Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19934 del 21/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/09/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 21/09/2010), n.19934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25794/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n. 134,

presso lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e

difende unitamente all’Avvocato Paolo Tosi, per procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.S., elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Ferrari

n. 2, presso lo studio dell’avvocato ANTONINI Giorgio, che la

rappresenta e difende assieme all’avvocato Massimo Pozza per procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1373/2005 della Corte d’appello di Torino,

depositata il 21/09/2005; R.G.N. 754/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17.06.2010 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

uditi gli Avvocati Miceli (per delega di Fiorillo) e Antonini;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Torino veniva rigettata la domanda proposta da A.S. di dichiarare la nullità dell’apposizione del termine alla sua assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per i periodi 6.2-30.4.98 e 2.12.98-31.1.99, disposta ex art. 8 del ccnl 26.11.94, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Proposto appello da Poste Italiane s.p.a., la Corte d’appello di Torino con sentenza pubblicata il 21.09.05 accoglieva l’impugnazione e dichiarava che, a decorrere dal 6.2.98 tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, condannando il datore a riammettere in servizio la dipendente ed a corrisponderle, a titolo di risarcimento, le retribuzioni dal 12.5.04, data della costituzione in mora.

Rilevava la Corte di merito che, pur nel sistema creato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.9.97, Poste Italiane avrebbe comunque dovuto dar prova delle particolari esigenze, diverse dalla mera attuazione del processo di ristrutturazione, precisandone la natura e la collocazione spazio-temporale, in modo da consentire la verifica della rispondenza dell’assunzione alle esigenze in questione.

Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui l’intimata rispondeva con controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

Con il primo motivo Poste Italiane s.p.a. deduce violazione della L. n. 230 del 1962, della 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dell’art. 1362 c.c., e segg., nonchè carenza di motivazione, sostenendo che la sentenza si fonderebbe sull’erronea convinzione che detto art. 23 non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti le assunzioni a termine collegate a situazioni tipicamente aziendali, non direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro.

Con il secondo motivo parte ricorrente deduce violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, e carenza di motivazione per la reiezione dell’eccezione di risoluzione del contratto, in quanto il lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione sarebbe indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine e darebbe corpo alla presunzione di estinzione del contratto per mutuo consenso.

Tale secondo motivo, da esaminare per primo per evidenti ragioni di consequenzialità logica, è infondato alla luce della giurisprudenza di legittimità (v. tra le tante Cass. 17.12.04 n. 23554, 28.9.07 n. 20390, 10.11.08 n. 26935).

E’ stato, infatti, affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutandone del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

Nel caso di specie il giudice di merito sostiene che il lasso di tempo intercorso tra la cessazione del rapporto a termine e l’avvio della controversia non può essere considerato indice della volontà di porre fine al rapporto, neppure alla luce della circostanza che la A. dopo la cessazione dei contratti in esame ha lavorato alle dipendenze di terzi, atteso che rientra nella normalità che l’interessato cerchi ed accetti un altro lavoro per il proprio sostentamento.

Circa l’inesistenza del consenso dei dipendenti alla definitiva risoluzione del contratto dichiarato nullo esiste, dunque, una valutazione di merito che appare congruamente articolata, la quale esclude da un lato la censurabilità in sede di legittimità della motivazione e, dall’altro, pone in evidenza l’inesistenza di altre circostanze (la cui prova era a carico del datore di lavoro) che possano qualificare nel senso di inerzia colpevole il comportamento dei lavoratori.

Il motivo è, pertanto, infondato.

All’altro motivo – premesso che il giudice di merito ha esaminato solo il primo dei contratti a termine oggetto della domanda, il quale risulta stipulato per il periodo 6.2-30.4.98 ex art. 8 del ccnl 26.11.94, come integrato dall’accordo 26.9.97, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione ecc.” – può rispondersi come segue.

La giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.U. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza tino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.

In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).

Conseguentemente, in relazione alla fattispecie in esame, i contratti scadenti (o comunque stipulati) entro tale limite sono legittimi in quanto rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

Considerato che nel caso di specie il contratto a termine risulta stipulato per il periodo 6.2-30.4.98, all’esito di questa disamina, deve affermarsi che la contrattazione collettiva consentiva la stipulazione del contratto de qua.

In conclusione il primo motivo di ricorso è fondato e la pronunzia impugnata deve essere cassata nei limiti di tale accoglimento.

Non essendo stato preso in considerazione il secondo contratto oggetto della domanda, la causa deve essere rimessa al giudice indicato in dispositivo per il suo esame.

Allo stesso giudice va rimessa la pronunzia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2010

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