Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19929 del 21/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/09/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 21/09/2010), n.19929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34663-2006 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 52, presso lo studio dell’avvocato LUCCHI CLAUDIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBANI MARGHERITA,

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI

CLEMENTINA, RICCIO ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, giusta mandato in

calce al controricorso;

– MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 383/2006 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25/09/2006 R.G.N. 388/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato ALBANI MARGHERITA;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 18-6-1999 S.R. conveniva in giudizio l’INPS e il Ministero del Tesoro e chiedeva che il Giudice del Lavoro di Ancona dichiarasse, in suo favore, il diritto, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla data della richiesta amministrativa dell’agosto 1998, all’assegno mensile di assistenza, da lei goduto fin dal 1980 e revocato dalla Amministrazione nel 1995, rispetto al quale aveva proposto tre domande di aggravamento, una del 1997, una del 30-1-1998 ed infine una dell’agosto 1998, tutte con esito negativo. Si costituivano i convenuti e resistevano alla domanda, entrambi eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.

Il Tribunale, espletata ctu, con sentenza del 14-4-2003, affermata la legittimazione passiva del solo INPS, respingeva la domanda, ritenendo che la ricorrente non raggiungesse il grado di invalidità richiesto per la erogazione del beneficio.

Avverso tale decisione proponeva appello la S., con ricorso depositato il 12-7-2004, e ne chiedeva la riforma. Sosteneva che, trattandosi di revoca del beneficio dell’assegno posseduto da epoca anteriore al febbraio 1992, era sufficiente la misura invalidante del 67%; in subordine, censurava le conclusioni dell’accertamento del CTU di primo grado e chiedeva il rinnovo della CTU insisteva per l’accoglimento della propria domanda, anche nei confronti del Ministero, legittimato passivo nel procedimento per ripristino di provvidenza. Si costituiva il Ministero dell’Economia e delle Finanze e chiedeva il rigetto del gravame, riportandosi all’accertamento del CTU. Si costituiva l’INPS e chiedeva anch’esso il rigetto del gravame.

Svolgeva altresì appello incidentale per ottenere che, trattandosi di revoca, fosse dichiarata la legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di cui chiedeva la condanna alle spese di ctu e comunque a quelle di causa nei confronti della parte privata.

Disposta ed espletata nuova ctu, l’adita Corte di Appello di Ancona rigettava entrambi gli appelli.

A sostegno della decisione osservava che, nella specie, non si trattava di domanda di revoca dell’assegno bensì di nuova domanda per conseguire altro assegno di invalidità, sicchè legittimato passivo era l’INPS e non il Ministero. Nel merito, tuttavia, la domanda era infondata, non essendo la capacità lavorativa ridotta oltre il 74%.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la S. con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resistono l’INPS e il Ministero dell’Economia e delle Finanze con controricorsi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la S.. denuncia violazione e/o mancata applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 13 mancato rispetto del dettato normativo ed, in particolare, del D.M. 15 febbraio 1992 in attuazione del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 2 e violazione dell’art. 112 c.p.c. per l’erronea formulazione del quesito posto al CTU. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando motivazione insufficiente e contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta la non corretta individuazione, da parte del Giudice a quo, del concetto di capacità lavorativa ridotta, posto a base del beneficio richiesto e l’acritico accoglimento delle conclusioni adottate dal nominato CTU. Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è privo di fondamento. Va preliminarmente osservato che, come emerge dalla impugnata decisione e dalla parte espositiva della richiamata sentenza di primo grado, la domanda svolta dallo S. con il ricorso introduttivo non riguarda il ripristino dell’assegno con decorrenza dalla data di revoca (avvenuta nel 1997, con decorrenza 1995), bensì la attribuzione ex novo del beneficio assistenziale con decorrenza dalla nuova domanda amministrativa (di aggravamento) proposta nell’agosto 1998. Sicchè, correttamente, la Corte territoriale, confermando la pronuncia sul punto del primo Giudice, ha negato la legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che è stato assolto da ogni domanda.

Quanto al merito del grado e di invalidità, la Corte d’appello, riportandosi alle conclusioni del nominato CTU, ha osservato che quest’ultimo, a seguito di accurata indagine svolta con particolare competenza specifica, aveva accertato che la capacità lavorativa della S., a causa delle patologie da cui era risultata affetta non era ridotta oltre il 74%; accertamento, peraltro, conforme a quelle del Consulente del primo Giudice.

Ha, inoltre, opportunamente, tenuto ad evidenziare che, in relazione alle osservazioni tecniche sollevate dall’appellante alla CTU, non si rendeva necessario disporre ulteriori indagini peritali, considerato che le patologie poste in diagnosi dal tecnico di parte erano le stesse riscontrate e descritte dal CTU e che la maggior valutazione del danno effettuata dal primo corrispondeva ad un livello di gravita delle singole patologie che non rappresentava affatto lo stato reale della appellante, quale risultava puntualmente descritta nella relazione d’ufficio. Nè, nella specie, rileva il mancato esplicito riferimento, nella impugnata decisione, ai codici di cui al D.M. 5 febbraio 1992 in attuazione del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 2 mancando ogni deduzione circa il superamento dell’accertato grado di invalidità per effetto della indimostrata violazione o falsa applicazione di detti codici. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2010

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