Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19936 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 23/09/2020), n.19936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3389-2013 proposto da:

SCOGLIO DELLA GALEA SRL, S.A.G., P.T.,

P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI 9-11, presso lo

studio dell’avvocato LIVIA SALVINI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GABRIELE ESCALAR giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 114/2012 della COMM. TRIB. REG. di CATANZARO,

depositata il 19/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MARIA ARMONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RITA SANLORENZO che ha concluso per l’estinzione parziale per quanto

riguarda la posizione della Società e rigetto per quanto riguarda

la posizione dei soci;

udito per i ricorrenti l’Avvocato TODINI per delega dell’Avvocato

SALVINI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato DE BONIS che si riporta agli

atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Scoglio della Galea srl (già Residence Hotel Scoglio della Galea s.a.s. di P.T. & C., d’ora in avanti RHSG), nonchè i signori P.T., S.A.G. e P.S., in qualità di ex soci della RHSG, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 114/01/12, depositata il 19 giugno 2012, che ha confermato la sentenza di primo grado, con cui era stato rigettato l’originario ricorso dei contribuenti avverso un avviso di accertamento IVA relativo all’anno d’imposta 2005.

2. Il ricorso è affidato, per tutti i ricorrenti, a dodici motivi.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

4. Con memoria depositata il 6 febbraio 2020, la difesa di parte ricorrente, oltre a reiterare le difese contenute nel ricorso in vista dell’udienza di discussione, ha chiesto dichiararsi la parziale cessazione della materia del contendere, sul presupposto che, nelle more del giudizio di legittimità, una delle parti ricorrenti, la RHSG, avesse presentato due distinte domande di definizione delle liti pendenti, l’una ai sensi del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, ex art. 6, conv., con modif., dalla L. l dicembre 2016, n. 225, l’altra ai sensi del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, ex art. 11, conv., con modif., dalla L. 21 giugno 2017, n. 96, e avesse interamente pagato quanto dovuto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, va dichiarato estinto il giudizio nei confronti della RHSG, avendo la stessa integralmente definito i carichi tributari oggetto del presente giudizio, dapprima mediante adesione alla definizione agevolata ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, ex art. 6, successivamente mediante definizione ai sensi del D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11. In entrambi i casi, la società ha interamente pagato le rate dovute sulla base di quanto determinato dalla concessionaria per la riscossione e ha ottenuto i corrispondenti provvedimenti di sgravio.

2. Resta aperta la posizione dei soci, i quali hanno insistito per l’accoglimento del ricorso, sulla base di motivi comuni a quelli della RHSG.

3. Con il primo motivo, parte ricorrente prospetta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa valutazione, quali fatti decisivi per il giudizio, delle sentenze emesse in sede penale e amministrativa favorevoli alla contribuente e passate in giudicato.

4. Con il secondo motivo, parte ricorrente prospetta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere posto a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti.

5. Con il terzo motivo, parte ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

6. Con il quarto motivo, parte ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4.

7. Con il quinto motivo, parte ricorrente prospetta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione in ordine alla natura, lecita o meno, dei proventi sottoposti a tassazione, ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4.

8. Con il sesto motivo, parte ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere pronunciato fuori dai limiti della domanda, applicando ai fatti di causa la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis.

9. Con il settimo motivo, parte ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 109 e 19.

10. Con l’ottavo motivo, parte ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del divieto di doppia imposizione di cui all’art. 163 TUIR e dell’art. 67 del D.P.R. n. 600 del 1973, nonchè dell’art. 53 Cost.

11. Con il nono motivo, parte ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 88,109,110 TUIR in relazione alla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, nonchè la violazione del divieto di doppia imposizione di cui all’art. 163 TUIR e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, in relazione all’integrale concorso alla formazione del reddito, come sopravvenienza attiva, del contributo ex L. n. 488 del 1992, rispetto alla tassazione “pro quota” del medesimo a titolo di risconto passivo.

12. Con il decimo motivo, parte ricorrente prospetta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c..

13. Con l’undicesimo motivo, parte ricorrente prospetta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio.

14. Con il dodicesimo motivo, parte ricorrente prospetta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

15. Nell’esame dei motivi di ricorso sarà seguita la partizione prospettata da parte ricorrente, che li ha suddivisi in due gruppi: al primo gruppo appartengono i primi nove motivi, concernenti il recupero a tassazione dei contributi ex L. n. 488 dei 1992; del secondo gruppo fanno parte i motivi dal decimo al dodicesimo, che riguardano la omessa dichiarazione dei ricavi.

I motivi concernenti il recupero a tassazione dei contributi ex L. n. 488 del 1992.

16. L’esame del primo gruppo di motivi richiede un’illustrazione preliminare sia della procedura di accertamento, sia del percorso argomentativo della CTR.

17. La RHSG è stata ammessa nel 2001 a percepire un contributo rientrante nell’area di applicazione della L. n. 488 del 1992 per gli investimenti nel settore turistico-alberghiero in aree svantaggiate. L’ammontare complessivo del contributo era pari a Euro 907.001,61, da erogarsi in tre quote annuali di Euro 302.333,87.

18. Rispetto alle prime due quote erogate, ricevute dalla RHSG nel 2002 e nel 2005, l’Amministrazione ha ritenuto, con giudizio condiviso dalla CTR, che l’erogazione del contributo fosse avvenuta in conseguenza di una condotta illecita tenuta dalla società, consistente nell’utilizzazione di fatture inesistenti emesse da due ditte di lavori edili.

19. L’Amministrazione ne ha tratto una prima conclusione, vale a dire che ci si trovasse davanti a un reddito da provento illecito, soggetto a tassazione ai sensi della L. n. 537 del 1993, ex art. 14, comma 4.

20. Ne sono scaturite ulteriori conseguenze, che possono essere così sintetizzate: a) il contributo è stato considerato una sopravvenienza attiva e, come tale, è stato assoggettato a imposizione come reddito d’impresa nell’anno di erogazione delle singole rate, secondo il criterio di cassa; b) i costi sostenuti per realizzare i lavori sono stati considerati indeducibili; c) l’IVA riportata nelle fatture per i lavori è stata considerata indetraibile.

21. Rispetto a tutte queste voci, l’Agenzia delle entrate ha emesso un avviso di accertamento per il recupero a tassazione.

22. La CTR ha reputato legittimo tale avviso di accertamento, secondo il seguente percorso argomentativo.

23. Dapprima, la CTR ha illustrato la giurisprudenza che, in caso di operazioni inesistenti, giustificherebbe da parte dell’Amministrazione finanziaria il disconoscimento dei costi sostenuti e la tassazione dei ricavi, attraverso un accertamento di tipo analitico; quindi, è passata a esaminare le risultanze di tale accertamento, ritenendo provato (alla luce delle risultanze del p.v.c.) che le fatture emesse nei confronti della RHSG provenissero da ditte prive di mezzi e personale per l’esecuzione dei lavori; la CTR ha poi ritenuto che l’accertamento svolto nel giudizio penale e nel giudizio contabile non fosse esportabile nel giudizio tributario, governato da altre regole probatorie.

24. Da tali premesse, pur in modo a tratti ondivago, la CTR ha tratto la conclusione che si trattasse di operazioni fittizie, perchè soggettivamente inesistenti, e che dunque il contributo ricevuto per la realizzazione di tali lavori costituisse un provento illecito.

25. Che tale sia la “ratio decidendi” della sentenza lo si ricava da due passaggi: da quello in cui la CTR rimprovera alla contribuente di non aver confutato i fatti accertati nel p.v.c. della Guardia di finanza, vale a dire lo specifico accertamento delle carenze di forza lavoro e mezzi delle ditte emittenti delle fatture (pay. 9, terzo capoverso) e dalla frase contenuta a pag. 10, terzo capoverso, in cui la CTR, dopo aver ribadito l’autonomia del giudizio tributario rispetto al giudizio penale di assoluzione, ha affermato: “poichè è conclamata dalla espressa previsione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, la penale rilevanza del fatto integrante l’inesistenza “soggettiva” delle fatture, sussiste il presupposto indefettibile ai fini dell’applicazione dell’art. 14, comma 4-bis, alla specie di causa”.

26. Il percorso argomentativo appena illustrato va ora passato al vaglio delle censure mosse da parte ricorrente.

27. Il primo motivo è infondato.

28. La CTR ha basato il rigetto dell’appello proposto dalla contribuente sull’accertamento del fatto che le operazioni erano (soggettivamente) inesistenti e sul fatto che le prove raccolte nel giudizio tributario fossero sufficienti a fondare tale accertamento, con espressa esclusione dell’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione.

29. Questo non solo appare conforme alla giurisprudenza di questa S.C. in tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio tributario (v. tra le tante Cass. 23/5/2012, n. 8129; Cass. 28/6/2017, n. 16262; Cass. 24/11/2017, n. 28174), ma rende anche impossibile assecondare parte ricorrente nella sua prima censura, fondata sulla presunta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vecchio testo.

30. Al riguardo, va ricordato che anche quando, come nella specie, debba trovare applicazione il vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel regime anteriore cioè al D.L. n. 83 del 2012, il vizio di omessa motivazione presuppone: a) che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico; b) che tale fatto storico, ove considerato, avrebbe comportato con grado di certezza una diversa decisione (v. tra le altre Cass. 22/1/2018, n. 1539; Cass. 9/8/2016, n. 16719).

31. Nella specie, mancano entrambi questi presupposti.

32. Le sentenze emesse in altri giudizi, favorevoli ai ricorrenti e passate in giudicato, ancorchè riguardate come “fatti”, sono state infatti prese in considerazione dalla CTR e comunque non si profilano come decisive ai fini della decisione della controversia. La CTR ha espressamente affermato che tali decisioni sono fondate su regole probatorie diverse da quelle che presiedono all’accertamento tipico e autonomo del giudizio tributario, accertamento che nella specie è stato svolto e che dunque mai potrebbe essere sostituito da quello compiuto in un diverso giudizio.

33. Per analoghe ragioni, anche il secondo e il terzo motivo devono considerarsi infondati.

34. E’ vero che il giudice tributario deve verificare la rilevanza anche delle prove raccolte nel giudizio penale, purchè ritualmente acquisite agli atti del processo tributario, ma, proprio in forza dell’autonomia di cui egli gode, ben può ritenerle (anche implicitamente) inidonee a fondare l’accertamento tributario, perchè superate da altri elementi di prova, raccolti invece nel giudizio tributario secondo regole a loro volta autonome e diverse rispetto a quelle proprie del giudizio penale.

35. Nel caso di specie, la CTR ha compiuto sia un’opera di svalutazione delle prove raccolte dal giudice penale, così mostrando però di averle esaminate, sia un’opera di valorizzazione delle prove raccolte nel giudizio tributario.

36. In tal modo, la CTR si è sottratta alla seconda censura, poichè, com’è noto e come è stato ripetutamente ribadito da questa S.C. (v. da ultimo Cass. 28/2/2018, n. 4699), la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili, nella specie entrambi assenti, e cioè qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale.

37. Inoltre, la CTR si è sottratta anche alla terza censura, perchè ha espressamente pronunciato sul motivo d’appello concernente la presunta mancata considerazione degli esiti dei giudizi extra tributari.

38. Con il quarto motivo, viene denunciata la violazione e la falsa applicazione del cit. art. 14, comma 4, sotto cinque diversi profili, e precisamente: i. insussistenza di un illecito di qualsivoglia natura; ii. indebito spostamento sul contribuente dell’onere della prova in ordine alla sussistenza dell’illecito di fatturazioni inesistenti; iii. indebita ripresa a tassazione dell’intero contributo statale, nonostante che le fatture per operazioni inesistenti fossero solo una parte di quelle emesse; iv. assenza di collegamento tra l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e la percezione del provento recuperato a tassazione; v. non coincidenza del provento recuperato a tassazione con il profitto del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

39. Il motivo si rivela in parte inammissibile, in parte infondato.

40. Quanto ai primi due profili, con essi non viene in realtà denunciata una violazione dell’art. 14, comma 4, ma sollecitata una inammissibile revisione del giudizio espresso dal giudice di merito.

41. Infatti, come accennato in premessa, la CTR ha accertato, con i mezzi probatori propri del giudice tributario, la sussistenza di un illecito. Tanto basta a far ritenere integrato il primo presupposto applicativo dell’art. 14, comma 4 – che è appunto la commissione di un illecito civile, penale o amministrativo – e a rendere non più sindacabile in sede di legittimità l’accertamento compiuto, salvi gli eventuali difetti di motivazione, che sono stati fatti valere con i primi tre motivi, ma sono stati giudicati infondati. Quanto all’onere della prova, è noto che le norme che lo prevedono costituiscono una regola di giudizio che serve a distribuire tra le parti le conseguenze della mancata prova dei fatti, con la conseguenza che essa può dirsi violata soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (v. per tutte Cassa 29/05/2018, n. 13395). Ne consegue che la sua violazione è per definizione esclusa allorchè il giudice non si sia arrestato di fronte alla mancata prova dei fatti da parte di chi ne era, a suo avviso, onerato, ma abbia invece vagliato le prove raccolte, come è avvenuto nella specie.

42. Il terzo profilo riguarda in effetti l’applicazione dell’art. 14, comma 4, ma è infondato.

43. Nello stabilire che “nelle categorie di reddito di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo”, la disposizione in esame richiede bensì un nesso causale tra l’illecito e il provento, ma, una volta che tale nesso sia dimostrato, secondo il criterio della regolarità causale, non fa distinzioni di tipo quantitativo e impone di sottoporre a tassazione l’intero provento.

44. Sotto il quarto profilo, il motivo è inammissibile.

45. Come appena detto, l’art. 14, comma 4, richiede che vi sia un collegamento causale tra l’illecito e il provento e tale affermazione è stata condivisa dalla CTR, che lo ha di fatto ravvisato, avendo ritenuto “indebita la percezione del contributo ex lege n. 488 del 1992 percepito nel 2005 pari ad Euro 302.333,83 in conseguenza di una condotta illecita posta in essere dalla società “Residence Hotel Scoglio della Galea Sas”, per aver utilizzato fatture passive inesistenti”. Ciò è sufficiente a trasformare la censura in una inammissibile sollecitazione a rivedere il giudizio di merito espresso dalla CTR.

46. Sotto il quinto profilo, il motivo è infondato, poichè il concetto di provento di attività illecita contenuto nell’art. 14, comma 4, non coincide con quello di profitto del reato, se non altro perchè tale disposizione considera provento tassabile anche quello riveniente da illeciti civili o amministrativi. La nozione di provento presupposta dall’art. 14, comma 4, è più ampia e comprende, alle condizioni che saranno più avanti specificate, qualunque introito derivante da un’attività astrattamente produttiva di reddito. La circostanza che il contributo statale non sia il profitto immediato del reato di false fatturazioni è dunque irrilevante e non può condurre a considerare violato o erroneamente applicato l’art. 14, comma 4.

47. Il quinto motivo è infondato, poichè la CTR, pur in termini sintetici, ha motivato sulle ragioni che l’hanno indotta a considerare provento illecito il contributo statale, se non altro a pag. 10 della motivazione, laddove ha fatto la già citata affermazione per cui la percezione del contributo è “conseguenza di una condotta illecita posta in essere dalla società “Residence Hotel Scoglio della Galea SaS per aver utilizzato fatture passive inesistenti”. La CTR ha mostrato cioè di ritenere che basti un qualunque collegamento causale tra attività illecita e provento per rendere anche quest’ultimo a sua volta illecito e giustificarne la tassazione. Come si vedrà, si tratta di una conclusione che richiede alcune precisazioni, ma che non può integrare un vizio di omessa pronuncia.

48. Il sesto motivo, con cui parte ricorrente censura la sentenza per extra petizione in ordine all’applicazione ai fatti di causa della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, è infondato.

49. Come accennato in premessa, l’avviso di accertamento ha fatto derivare una duplice conseguenza dalla natura illecita delle operazioni funzionali all’ottenimento del contributo: il recupero a tassazione del contributo stesso, sotto forma di sopravvenienza attiva; il disconoscimento di componenti negativi del reddito (costi reputati indeducibili e detrazione dell’IVA).

50. Entrambi tali profili sono stati censurati da parte ricorrente e su entrambi la CTR si è soffermata, sia pure in termini sintetici, in particolare affermando: a pag. 8 della sentenza, che “è legittimo, in caso di operazioni inesistenti, disconoscere i costi e sottoporre comunque a tassazione i relativi ricavi, anch’essi fittizi”; a pag. 9, che “va ribadito il principio che quando l’Amministrazione finanziaria fornisce attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, incombe sempre al contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indebiti e recuperabili a tassazione, come appunto è avvenuto nel caso di specie”.

51. Alla luce di questo, diviene irrilevante stabilire se il richiamo all’art. 14, comma 4-bis, costituisca un “lapsus calami” della sentenza, in luogo del riferimento al comma 4, o sia invece un riferimento voluto.

52. Nel primo caso, la sentenza si sarebbe limitata a ribadire la propria convinzione – parzialmente erronea, come si vedrà – dell’applicabilità al caso di specie della norma del comma 4. Nel secondo caso, si tratterebbe di una citazione tutt’altro che ultronea, visto che il comma 4-bis parla dei componenti negativi del reddito e che tale tema forma oggetto del giudizio (e del settimo motivo di ricorso, su cui tra breve).

53. In nessuno dei due casi, sussiste alcun vizio di extra petizione, poichè entrambi i temi hanno formato oggetto di domande o eccezioni.

54. Il settimo, l’ottavo e il nono motivo devono essere esaminati congiuntamente per la loro intima connessione e sono parzialmente fondati.

55. Affinchè il provento di un’attività illecita possa essere assoggettato a tassazione, come prevede l’art. 14, comma 4, è necessario che si tratti di un’attività produttiva di un reddito tassabile, rientrante in una delle categorie previste dall’art. 6 del TUIR (reddito fondiario, da capitale, da lavoro, d’impresa ecc.). La tassazione non dipende cioè dall’illiceità dell’attività, ma dalla natura dell’attività stessa, come dimostra il secondo periodo del cit. comma 4: affermando che “i relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria”, la norma esige che la tassazione sia preceduta dall’inquadramento del reddito in una delle categorie di attività idonee a produrre reddito secondo la legge; solo qualora non sia possibile l’inquadramento in una delle categorie specifiche, ma l’attività sia comunque astrattamente idonea a produrre reddito, l’art. 14, comma 4, come interpretato autenticamente dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 34-bis, convertito dalla L. n. 248 del 2006, prevede che il provento sia incluso tra i “redditi diversi”.

56. L’obiettivo della L. n. 537 del 1993 non è quello di sostituirsi, mediante la tassazione, alle misure ablative che consentono di recuperare in favore dello Stato i proventi dell’attività illecita, come dimostra il fatto che lo stesso comma 4 fa salva l’ipotesi in cui il provento illecito abbia formato oggetto di sequestro o confisca.

57. Semmai, una volta acquisito all’ordinamento il principio che i proventi illeciti sono tassabili e una volta definitivamente superata, attraverso l’intervento legislativo del 1993, l’idea che i proventi illeciti non possano essere mai definiti redditi, l’obiettivo dell’art. 14, comma 4, consiste nell’evitare che, ove sequestro e confisca non abbiano possibilità di operare per le più diverse ragioni, si realizzi la paradossale situazione per cui redditi normalmente assoggettati a tassazione, in quanto provenienti da attività espressive di capacità contributiva, ne vadano esenti perchè quelle stesse attività sono state connotate da illiceità, in palese violazione del principio di eguaglianza rispetto alla medesima capacità contributiva.

58. Ne discende che, ove il reddito derivi da un’attività soggetta a una qualche forma di tassazione, l’illiceità che eventualmente la caratterizzi, mentre non impedirà di applicare quella tassazione, non ne aggiungerà di nuove, nè modificherà l’imposta applicabile, proprio perchè lo scopo della norma in esame non è sanzionatorio, ma quello di evitare il crearsi di indebite aree di immunità.

59. Come puntualmente precisato da questa S.C. in una sentenza che ha ripercorso la storia normativa e dottrinale della tassabilità dei proventi illeciti in un caso pienamente sovrapponibile a quello in esame (Cass., 29/12/2016, n. 27324), è estraneo al disegno perseguito dal legislatore del 1993 “ogni preoccupazione intesa a stabilire le modalità in cui i redditi debbano essere tassati” (p. 2.4.4.), poichè “la legge non ha inteso istituire una nuova categoria di redditi da affiancare a quelle dell’art. 6” (p. 2.4.5.).

60. Svolta questa premessa e passando all’esame più diretto del caso in questione, occorre stabilire se e come debba essere sottoposto a tassazione il contributo statale in conto impianti che la RHSG ha ricevuto nel 2005.

61. La RHSG ha contabilizzato il contributo come ricavo anticipato da riscontare (risconto passivo), sì da renderlo assoggettabile a tassazione secondo il criterio di competenza.

62. L’Ufficio ha invece ritenuto, in ragione dell’utilizzo di mezzi illeciti per conseguire il contributo, che lo stesso dovesse essere riqualificato come sopravvenienza attiva e dunque sottoposto a tassazione secondo il criterio di cassa, dunque nell’anno 2005 in cui è stato percepito da parte della società.

63. La CTR, da parte sua, senza soffermarsi sulle modalità di tassazione, si è limitata ad avallare l’operato dell’Ufficio, ritenendo che l’illiceità delle operazioni compiute per ottenere il contributo legittimasse “il recupero a tassazione azionato con gli avvisi di accertamento impugnati”.

64. L’operato dell’Ufficio, confermato dalla CTR, non può dirsi corretto.

65. La giurisprudenza di questa S.C. ha da tempo chiarito che, almeno a far data dalle modifiche apportate all’art. 88 TUIR (ex art. 55), “in tema di determinazione del reddito d’impresa, sono contributi in conto capitale – e, quindi, sopravvenienze attive – quelli erogati per incrementare i mezzi patrimoniali del beneficiario, senza che la loro concessione si correli all’onere di uno specifico investimento in beni strumentali, mentre sono contributi in conto impianti, che confluiscono nel reddito sotto forma di quote di ammortamento deducibili, quelli destinati all’acquisto di beni (materiali o immateriali) strumentali” (v. Cass. 6/7/2016, n. 13734; Cass. 18/11/2015, n. 23555; Cass. 14/1/2011, n. 781).

66. Più analiticamente, “i contributi in conto impianti sono contributi finalizzati all’acquisizione di beni materiali o immateriali ammortizzabili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 102 e 103 (ex artt. 67 e 68), qualunque sia la modalità di erogazione degli stessi: attribuzione di somme in denaro, riconoscimenti di crediti di imposta o altro. Dopo le modifiche apportate al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88 (ex art. 55), i contributi in conto impianti non costituiscono più sopravvenienze attive. Tali contributi concorrono alla formazione del reddito di impresa nella stessa misura in cui il costo dei beni ammortizzabili cui fanno riferimento concorre a formare il reddito sotto forma di quote di ammortamento deducibili. Le modalità attraverso le quali i suddetti contributi concorrono alla formazione del reddito di impresa si differenziano a seconda della tecnica adottata per la loro contabilizzazione: – se il contributo è stato portato in diretta diminuzione del costo storico del bene ammortizzabile cui inerisce, concorre alla formazione del reddito di impresa sotto forma di minori quote di ammortamento deducibili calcolate direttamente sul costo del bene ammortizzabile al netto del contributo stesso; – se, invece, il contributo è stato contabilizzato come ricavo anticipato da riscontare (risconto passivo), il contributo concorre a formare il reddito di impresa in stretta correlazione con il processo di ammortamento del bene cui il contributo è collegato, cioè in misura proporzionalmente corrispondente alle quote di ammortamento dedotte in ciascun esercizio” (Cass. 14/1/2011, n. 781).

67. Poichè nella specie è incontestato che la RHSG abbia contabilizzato il contributo come risconto passivo e poichè, come accennato, l’art. 14, comma 4, ha avuto e ha l’unica funzione di rendere tassabili proventi che prima non lo erano, senza consentire operazioni di riqualificazione della natura del reddito o alterazione dei criteri di applicazione dell’imposta, possono applicarsi al caso in esame le argomentazioni svolte dalla citata Cass. n. 27324 del 2016: “se il contributo ricevuto “ex lege” n. 488 del 1992 dalla società contribuente è stato erogato in funzione di un impiego consistente nell’acquisizione di beni ammortizzabili, esso conserva fiscalmente tale natura, anche se la sua percezione fosse avvenuta in maniera illecita, essendo decisivo ai fini della sua imponibilità secondo il principio di competenza, non già il modo in cui n’è avvenuta la percezione – che giustifica, semmai, ove essa avesse causa illecita, solo la sua tassabilità se non fosse tassato – ma la destinazione di esso all’acquisto di beni strumentali, in tale correlazione esternandosi propriamente il vincolo tra costi e ricavi di esercizio che è alla base della tassabilità dei proventi secondo il principio di competenza” (p. 2.4.6.).

68. Pertanto, la decisione impugnata, che ha implicitamente ritenuto scorretto il criterio applicato dalla contribuente di assoggettamento del contributo al principio della tassazione per competenza, è incorsa in una falsa applicazione dell’art. 14, comma 4 e non può sotto questo aspetto essere confermata.

69. Da quanto precede discende anche la parziale fondatezza del settimo motivo, con cui parte ricorrente ritiene che la CTR, applicando al caso di specie lo “ius superveniens” costituito dall’art. 14, comma 4-bis citato, abbia violato e falsamente applicato sia l’art. 109 TUIR, sia il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19.

70. Come si è visto, il contributo in conto impianti concorre a formare il reddito di impresa in stretta correlazione con il processo di ammortamento del bene cui il contributo è collegato, cioè in misura proporzionalmente corrispondente alle quote di ammortamento dedotte in ciascun esercizio.

71. Ciò rende anche deducibili i costi sopportati per la produzione di tale reddito.

72. La sentenza impugnata, sempre confermando l’avviso dell’Ufficio, ha al contrario ritenuto non deducibili i costi sostenuti dalla società per l’esecuzione dei lavori di realizzazione del complesso alberghiero, in vista della quale era stato erogato il contributo statale. L’indeducibilità deriverebbe dal fatto che detti costi sono stati sostenuti in pagamento di fatture emesse per realizzare operazioni soggettivamente inesistenti, dunque illecite.

73. In realtà, come ampiamente chiarito dalla più recente giurisprudenza, “a norma della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, (convertito con la L. 26 aprile 2012, n. 44), l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti (non utilizzati direttamente per commettere il reato), anche per l’ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità” (Cass. 20/6/2012, n. 10167; Cass. 30/10/2013, n. 24426; Cass. 18/6/2014, n. 13803; Cass. 9/8/2016, n. 16719; Cass. 30/10/2018, n. 27566; Cass. 12/12/2019, n. 32587; Cass. 21/2/2020, n. 4645). E tale disciplina si applica, per espressa previsione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 3, anche ad atti, fatti o attività posti in essere prima della sua entrata in vigore (Cass. 17/12/2014, n. 26461; Cass. 6/7/2018, n. 17788; Cass. 21/2/2020, n. 4645).

74. Se ne deve concludere che i costi sostenuti dalla RHSG fossero deducibili, benchè sostenuti per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto relativi a prestazioni di servizi effettivamente “commercializzate” e la cui inerenza non è mai stata messa in dubbio.

75. A una diversa conclusione deve giungersi per la dedotta violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19.

76. L’indirizzo giurisprudenziale appena citato precisa infatti che la partecipazione del cessionario/committente a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite in un meccanismo fraudolento (si tratti di frode carosello o di altro tipo), “mentre non determina “ex se” il venire meno della “inerenza” all’attività d’impresa del bene di cui all’operazione soggettivamente inesistente e non ne esclude, pertanto, la deducibilità… impedisce l’insorgenza del diritto alla detrazione per mancato perfezionamento dello scambio, non essendo l’apparente cedente l’effettivo fornitore” (Cass. 18/6/2014, n. 13803; Cass. 9/8/2016, n. 16719).

77. A tal fine, oltre all’elemento dell’inesistenza soggettiva del cedente/prestatore, è necessario e sufficiente che il cessionario/committente “abbia partecipato alla frode con il soggetto interposto o con i fornitori o gli altri soggetti che intervengono nella catena delle cessioni a monte od a valle della operazione conclusa con il soggetto interposto, ovvero che questi, pur non avendo concorso nel reato, abbia concluso l’operazione pure essendo consapevole, o comunque avendo potuto conoscere ove avesse esercitato la dovuta diligenza al momento della conclusione del contratto (la condotta negligente del cessionario nello svolgimento delle trattative e dei contatti commerciali con il cedente non consente al primo di invocare successivamente l’affidamento incolpevole, ed anzi consente di presumere legittimamente che lo stesso abbia accettato il rischio di concludere una operazione che poteva iscriversi in una fattispecie fiscalmente illecita), che la stessa si inseriva in un più complesso meccanismo fraudolento posto in essere dal cedente od anche soltanto da altri soggetti collocati nei precedenti livelli della catena di cessioni, non occorrendo invece, ai fini della negazione del diritto alla detrazione IVA, anche l’ulteriore elemento dell’effettivo approfittamento dei vantaggi indirettamente conseguiti dall’illecito commesso da terzi” (Cass. 18/6/2014, n. 13803, p. 3.6.).

78. Nella specie, la CTR, dopo aver evidenziato i dati fattuali dai quali emergeva l’assenza, in capo alle ditte che hanno emesso le fatture, di mezzi e forza lavoro che le rendessero in grado di svolgere i lavori, e dunque l’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate, ha affermato che la RHSG non ha fornito adeguati elementi “in ordine al suo stato soggettivo”, onde contrastare adeguatamente i seri indizi raccolti e documentati nel p.v.c. della Guardia di finanza.

79. La CTR ha dunque accertato che la RHSG era consapevole della fittizietà delle ditte, almeno nel senso che ne ignorava colpevolmente l’inidoneità all’esecuzione dei lavori.

80. Va al riguardo ricordato che, secondo la più recente giurisprudenza di questa S.C. in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dovendosi escludere ogni automatismo probatorio a detrimento del cessionario/committente dei beni o servizi (v. Cass. 20/4/2018, n. 9851).

81. Questa stessa giurisprudenza ha tuttavia puntualizzato che tale consapevolezza può essere dimostrata dall’Amministrazione anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici: “se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo” (v. Cass. 20/4/2018, n. 9851, p. 6.11).

82. Ne scaturisce che quando, come nella specie, la sentenza di merito abbia elencato numerosi elementi oggettivi, dimostrativi della natura fittizia del fornitore e del collegamento tra questi e l’acquirente finale, traendone la conclusione del coinvolgimento di quest’ultimo nella frode, siamo in presenza di un accertamento di merito adeguato e rispettoso del riparto dell’onere della prova in questa materia, come tale insindacabile in sede di legittimità.

83. La società non aveva dunque diritto alla detrazione dell’IVA.

I motivi concernenti l’omessa dichiarazione di ricavi.

84. I motivi dal decimo al dodicesimo sono infondati.

85. Essi ruotano intorno all’omessa contabilizzazione e dichiarazione, da parte della RHSG, di una quota degli incassi derivanti dalle prestazioni di servizi e/o cessione di beni in favore dei clienti.

86. In sede di verifica, la Guardia di finanza ha rinvenuto, presso la sede dell’impresa, documentazione extracontabile riferibile a soggiorni di clienti della struttura alberghiera nel periodo maggio/settembre 2005 (fogli mobili costituiti da ricevute fiscali con l’annotazione “corrispettivo pagato”) priva di corrispondenza nella contabilità dell’impresa. L’Amministrazione ne ha tratto la conclusione, condivisa dalla CTR, che tale discrasia fosse indicativa di ricavi non contabilizzati e ha proceduto alla corrispondente rettifica fiscale,

87. Con il decimo motivo, parte ricorrente sostiene che tale conclusione sarebbe stata raggiunta in violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c..

88. Ad avviso del Collegio, queste violazioni di legge non sussistono.

89. Quanto all’art. 2697 c.c., va qui ricordato il costante orientamento di questa S.C. (v. da ultimo la già ricordata Cass. 29/05/2018, n. 13395), secondo cui la violazione del precetto contenuto in tale disposizione è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, che resta sindacabile solo nei limiti del vizio di motivazione.

90. Nella specie, la CTR ha ritenuto che l’Amministrazione avesse fornito la prova della sussistenza di ricavi non contabilizzati sulla base di elementi presuntivi, costituiti dalla citata documentazione extracontabile; in tal modo, il giudice di merito ha dimostrato di aver già affrontato e superato il problema dell’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa fiscale, avendolo posto correttamente a carico dell’Amministrazione, ma avendo anche ritenuto che essa vi avesse assolto e che la contribuente non avesse addotto adeguate prove contrarie.

91. Quanto alla presunta violazione dell’art. 2729 c.c., va anche qui rammentato che si ha violazione di tale disposizione quando il giudice di merito giunga a ritenere provati fatti ignoti sulla base di circostanze note prive dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, non anche quando si pretenda di sindacare l’apprezzamento che egli abbia fatto di tali requisiti. Tale apprezzamento è infatti insindacabile, salvi gli eventuali vizi di motivazione (v. da ultimo Cass. 17/1/2019, n. 1234; Cass. 16/5/2017; n. 12002).

92. Nella specie, la CTR, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità sull’idoneità probatoria della documentazione extracontabile e sulle regole che presiedono al ragionamento inferenziale, ha espressamente affermato che la documentazione extracontabile rinvenuta presso la RHSG, in quanto irregolare, giustificasse “la rideterminazione del maggior imponibile in modo sintetico, in relazione a presunzioni gravi, precise e concordanti” (pag. 7, terzo cpv., della sentenza impugnata).

93. In tal modo, la CTR ha dato prova di aver correttamente applicato la norma di cui si censura la violazione.

94. Quanto infine alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., parte ricorrente sostiene che la CTR si sia avvalsa “di una erronea e distorta lettura del principio di non contestazione”, per avere ritenuto non contestato il contenuto delle annotazioni rinvenute dalla Guardia di finanza, nonostante che quest’ultima non le avesse allegate al p.v.c. e nonostante che essa ricorrente avesse contestato in entrambi i gradi di merito “la fondatezza della presunzione utilizzata dall’Ufficio” (pag. 115 del ricorso).

95. Neanche questa violazione di legge può dirsi sussistente.

96. Va premesso al riguardo che il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. 5/3/2020, n. 6172); la componente valutativa di un fatto è sottratta infatti all’onere di contestazione (Cass. 21/12/2017, n. 30744).

97. Alla luce di quanto appena precisato, deve dirsi corretto l’operato dalla CTR, la quale ha ritenuto non contestati esclusivamente i fatti costituiti dal contenuto delle annotazioni extracontabili rinvenute presso la sede della società, sottoponendo poi tale contenuto, che era stato peraltro riportato nel p.v.c. della Guardia di finanza, ad autonoma valutazione critica.

98. Lo riconosce del resto la stessa parte ricorrente nel ricorso per cassazione, dapprima a pag. 105-106, dove sintetizza il contenuto dei documenti extracontabili rinvenuti e illustra la prassi contabile nella quale essi si inserivano, e poi a pag. 116, allorchè afferma che “l’unica circostanza non contestata dai ricorrenti (e, come tale, acquisita al giudizio) è costituita dal rinvenimento delle suddette ricevute presso RHSG (documentazione la cui esistenza viene espressamente ammessa dai ricorrenti, al fine di fornire giustificazioni in merito al significato e al valore delle annotazioni ivi riscontrate)”.

99. Nè deve indurre in equivoco quanto subito dopo affermato nello stesso ricorso, secondo cui “esclusa tale circostanza di fatto, la “non contestazione” non vale sicuramente a provare “il contenuto delle annotazioni contabili” (come vorrebbe la CTR), nè esime l’organo giudicante dalla necessità di verificare che gli indizi dall’Ufficio ritenuti “gravi, precisi e concordanti” siano effettivamente tali” (pag. 116-117).

100. Con tali parole – e anche riportando in modo inesatto il virgolettato della sentenza impugnata, dato che, nel brano citato, a pag. 6, si fa riferimento al contenuto delle “annotazioni extracontabili” e non di quelle contabili – parte ricorrente sembra lasciar intendere che la CTR abbia fondato sulla non contestazione anche la valutazione delle annotazioni. Al contrario, la CTR è chiara nel distinguere i due piani e nel riferire la non contestazione al contenuto dei fogli mobili rinvenuti (prenotazione di soggiorni, nominativo del cliente, dicitura “corrispettivo pagato”) e non alle conseguenze tratte, secondo il metodo presuntivo sopra descritto, dalla presenza di tali fogli mobili e dal loro contenuto.

101. L’undicesimo motivo è infondato, dovendosi qui richiamare le considerazioni già svolte nei paragrafi precedenti.

102. Anche nella vigenza del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel regime anteriore cioè al D.L. n. 83 del 2012, il vizio di omessa motivazione ivi previsto presuppone: a) che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico; b) che tale fatto storico, ove considerato, avrebbe comportato con grado di certezza una diversa decisione (v. tra le altre Cass. 22/1/2018, n. 1539; Cass. 9/8/2016, n. 16719).

103. Nella specie, mancano questi presupposti.

104. In primo luogo, non si comprende quale sia lo specifico fatto storico pretermesso, dato che l’omissione denunciata da parte ricorrente riguarda (si vedano al riguardo i brani contenuti a pag. 117 del ricorso, ma anche la sintesi proposta negli ultimi capoversi di pag. 120) l’ammissibilità della presunzione utilizzata dall’Ufficio per accertare la mancata contabilizzazione dei ricavi e l’accertamento in concreto della gravità, precisione e concordanza degli elementi posti alla base del ragionamento presuntivo; non si tratta di omesso esame di fatti, ma semmai di omesse valutazioni, il che sarebbe di per sè sufficiente a rendere inammissibile il motivo di ricorso (v. per il regime posteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006 e anteriore al D.L. n. 83 del 2012, Cass. 29/7/2011, n. 16655; Cass. 13/12/2017, n. 29883). Tra l’altro, la mancata individuazione del fatto storico asseritamente omesso rende per definizione impossibile apprezzarne la decisività.

105. A ciò si aggiunga che le valutazioni invocate da parte ricorrente sono state compiute, sia pure in modo sintetico, dalla CTR, come illustrato nei precedenti paragrafi.

106. Anche il dodicesimo motivo è inammissibile sulla base di considerazioni analoghe a quelle appena illustrate.

107. Parte ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa motivazione su un punto della controversia, a suo dire decisivo, costituito da: “l’esistenza dei contratti di “allotment” in forza dei quali le camere dell’albergo venivano interamente messe a disposizione di agenzia viaggi e/o “tour operators” (pag. 125, ultimo cpv., del ricorso).

108. A sostegno di tale censura, parte ricorrente richiama sia i documenti prodotti nel corso del giudizio di merito (planimetria della struttura alberghiera e contratti di “allotment”), sia il fatto che l’Ufficio, costituendosi nel giudizio, non avrebbe contestato gli elementi addotti.

109. Sennonchè, tale circostanza fattuale è stata tutt’altro che trascurata dalla CTR, la quale vi ha al contrario dedicato gli ultimi capoversi di pag. 7 e il primo capoverso di pag. 8 della sentenza, spiegando in quella sede le ragioni per cui non poteva essere considerata decisiva e quali sarebbero state le prove alternative che avrebbero dovuto essere fornite dalla RHSG (documenti, ricevute o estratti conto, idonei a dimostrare il numero delle presenze totali effettive nella struttura alberghiera).

110. In tal modo, la sentenza impugnata si sottrae alla censura mossa, non solo avendo espressamente pronunciato sulla circostanza indicata, ma avendo anche illustrato le ragioni per cui la prova fornita dalla società su tale circostanza fosse insufficiente e dunque non decisiva.

Conclusioni.

111. La fondatezza dell’ottavo, del nono e, in parte, del settimo motivo impongono la cassazione parziale della sentenza impugnata. Poichè l’accoglimento dei motivi ha fatto emergere l’illegittimità di una parte del recupero a tassazione operato dall’Amministrazione, non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, e la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento parziale dell’originario ricorso dei contribuenti P.T., S.A.G. e P.S., in qualità di ex soci della RHSG. L’accoglimento riguarda il recupero a tassazione operato con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), anno 2005, nella parte relativa ai costi non inerenti e al contributo ex L. n. 488 del 1992. Sotto ogni altro aspetto, l’avviso di accertamento è legittimo.

112. La soccombenza parziale giustifica l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte così provvede: dichiara estinto il giudizio nei confronti della Scoglio della Galea s.r.l.; dichiara fondati, nei limiti di cui in motivazione, il settimo, l’ottavo e il nono motivo del ricorso di P.T., S.A.G. e P.S.; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, accoglie nei limiti di cui in motivazione l’originario ricorso di P.T., S.A.G. e P.S.; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

 

 

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