Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19935 del 05/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 05/10/2016, (ud. 20/07/2016, dep. 05/10/2016), n.19935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 1611-2014 proposto da:

V.A., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA LAZIO, 14, presso lo studio dell’avvocato LAGOTETA GIUSEPPE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO CARBONE, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

AXITEA s.p.a., (già SICURGLOBAL s.p.a.) c.f. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TIEPOLO 21, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DEL

BELVIS, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato M.

(Ndr: testo originale non comprensibile), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 825/2013 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA,

depositata il 12/08/2013, r.g.n. 1094/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal consigliere Dott. Federico Balestrieri;

udito l’avvocato LAGOTETA Giuseppe per delega avvocato CARBONE PAOLO;

udito l’avvocato DE BELVIS ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Bologna, V.A. conveniva in giudizio la Sicurbologna s.r.l., di cui era dipendente quale guardia giurata dal (OMISSIS), lamentando di essere stato oggetto di mobbing, illegittimamente sospeso dal servizio il (OMISSIS) e di essere stato licenziato per giusta causa (per lo svolgimento di attività lavorativa in favore di terzi durante l’assenza per malattia) in data (OMISSIS). Chiedeva accertarsi l’illegittimità della sospensione e del conseguente licenziamento, il suo diritto al risarcimento dei danni da mobbing.

Il Tribunale rigettava la domanda. Proponeva appello il lavoratore; resisteva la società.

Con sentenza depositata il 12 agosto 2013, la Corte d’appello di Bologna rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il V., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste la AXITEA s.p.a. (già Sicurglobal s.p.a. e già Sicurbologna s.r.l.) con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1173 (recte: 1175) c.c., lamentando la violazione del principio di correttezza nell’esecuzione del contratto “in relazione all’illegittima sospensione” dal lavoro, nonchè dell’art. 2110 c.c., degli artt. 120 e 122 del c.c.n.l. “vigilanza” del 1.5.04.

Lamenta innanzitutto che la revoca del titolo di guardia giurata e del porto d’armi (disposto in via amministrativa) imponeva, a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, all’azienda di verificare se fossero disponibili altre posizioni lavorative non necessitanti tale titolo.

La censura, oltre a presentare evidenti profili di inammissibilità laddove richiede alla Corte un nuovo esame delle risultanze istruttorie e delle deposizioni testimoniali in particolare, nel vigore del novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è infondata posto che, come ben evidenziato dalla corte di merito, l’obbligo di repechage presuppone un licenziamento per giustificato motivo oggettivo che nella specie non vi è stato, essendosi l’azienda avvalsa della facoltà prevista dall’art. 106 del c.c.n.l. di categoria di sospendere il dipendente con mansioni di g.p.g. in caso di revoca del titolo e del porto darmi, sino ad un massimo di 180 giorni (prevedendo il c.c.n.l. la possibilità di risolvere il rapporto di lavoro decorso tale periodo).

La sentenza impugnata ha peraltro accertato ed evidenziato che l’azienda, appena ricevuta la comunicazione della restituzione del titolo e del porto d’armi, riammise immediatamente il lavoratore in servizio, dovendosi così escludere, sotto tale profilo, anche la violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

Le diverse interpretazioni della norma contrattuale in questione sono parimenti inammissibili stante la mancata produzione del c.c.n.l. invocato. Sotto altro ed ulteriore profilo il ricorrente si duole che l’azienda provvide a sospenderlo dal servizio mentre egli era già assente per malattia.

Anche tale censura è inammissibile, tendendo ad una nuova valutazione delle circostanze di fatto operata dalla corte felsinea (che ha accertato che la sospensione fu adottata quando l’assenza per malattia era cessata).

2.- Con il secondo motivo il V. denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo (consistente nel dedotto mobbing in tesi patito), lamentando che la sentenza impugnata non valutò attentamente le certificazioni mediche in atti e le deposizioni testimoniali raccolte.

Anche tale motivo è inammissibile, per due ordini di ragioni.

Innanzitutto per contestare ancora una volta degli accertamenti fattuali eseguiti dalla corte di merito nell’anzidetto regime di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

In secondo luogo in quanto il ricorrente non allega la certificazione medica invocata, in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 per violazione del principio di immediatezza; dell’art. 2697 c.c., per inosservanza dell’onere della prova; dell’art. 2119 c.c. per assenza della giusta causa di licenziamento, oltre che per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne provato il suo svolgimento di attività lavorativa durante l’assenza per malattia, attribuendo maggiore attendibilità a taluni testi a discapito di altri. Lamenta che in ogni caso era stato semmai provato lo svolgimento di tale attività lavorativa (presso lo stabilimento balneare della sorella con compiti di bagnino e aiutante di spiaggia) solo per un limitato periodo di tempo e non per tutto il periodo di assenza (luglio-agosto).

Lamenta inoltre la ritenuta incompatibilità dell’attività lavorativa in questione con lo stato di malattia non era stato adeguatamente accertato, considerata che la diagnosi di stress da lavoro gli consentiva l’attività di coadiuvante balneare, mentre il dolore del rachide lombo sacrale era in effetti venuto meno dopo pochi giorni.

Il motivo è inammissibile per richiedere a questa Corte un diverso apprezzamento dei fatti.

Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788/11, Cass. n. 7948/11) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, fatto ampiamente esaminato dalla corte felsinea.

Il ricorrente si duole inoltre della violazione del principio di immediatezza nell’esercizio del potere disciplinare.

Lamenta che pur essendo i fatti contestati risalenti al (OMISSIS), la contestazione disciplinare gli venne mossa solo il (OMISSIS).

Anche tale censura risulta inammissibile, per richiedere, giusta le considerazioni che precedono, un diverso apprezzamento delle circostanze di causa, avendo la corte di merito evidenziato che l’azienda venne a conoscenza dell’attività lavorativa del V. presso lo stabilimento balneare della sorella solo dopo il rapporto ispettivo del 31.8.07, provvedendo alla contestazione con missiva dell’11.9.07. Deve aggiungersi che quand’anche la contestazione fosse del (OMISSIS), non potrebbe certamente ritenersi tardiva, per essere intervenuta a distanza di meno di un mese dalla conoscenza dei fatti.

4.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2016

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