Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19931 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/07/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 23/07/2019), n.19931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 28182-2017 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato MAIORANA ROBERTO, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

avverso la sentenza n. 740/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 19/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO

MARIA.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Brescia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino pakistano M.N.. Il richiedente ha dichiarato di essere nato a Gujrat, di essere di religione mussulmana sunnita, di avere moglie e due figli e di aver accettato il lavoro di cuoco in un “campo” in Kashmir; di essere stato condotto in un campo di addestramento di guerriglieri dell’organizzazione Lashkar e Tayyiba gruppo islamista combattente per l’autonomia del Kashmir; di essere fuggito, catturato e messo in una cella nonchè di essere riuscito a liberarsi e dopo essersi rifugiato presso uno zio di aver lasciato il paese, perchè ricercato dai guerriglieri ed aver raggiunto l’Italia dopo una permanenza in Libia. La Commissione territoriale ed il Tribunale hanno rigettato le domande proposte dallo stesso, così come la Corte d’Appello.

A sostegno della decisione impugnata, è stato affermato:

vi è stata un’evidente difformità tra quanto dichiarato alla Commissione territoriale ed al Tribunale. Davanti alla prima ha riferito di aver avuto promessa di un buono stipendio per combattere contro l’India, davanti al secondo di essere andato a lavorare come cuoco; soltanto davanti al Tribunale ha detto di aver viaggiato bendato e di essersi ritrovato in un campo di addestramento paramilitare. Le circostanze della fuga sono state altrettanto difformi. Su domanda della Commissione il richiedente ha, infine, dichiarato di non essersi rivolto alla Polizia perchè aveva paura, non aveva soldi per pagarla e non ne conosceva la sede.

L’intrinseca incongruenza delle dichiarazioni non trova giustificazioni, secondo la Corte d’Appello, nelle dedotte difficoltà di comprensione nè davanti la Commissione nè davanti il Tribunale. Ne consegue che le ragioni dell’allontanamento sono prive di attendibilità anche in relazione alle informazioni reperibili sui maggiori siti d’informazione nei quali viene precisato che le autorità del Pakistan non possono essere ritenute conniventi o tolleranti con i movimenti terroristici quale quello che avrebbe reclutato il ricorrente.

A fronte di tale valutazione negativa, perde di rilievo valutare se il Tribunale abbia o meno correttamente valutato la situazione interna del paese di origine o abbia sminuito i rischi cui il ricorrente potrebbe essere esposto in caso di rimpatrio. La mancanza di certezze sulle ragioni dell’espatrio impedisce di verificare se sussistano ragioni ostative al suo rimpatrio, con conseguente ininfluenza delle oggettive condizioni del Pakistan, che/ nel caso di specie, risultano non specificamente riguardare la sua posizione personale.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame dei fatti decisivi indicati dal ricorrente nell’audizione davanti al Tribunale, dove ha avuto la possibilità di fornire precisazioni che invece sono state valutate come contraddittorie. Quale che sia la ragione per cui il ricorrente era ricercato dai guerriglieri questa situazione lo espone comunque ad un serio pericolo in caso di rientro.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per non essere state riconosciute sussistenti le condizioni per la protezione sussidiaria senza svolgere alcuna indagine officiosa sulle condizioni generali del paese, in particolare con riferimento all’ipotesi di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Le fonti ufficiali evidenziano la situazione di pericolosità attuale del paese (pag. 9 – 12 ricorso).

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 (divieto di non refoulement).

Il Collegio ritiene di dover trasmettere il ricorso in sezione per la trattazione in pubblica udienza, non essendovi unanimità nei più recenti orientamenti sotto due profili. Il primo riguarda gli effetti della valutazione d’intrinseca non credibilità delle vicende narrate del cittadino straniero, ovvero l’incidenza di tale giudizio anche sulla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto relativa ad ull’ipotesi di protezione internazionale non legata alla rappre sentazione personale di motivi di persecuzione od esposizione al pericolo di vita o di violenza individivale, ed alla protezione umanitaria, almeno in relazione ad ipotesi di vulnerabilità conseguenti ad una condizione generale ed obiettiva. Su tale profilo si confrontano orientamenti che ritengono, in contrasto con la giurisprudenza precedente, che il giudizio negativo escluda qualsiasi obbligo di cooperazione istruttoria officiosa anche in relazione alle ipotesi sopra indicate (Cass. 4892 del 2019; 33096 del 2018) ed orientamenti che, al contrario, non escludono la necessità di un accertamento istruttorio officioso quando le domande di protezione sussidiaria od umanitaria (quest’ultima nel regime giuridico antevigente) siano fondate su una situazione di pericolo oggettivo (Cass. 17069 del 2018; 10922 del 2019; 14283 del 2019).

Il secondo profilo) al primo eziologicamente collegato, riguarda l’esistenza e il contenuto di specificità degli oneri di allegazione di parte in relazione a tali ipotesi di protezione.

P.Q.M.

Dispone la trattazione del ricorso in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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