argomentazioni inerenti alla diversità dei criteri seguiti dal Comune espropriante in rapporto all’area, adiacente alla propria, acquisita pochi anni prima per adibirla a mercato ittico e valutata come area edificabile, con ricorso ai più favorevoli criteri previsti dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis nonostante avesse identica destinazione urbanistica E/2.

4. ” Violazione e falsa applicazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, Motivazione insufficiente ed illogica (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

Si duole che ai fini indennitari non sia stata attribuita alcuna valenza alla cava di tufo, ritenuta inattiva ed, invece, ancora potenzialmente utilizzabile a fini estrattivi, sicchè per essa si sarebbe dovuto applicare il criterio contemplato dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39. Tanto premesso, la Corte osserva che la qualificazione dei terreni dei ricorrenti come non edificabile compiuta dalla sentenza impugnata, alla luce della destinazione urbanistca E/2 “verde agevolato” ad essi impressa, era e rimane ineccepibile, in quanto assolutamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte (art. 360 bis c.p.c., n. 1), secondo cui: 1) un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale: con conseguente irrilevanza della situazione urbanistica precedente al periodo in questione, nonchè di quella successiva a tale epoca (Cass. 3146/2006; 3838/2004;

10570/2003); 2) le possibilità legali di edificazione vanno quindi escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale,la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia. (Da ultimo: Cass. 665/2010:400/2010;

21396/2009; 21095/2009; 17995/2009);

3) La previsione di un pur limitato indice di fabbricabilità per un’area destinata a uso pubblico non vale ad attribuirle la natura edificatoria, essendo dirimente la natura pubblica e non residenziale delle opere necessarie all’attuazione della previsione urbanistica (Cass. 404/2010; 17995/2009; 16537/2009; 24585/2006).

4) E non ha rilevanza, infine, neppure l’avvenuta costruzione prima o in concomitanza o in conseguenza dell’espropriazione, di edifici pubblici (mercati all’ingrosso o altro), in quanto “l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica, ove questa sia inderogabilmente rimessa all’iniziativa pubblica, non può essere assimilata al concetto d’edificazione che la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, prende in considerazione agli effetti indennitari e risarcitori, da intendere come estrinsecazione dello ivs aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area: restando escluso che la previsione d’interventi unicamente finalizzati alla realizzazione dello scopo pubblico per cui si rende necessario l’esproprio conferisca natura fabbricativa ai terreni, attenendo al diverso concetto d’edificabilità pubblica, che discende dal sistema stesso della legge urbanistica, in cui l’edilizia esplicabile per edifici e impianti ha una disciplina diversa dai limiti posti all’esplicazione delle facoltà dominicali, com’è desumibile dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 quater (Cass. 2605/2010; 21095/2009;

16537/2009).

Il Collegio deve ricordare per completezza che il principio giurisprudenziale, invocato dai ricorrenti, per cui l’edificabilità non comprende solo quella residenziale, ma anche tutte le trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica ed economica di edificazione, non vale ad attribuire natura edificatoria ad aree in relazione alle quali Io strumento urbanistico esclude tale qualità, ma solo ad enucleare le possibili tipologie in cui detta destinazione si traduce, allorchè da esso riconosciuta e consentita, nonchè ad evidenziare la diversa edificabilità di fatto, e quindi il valore degli immobili in funzione del tipo di costruzione consentita (Cass. 29768/2008). La confermata destinazione non edificatoria del terreno non comporta tuttavia che nella specie l’indennità debba essere calcolata con il meccanismo dei VAM di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16 in quanto la recente sentenza n. 181 del 10 giugno 2011, resa dalla Corte Costituzionale, senza incidere in alcun modo sulla classificazione dicotomica dei suoli e sul principio dell’edificabilità legale, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 117 cost., comma 1, in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e con l’art. 42 Cost., comma 3, il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5- bis, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con la L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 15, comma 1, secondo periodo, e art. 16, 5 e 6, come sostituiti dalla L. 28 gennaio, n. 10, art. 14”.

La censurata ed abrogata normativa prevedeva che l’indennità di espropriazione per le aree agricole e per le aree non suscettibili di classificazione edificatoria fosse commisurata ad un valore – quello agricolo medio della coltura in atto o di quella più redditizia nella regione agraria di appartenenza dell’area da espropriare, annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali – che prescindeva dall’area oggetto del procedimento espropriativo ed ignorava ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restavano così trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l’acqua, l’energia elettrica, l’esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant’altro può incidere sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, aveva un carattere inevitabilmente astratto che eludeva il ragionevole legame con il valore di mercato del bene ablato, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il serio ristoro richiesto dalla consolidata giurisprudenza costituzionale.

Fermo restando che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato e che non sempre è garantita dalla CEDU una riparazione integrale, l’esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell’indennizzo espropriati vo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest’ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore, in guisa da garantire il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui.

Per effetto, inoltre della dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con la L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 15, comma 1, secondo periodo, e art. 16, commi 5 e 6, come sostituiti dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14 comporta, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 la dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 40, commi 2 e 3, recante la nuova normativa in materia di espropriazione. Detta norma adotta, ai fini della determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area non edificabile, il criterio del valore agricolo medio del tipo di coltura prevalente nella zona o in atto nell’area da espropriare e, quindi, contiene una disciplina che riproduce quella già dichiarata in contrasto con la Costituzione. Peraltro, tale declaratoria non può essere estesa anche al comma 1 del citato art. 40, il quale, in relazione all’esproprio di un’area non edificabile ma coltivata (il caso di area non coltivata è previsto dal comma 2), stabilisce che l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola. La mancata previsione del valore agricolo medio e il riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo consentono un’interpretazione della norma costituzionalmente orientata, comunque demandata ai giudici ordinari.

Pertanto, al fine d’individuare la disciplina applicabile dopo la suddetta declaratoria di incostituzionalità, in mancanza (allo stato) di specifiche disposizioni legislative al riguardo, questa Corte deve ricorrere ancora una volta (come nel dopo sentenze 348 e 349/07 della Corte Costituzionale) al parametro del valore venale- prezzo di mercato dell’immobile di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39. Il quale, tuttavia, non significa affatto, per quanto già detto circa la permanenza della dicotomia legale tra suoli edificabili e non, che detto prezzo potrà essere calcolato con il criterio dell’edificabilità di fatto o che le aree non edificabili potranno essere equiparate a quelle edificabili, ma che dovrà essere applicata la regola già elaborata dalla Cassazione (anche a sezioni unite) da altre un decennio per l’occupazione espropriativa, la quale “impone di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, il valore effettivo del suolo in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E nel contempo obbligando il giudice di merito ad accertarne attraverso opportune ed ormai specializzate indagini tecniche l’effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc), utilizzazioni beninteso assentite dalla normativa vigente anche con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

Sulla decisione dei due ricorsi, che consentono esame congiunto e che involgono questioni inerenti alla qualità del terreno espropriato ed alla congruità dei determinati indennizzi, dunque, necessariamente influisce detta sentenza n. 181 del 10 giugno 2011 della Corte Costituzionale e, quindi, al fine di determinare la giusta indennità per i terreni non edificabili, quali quelli oggetto della presente controversia, una volta espunto il parametro di calcolo incentrato sui VAM, deve essere applicata la regola la quale “impone di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio:perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare se del caso attraverso rigorose indagini tecniche, che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative,chioschi per la vendita di prodotti ecc.), utilizzazioni beninteso assentite dalla normativa vigente anche con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative”.

Conclusivamente, decidendo sui riuniti ricorsi li accoglie nei suddetti sensi, assorbite le residue censure, e conseguentemente cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e provvedendo sugli stessi li accoglie nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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