Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19930 del 10/08/2017

Cassazione civile, sez. I, 10/08/2017, (ud. 18/05/2017, dep.10/08/2017),  n. 19930

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14274/2011 proposto da:

S.S. (CF (OMISSIS)), rapp.to e difeso per procura a margine

del ricorso dall’avv. Corrado Martelli, con il quale elettivamente

domicilia in Roma alla v. Cassiodoro n. 6 presso lo studio dell’avv.

Gaetano Lepore;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. (CF (OMISSIS)) in persona del curatore

avv. C.G., rapp.to e difeso per procura in calce al

controricorso dall’avv. Domenico Bucca, con il quale elettivamente

domicilia in Roma alla v. Magna Grecia n. 13;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 318 del 2010 della Corte di Appello di

Messina, depositata il 19 maggio 2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 18 maggio 2017 dal relatore Dott. Ceniccola Aldo.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 318 del 18 maggio 2010 la Corte di Appello di Messina rigettava, salvo l’accoglimento del solo motivo concernente il governo delle spese di giudizio, l’appello proposto da S.S. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva dichiarato inammissibile l’insinuazione tardiva al passivo proposta dal ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento di alcuni crediti derivanti dal rapporto di lavoro intercorso con la società poi fallita;

la Corte osservava che a seguito della domanda di ammissione al passivo proposta dal ricorrente in data 7.6.1999, erroneamente qualificata come tardiva, il giudice delegato alla procedura aveva fissato la comparizione delle parti ma il ricorrente, avvedutosi della circostanza che era ancora in corso la fase di verifica tempestiva, non aveva provveduto ad iscrivere la causa a ruolo entro il termine perentorio di 5 giorni prima dell’udienza, ai sensi del combinato disposto degli L. Fall., artt. 98 e 101 (nella vecchia formulazione applicabile “ratione temporis” alla fattispecie in esame). In considerazione della perentorietà di tale termine, correttamente il tribunale aveva dunque dichiarato inammissibile la riproposizione dell’istanza di ammissione operata dal ricorrente;

avverso tale sentenza S.S. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi;

la curatela resiste mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione L. Fall., art. 101, comma 2 (nella vecchia formulazione applicabile “ratione temporis”) in combinato disposto con L. Fall., art. 98, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la Corte di Appello erroneamente ritenuto che il mancato rispetto del termine di costituzione in giudizio, stabilito dalla L. Fall., art. 98, richiamato dalla L. Fall., art. 101, implichi necessariamente l’estinzione del procedimento di insinuazione tardiva, e ciò in virtù di un’inammissibile estensione analogica, al procedimento tardivo, della decadenza dall’azione propria solamente del diverso procedimento di opposizione allo stato passivo; con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 167, comma 1, in combinato disposto con l’art. 416 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la Corte erroneamente ritenuto non applicabile al procedimento di insinuazione tardiva il generale principio di non contestazione ricavabile dalle predette norme. In particolare tanto il Tribunale quanto la Corte di Appello hanno ritenuto infondata quanto al merito la domanda di insinuazione in quanto non assistita da alcuna prova del credito vantato nonostante l’assenza di contestazione da parte del curatore;

il primo motivo è fondato;

secondo l’originario orientamento, espresso da questa Corte con sentenza n. 2673 del 2000, “il termine di cinque giorni prima dell’udienza entro il quale i creditori debbono costituirsi ai sensi della L. Fall., art. 98, comma 3, deve essere rigorosamente osservato in considerazione delle esigenze di certezza e celerità del procedimento di verifica dello stato passivo del fallimento. Detto termine deve essere quindi ritenuto perentorio, seppur tale non è dichiarato espressamente dalla legge, in ragione dello scopo che persegue e della funzione cui adempie, con la conseguenza che dall’inosservanza del termine stesso deriva la decadenza dall’opposizione non sanabile dalla riproposizione della stessa che, in quanto tardiva, deve essere dichiarata inammissibile” (cfr. in tal senso anche Cass. n. 8095 del 2004);

successivamente tale orientamento è stato superato in base al condivisibile rilievo che “l’estinzione del procedimento di insinuazione tardiva del credito, per effetto della mancata o non tempestiva costituzione del creditore, non preclude, di per sè, la possibilità di far valere successivamente, anche nell’ambito della stessa procedura concorsuale, mediante riproposizione dell’istanza di insinuazione, il diritto sostanziale dedotto, in applicazione della regola, stabilita dall’art. 310 c.p.c., comma 1, secondo cui, in via di principio, l’estinzione del processo non incide sui diritti sostanziali fatti valere in giudizio e sul diritto di riproporli in altro giudizio. Invero non può essere estesa in via analogica all’insinuazione tardiva la decadenza dall’azione (in conseguenza dell'”abbandono” della domanda ai sensi della L. Fall., art. 98, comma3), la quale si verifica solo per l’opposizione a stato passivo in considerazione della sua natura – estranea all’insinuazione tardiva – di rimedio impugnatorio soggetto al rispetto di termini perentori” (cfr. in tal senso Cass. n. 19628 del 2004, n. 21837 del 2005 e n. 12855 del 2010, richiamate da ultimo dalla sentenza n. 814 del 2016);

ne consegue che, in mancanza di una specifica deroga normativa, non vi è ragione per negare al procedimento previsto per le dichiarazioni tardive di crediti l’applicabilità della regola dettata dall’art. 310 c.p.c., comma 1 e dunque del principio secondo il quale l’estinzione del processo non comporta l’estinzione dei diritti sostanziali fatti valere in giudizio e quindi non preclude al creditore istante la possibilità di farli valere in un nuovo giudizio;

alla luce di tali argomentazioni va accolto il primo motivo con assorbimento del secondo e dunque la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2017

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