Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19938 del 05/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/10/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 05/10/2016), n.19938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4974-2015 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 80, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO

PROSPERINI, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS); elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’ AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

– ricorrenti incidentali –

avverso il decreto n. 939/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 09/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’08/06/2016 dal Consigliere Dott. Relatore FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Prosperini Alberto, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 12.12.2013 G.F. adiva la Corte d’appello di Perugia per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento d’un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 in relazione alla durata irragionevole di una causa previdenziale, instaurata in primo grado il 29.4.2005 e definita in appello con sentenza pubblicata il 4.7.2012. Il consigliere designato con decreto del 31.1.2014 liquidava in favore del ricorrente l’importo di Euro 500,00, ritenendo la durata complessiva eccedente pari un anno e un mese.

L’opposizione ex art. 5-ter legge cit. proposta dal ricorrente, che deduceva una maggior durata irragionevole e lamentava l’esiguità delle spese liquidate, era respinta dalla medesima Corte territoriale con decreto del 9.6.2014. Osservava quest’ultima, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che la durata non ragionevole del processo doveva essere determinata con riferimento all’intera durata del giudizio e non frazionata in ragione delle sue singole fasi. Quanto alle spese, la Corte d’appello rilevava che la relativa liquidazione doveva essere abbattuta del 50%, ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, art. 9 attesa la particolare semplicità della causa.

Per la cassazione di tale decreto G.F. propone ricorso affidato a due motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia, che propone, altresì, ricorso incidentale in base ad un motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Va esaminato con priorità il ricorso incidentale, in quanto riguarda una questione pregiudiziale di rito – la decadenza ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 per l’assunta inapplicabilità della sospensione feriale al relativo termine – che non ha formato oggetto di decisione nè espressa nè implicita da parte del giudice di merito. Richiamata Cass. S.U. n. 16783/12, che ha escluso il decorso del termine di prescrizione del diritto all’equa riparazione, in quanto impedito dal termine di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 la difesa erariale deduce che da tale premessa non può che discendere, sul piano logico-sistematico, l’inapplicabilità di istituti che, come la sospensione dei termini del periodo feriale, sono propri dei termini processuali.

1.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

Come più volte affermato da questa Corte, poichè tra i termini processuali per i quali la L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1,prevede la sospensione nel periodo feriale vanno compresi non soltanto i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per far valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (Cass. n. 5895/09; in senso conforme si sono espresse anche Cass. n. 25179/11 e Cass. n. 2153/10, non massimata).

Da tale giurisprudenza ormai consolidatasi non v’è ragione alcuna per discostarsi, atteso che il motivo di censura non svolge alcuna valida contro-argomentazione al riguardo.

Nè tanto meno appare pertinente il richiamo a Cass. S.U. n. 16783/12, che ha escluso la decorrenza del termine ordinario di prescrizione per effetto dell’espressa previsione del termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda d’equa riparazione, ma che non per questo consente di dedurre alcunchè sulla diversa e del tutto autonoma questione in oggetto.

2. – Il primo motivo del ricorso principale espone la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Assume parte ricorrente che l’incontestabile indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, in base al quale la violazione del termine di durata ragionevole del processo va apprezzata con riguardo all’intera sua durata e non alle singole sue fasi, essendosi formato prima delle modifiche apportate alla L. n. 89 del 2001dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, per effetto del nuovo comma 2-bis dell’art. 2 risulta applicabile solo ove il giudizio presupposto si sia svolto in tre gradi di giudizio, diversamente dovendosi applicare il termine di ciascuna fase, determinato in maniera fissa da detta norma.

2.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

I commi 2-bis e 2-ter aggiunti alla L. n. 89 del 2001, art. 2 dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), n. 3) convertito in L. n. 134 del 2012, dispongono, rispettivamente, che (1) si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 cit. art. se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado e di un anno nel giudizio di legittimità; e che (2) si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni.

Orbene, se la tesi di parte ricorrente avesse fondamento sarebbe del tutto inutile la previsione d’un termine massimo di durata ragionevole dell’intero giudizio. Per contro, è altrettanto chiaro che il comma 2-ter positivizza, recependolo, il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, secondo cui pur essendo possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest’ultimo si sia articolato in vari gradi e fasi, così come accade nell’ipotesi in cui il giudizio si svolga in primo grado, in appello, in cassazione ed in sede di rinvio, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali occorre – secondo quanto già enunciato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo – avere riguardo all’intero svolgimento del processo medesimo, dall’introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioè addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva del processo anzidetto, alla maniera in cui si è concretamente articolato (per gradi e fasi appunto), così da sommare globalmente tutte le durate, atteso che queste ineriscono all’unico processo da considerare (Cass. nn. 28864/05, 8717/06 e 18720/07).

Ragioni di opportunità sistematica sono verosimilmente alla base di tale disposizione espressa. Modificato l’art. 4 sulla condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione, il legislatore ha inteso evitare che l’espressa specificazione di cui all’art. 2, comma 2 bis sulla durata standard di ciascun grado o di ciascuna fase del processo, ridesse fiato all’interpretazione opposta a quella sopra richiamata e legittimasse il dubbio di un’aporia indotta dalle predette due disposizioni, che ha raccordato tra loro, appunto, tramite lo stesso art. 2, comma 2 bis per evitarne letture contraddittorie.

3. – Il secondo motivo censura la violazione o falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012, art. 9 e art. 4, comma 2, D.L. n. 1 del 2012, art. 9 convertito in L. n. 27 del 2012, art. 91 c.p.c. e L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, in quanto la norma regolamentare del D.M. n. 140 del 2012, art. 9 attribuisce al giudice una facoltà – quella di dimezzare il compenso nei procedimenti d’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 – non prevista dal D.L. n. 1 del 2012, convertito in L. n. 27 del 2012, che essendo fonte primaria deve prevalere sul decreto ministeriale.

3.1. – Anche tale motivo non ha pregio.

Il D.L. n. 1 del 2012, art. 9 come sostituito dalla Legge di conversione n. 27 del 2012, non contiene alcuna disposizione di dettaglio, poichè rimanda alla fonte regolamentare l’individuazione dei parametri per stabilire il compenso del professionista. Nè del resto detto D.L. avrebbe potuto contenere specifiche previsioni in materia, essendo questa di competenza ministeriale (tant’è che il D.M. n. 140 del 2012 è stato emesso ai sensi della L. n. 400 del 1988, art. 17,3comma). Pertanto, non di silenzio significativo si tratta, ma di normale e integrale rinvio alla potestà regolamentare.

4. – In conclusione entrambi i ricorsi vanno respinti e le spese compensate, in ragione della soccombenza reciproca.

5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e compensa interamente le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2016

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