Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19928 del 10/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 10/08/2017, (ud. 10/05/2017, dep.10/08/2017),  n. 19928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo A. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore, rappr.

e dif. dagli avv. Massimo Fabiani, Claudio Tatozzi e Francesco

Candreva, elett. dom. presso lo studio del terzo in Roma, viale

Mazzini n. 119, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona del curatore

fall., rappr. e dif. dall’avv. Fabio Franchini, elett. dom. presso

lo studio dell’avv. Massimo Ranieri in Roma, via dei Tre Orologi n.

10/E, come da procura a margine dell’atto;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Milano 20.11.2013, n. 4375/13

nel proc. R.G. 2797/13;

viste le conclusioni del Procuratore Generale, in persona della

Dott.ssa SOLDI ANNA MARIA, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

viste le memorie delle parti;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 10 maggio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione impugna la sentenza App. Milano 20.11.2013, n. 4375/2013 nel proc. R.G. 2797/13, con cui è stato respinto il suo reclamo avverso la sentenza Trib. Milano 25 luglio 2013 dichiarativa del proprio fallimento e seguita a pronuncia coeva di inammissibilità della proposta di concordato preventivo presentata dalla società ricorrente il 20.6.2013, dopo la domanda con riserva del 16.4.2013;

2. La corte d’appello ha in primo luogo negato la violazione del contraddittorio, eccezione superata sia dalla tardività di formulazione che, nel merito, dalla costituzione sanante della parte e, quanto al tenore delle contestazioni, dalla prefigurata inammissibilità della proposta per i suoi tempi ed incertezze di realizzo delle azioni risarcitorie prospettate;

3. circa il giudizio di fattibilità, nessuna ingerenza, secondo i giudici milanesi, si sarebbe avuta in punto di fattibilità economica, mancando piuttosto elementi di serietà, concretezza ed affidabilità cui parametrare l’apprezzamento di plausibilità della proposta stessa;

4. nè infine risultava altra violazione del diritto di difesa, per omessa convocazione ulteriore del debitore dopo la pronuncia di inammissibilità, adempimento invero non previsto, tenuto conto che il liquidatore della società aveva preso parte all’istruttoria prefallimentare pregressa, in essa limitandosi al mero richiamo alla domanda di concordato con riserva e così scegliendo di modulare la sua difesa sulla richiesta del P.M., già pendente e poi mantenuta e che non necessitava di alcuna riassunzione del processo per poter essere decisa, una volta rimosso il concordato;

5. Il ricorso è affidato a quattro motivi e ad esso resiste con controricorso la procedura, avendo entrambe le parti depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il predetto Pubblico Ministero ha depositato requisitorie scritte del seguente tenore:

2. La (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione ricorre per cassazione contro la decisione con cui la Corte di Appello di Milano (n. 4375/2013), rigettando il reclamo, ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale, ritenuta la inammissibilità del concordato preventivo da essa proposto, ha dichiarato il suo fallimento.

3. Il ricorso appare infondato e non merita, pertanto, di essere accolto.

Va preliminarmente sgomberato il campo dalle censure svolte con il terzo ed il quarto motivo che sono in parte inammissibili e, comunque, infondate.

Innanzitutto è inammissibile la censura di cui al terzo motivo laddove il ricorrente assume, contrariamente a quanto rilevato dalla corte di merito, che il procedimento prefallimentare sarebbe stato sospeso ex art. 295 c.p.c., ed in ragione di ciò avrebbe dovuto essere riassunto ai sensi dell’art. 297 c.p.c..

A tale proposito va, infatti, rilevato che sarebbe stato onere del ricorrente riprodurre il contenuto del verbale recante la declaratoria di sospensione, tanto più in considerazione del fatto che, secondo la Corte di Appello, in realtà, il Tribunale aveva solo impropriamente utilizzato la locuzione “sospensione” limitandosi, di fatto, a procrastinare l’esame delle istanze di fallimento all’esito del vaglio di ammissibilità della proposta di concordato preventivo avanzata dal debitore fallendo. Per completezza, ed anche a voler ammettere che in merito a tale doglianza la Corte di Cassazione sia giudice del fatto (Cass. 17931/2013) deve ritenersi che l’esame dei verbali dell’udienza prefallimentare evidenzia come il giudice delegato alla trattazione del procedimento non abbia mai disposta una sospensione del processo ascrivibile all’art. 295 c.p.c., avendo espressamente sospeso la sua trattazione sino all’esito della procedura concordataria (cfr. documento n. 4 del fascicolo di parte ricorrente avente ad oggetto gli allegati al giudizio di reclamo). La soluzione adottata in concreto dal Tribunale è, peraltro, da intendersi del tutto coerente al principio ormai consolidato secondo cui la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, non rende improcedibile la istruttoria prefallimentare iniziata su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, nè consente la sospensione di quest’ultima, ma impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dalla legge fallimentare dagli artt. 162, 173 e 180 c.p.c., (Cass. 9935/2015); non ricorre, invero, alcuna pregiudizialità tecnico giuridica tra il procedimento prefallimentare e quello di concordato preventivo anche se dal sistema emerge la necessità di procedere ad una trattazione coordinata che consenta di valutare preliminarmente se il concordato preventivo risulti ammissibile e possa essere ammesso, approvato e poi omologato.

Infondata appare, invece, la censura svolta con l’ultimo motivo atteso che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità cui occorre dare seguito, la notificazione al debitore fallendo del ricorso di fallimento e del decreto di convocazione tramite polizia giudiziaria (tale la modalità menzionata dal ricorrente cui, per la verità, la Corte di merito non compie cenno alcuno) non è inesistente ma nulla sicchè il vizio resta sanato ove la notifica sia pervenuta nella sfera giuridica del destinatario nonchè, a maggior ragione, quando quest’ultimo si sia costituito spiegando difese di merito (Cass. n. 19797/2015; Cass. 17044/2016).

Orbene, poichè nel caso in esame, non è contestato che la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione si sia costituita nel corso della udienza prefallimentare, la eccezione con la quale è dedotta la violazione del contraddittorio non merita di essere accolta.

La questione di diritto meritevole di specifico e più dettagliato esame è quella posta con le censure introdotte con il primo ed il secondo motivo, tanto per violazione di legge, che per vizio di motivazione.

Ciò posto, va precisato che nessun difetto di motivazione può profilarsi nel caso in esame atteso che, per un verso, la motivazione poteva mantenersi nel “minimo costituzionale” (giusta l’applicabilità nel caso in esame dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella sua formulazione attuale e dato atto degli approdi interpretativi più recenti; cfr. Cass. 8053/2013) e, per altro verso, essa è comunque diffusa nel palesare le ragioni per le quali l’esito dei contenziosi in corso doveva ritenersi prognosticamente infausto (il contenzioso fiscale registrava due pronunce sfavorevoli mentre quello ordinario non consentiva di individuare esattamente i termini delle questioni prospettate).

In ogni caso, ed in linea generale, può ritenersi che la censura svolta per violazione di legge con il primo motivo sia infondata.

Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, invero, il Tribunale, nella fase di verifica della ammissibilità del concordato preventivo, è chiamato a valutare la coerenza, logicità e completezza della relazione predisposta dall’attestatore al fine di salvaguardare la idoneità informativa di quest’ultima e, comunque, nell’ottica di verificare se il concordato risulti, non solo giuridicamente, ma anche economicamente fattibile, ovverossia idoneo al perseguimento della sua causa concreta (tanto in conformità a Cass. S.U. 1521/2013).

Muovendo da queste premesse, è allora agevole considerare come sia corretta la soluzione adottata dal Tribunale prima, e dalla Corte di Appello poi, che hanno rilevato la carenza informativa della attestazione denunciando la conseguente aleatorietà dell’attivo concordatario. E’, invero, condivisibile l’affermazione secondo cui la attestazione di fattibilità compiuta dal professionista nei casi in cui l’attivo, in tutto o in parte, debba essere ricavato dall’esito favorevole di controversie non ancora definite, non possa prescindere da una adeguata rappresentazione del contenuto della domanda e da una puntuale esposizione delle circostanze che prognosticamente consentono di ipotizzare la vittoria in giudizio del proponente.

Sempre a tale proposito giova ancora rilevare che il rinvio compiuto dall’attestatore al parere di un legale non può ritenersi dirimente atteso che, anche a voler Ipotizzare l’ammissibilità di una motivazione della attestazione compiuta per relationem, occorre che il parere del legale rechi notizie tanto articolate da consentire la acquisizione di un quadro della controversia idoneo alla formulazione di un giudizio in chiave di futura probabilità.

Diversamente, il Tribunale non svolgerebbe il compito che gli è attribuito di garantire la adeguatezza dei contenuti informativi della proposta funzionale ad una votazione consapevole del ceto creditorio che, solo dinanzi ad una rappresentazione completa e coerente, può svolgere il sindacato di convenienza che evidentemente gli compete. Muovendo da queste premesse deve, allora, ritenersi del tutto non condivisibile l’assunto della ricorrente la quale sostiene che le corti di merito avrebbero dovuto valutare esclusivamente la fattibilità giuridica delle azioni pendenti ma non esaminarne le probabilità di successo alla stregua del contenuto informativo della attestazione. Per questi motivi conclude per il rigetto del ricorso.”;

3. ritenuto che le conclusioni del P.G. e le argomentazioni che le sorreggono sono interamente condivise dal Collegio, dovendosi solo aggiungere – quanto ai primi due motivi – che la sentenza ha rispettato il principio, affermato da Cass. 9061/2017 per cui “l’esplicito riferimento alla causa concreta, evocando il richiamo di una prospettiva funzionale, suppone un controllo sul contenuto della proposta finalizzato a stabilirne l’idoneità ad assicurare la rimozione dello stato di crisi mediante il previsto soddisfacimento dei crediti rappresentati. Ciò significa che la verifica di fattibilità, proprio in quanto correlata al controllo della causa concreta del concordato, comprende necessariamente anche un giudizio di idoneità, che va svolto rispetto all’assetto di interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici che il concordato persegue. Difatti non può esser predicato il primo concetto (il controllo circa l’effettiva realizzabilità della causa concreta) se non attraverso l’estensione al di là del mero riscontro di legalità degli atti in cui la procedura si articola, e al di là di quanto attestato da un generico riferimento all’attuabilità del programma. Da questo punto di vista non è esatto porre a base del giudizio una summa divisio tra controllo di fattibilità giuridica astratta (sempre consentito) e un controllo di fattibilità economica (sempre vietato) (…) non solo (dunque) non è vero che il controllo di fattibilità economica, per usare l’espressione fin qui impiegata, sia in sè vietato (v. Cass. n. 11497-14 e, da ultimo, Cass. n. 26329-16). Vuol dire anche che, nella prospettiva funzionale, è sempre sindacabile la proposta concordataria ove totalmente implausibile. E’ difatti riservata ai creditori solo la valutazione di convenienza di una proposta plausibile, rispetto all’alternativa fallimentare, oltre che, ovviamente, la specifica realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione per ciascuno di essi;

4. circa il terzo motivo, si può ripetere, con Cass. 1169/2017, che occorre conferire un significato di improcedibilità meramente temporanea e parziale – a superamento ed evoluzione di altri indirizzi (Cass. 9050/2014) – al principio che Cass. s. u. 9935/2015 ha inteso individuare in ogni atto con cui il tribunale, esplicitando una misura organizzatoria relativa alle domande di fallimento pendenti al momento della presentazione di una domanda di concordato preventivo ne affermi, a prescindere dalla denominazione impiegata, la inidoneità momentanea (cioè allo stato degli atti) ad essere decise nel solo senso positivo della conclusione voluta dagli istanti o richiedenti. Si è così statuito che finchè la procedura di concordato preventivo non ha avuto un esito negativo, il creditore che ha chiesto di regolare la crisi attraverso il fallimento non può ottenere la relativa dichiarazione. Tale inquadramento ha inteso superare sia la teorica della pregiudizialità tecnico-giuridica assoluta (prevalenza circoscritta essenzialmente al suo profilo meramente logico, id est il tendenziale esame preventivo della domanda di concordato), sia il principio della sospensione (anche atecnica ed invero comunque inammissibile): il procedimento prefallimentare è ancora extrema ratio rispetto alla primaria soluzione concordatizia, ma – pendendo la seconda domanda – nessuna conclusione lo può riguardare (rectius definire) “con una dichiarazione di improcedibilità”, potendo esso “proseguire con l’istruttoria e concludersi con il rigetto dell’istanza o della richiesta di fallimento”. Ne deriva che l’eventuale denominazione ciononostante ancora assunta in tal senso da un atto giudiziale, come accaduto nella vicenda in esame, risulta assorbita dai citati limiti ove la cd. improcedibilità (che le cit. Sezioni Unite puntualizzano chiarendo che non si ammette “il corso di un autonomo procedimento prefallimentare”, pendente il concordato, se non al verificarsi di uno degli eventi lato sensu negativi) sia dichiarata come mera conseguenza della apertura, nel frattempo disposta, del concordato preventivo, cui più puntualmente il debitore sia ammesso”; nella specie, appare decisivo che il tribunale abbia riunito i procedimenti di concordato e fallimento, atto organizzativo del tutto incompatibile con un provvedimento di sospensione assunto ai sensi dell’art. 295 c.p.c.;

5. ne consegue che il ricorso va rigettato, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 10.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2017

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