Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19932 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 23/09/2020), n.19932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina M. – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9825/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Azienda agricola masseria Salamina s.s.;

D.M.A.G.;

M.E.P.;

L.A.L.;

Tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Cataldo Balducci,

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Rossana Conz in

Roma, via Cimarosa n. 18, giusta procura speciale in calce al

controricorso.

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 81/10/2012, depositata il 20 novembre 2012.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Marco Dinapoli nella camera

di consiglio del 14 gennaio 2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’azienda agricola masseria Salamina s.s., nonchè i soci D.M.A.G., M.E.P. e L.A.L. ricorrevano in primo grado avverso separati avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 2005, con cui veniva rideterminato il reddito di impresa e, per trasparenza, il reddito di partecipazione dei soci, a seguito della ritenuta indeducibilità di costi per l’ammontare di Euro 34.747,34 con conseguenti maggiori imposte sanzioni.

La Commissione tributaria provinciale di Bari, riuniti i ricorsi, li accoglieva con sentenza n. 203/01/2011 del 20 novembre 2011, avverso cui l’Agenzia delle entrate proponeva appello.

La Commissione tributaria regionale della Puglia, con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarava l’appello inammissibile per mancanza di specificità dei motivi di impugnazione, in quanto privi di ogni valutazione critica del contenuto della sentenza impugnata.

Ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate con un solo motivo articolato e chiede annullarsi la sentenza impugnata, con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese.

I contribuenti resistono con controricorso e chiedono dichiararsi inammissibile o in subordine rigettarsi il ricorso avverso, con condanna alle spese della ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1972, art. 53 e dell’art. 342 c.p.c. perchè a suo dire, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, dal contenuto dell’atto di appello si evincerebbero chiaramente i motivi su cui si basa l’impugnazione, essendo state esposte ivi le ragioni a sostegno della legittimità degli atti impositivi impugnati.

2. – I controricorrenti eccepiscono l’inammissibilità del ricorso perchè privo di autosufficienza, oltre che l’infondatezza in quanto i motivi dell’appello avverso la sentenza di primo grado consisterebbero, a loro dire, nella sterile riproposizione delle difese precedentemente svolte, e sarebbero del tutto scollegati dal contenuto della sentenza impugnata, avverso cui non proporrebbero alcun censura.

3. – Il ricorso è inammissibile per mancanza del requisito dell’autosufficienza, richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6. La ricorrente, infatti, ha omesso di trascrivere o quanto meno di allegare al ricorso l’atto di appello, per cui è impossibile verificare, leggendolo, se la sentenza impugnata abbia fatto cattivo uso delle norme di cui in questa sede si lamenta la violazione. L’omissione rende il ricorso privo della autonomia necessaria per consentire a questa Corte, senza il sussidio di altre fonti, la agevole individuazione della questione proposta.

3.1 – Non è possibile, poi, supplire all’omissione della parte con l’utilizzo dei poteri di ufficio del giudice. Lo esclude la giurisprudenza costante di questa Corte, da ultimo confermata da Cass. Sez. Un. N. 157/2020 e n. 20181/2019, per cui “se è vero che la Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in “error in procedendo” è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, non è men vero che, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio” nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte, investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato”.

4. – In conclusione, per effetto delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese processuali, come liquidate in dispositivo, seguono alla soccombenza.

PQM

la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.600,00 (cinquemilaseicento) complessivi.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

 

 

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