Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19925 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. VI, 29/09/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 29/09/2011), n.19925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 13608-2010 proposto da:

B.G. (OMISSIS) e B.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4, presso lo studio

dell’avvocato MERCOLINI MARCO, che li rappresenta e difende, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

IMMOBILIARE DOMUS SRL (OMISSIS) in liquidazione, in persona del

Liquidatore legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA OTTORINO LAZZARINI 19, presso lo studio

dell’avvocato PIZZUTI GIULIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PELLEGRINI ROSSANA, giusta delega e procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1482/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

22.9.09, depositata il 10/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. TOMMASO

BASILE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 10/11/2009 la Corte d’Appello di Firenze, in riforma della pronunzia Trib. Lucca 13/6/2005, accoglieva le riunite domande originariamente svolte dalla società IMMOBILIARE DOMUS s.r.l. in liq. nei confronti dei sigg.ri B.G. e M. che per l’effetto, rigettata la domanda dai medesimi spiegata in via riconvenzionale, condannava al pagamento di somma a titolo di corrispettivo per effettuati lavori di costruzione di un vano bagno completo di sanitari.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i B. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 MOTIVI. Resiste con controricorso la società IMMOBILIARE DOMUS s.r.l. in liq..

Con il 1^ MOTIVO i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2^ ed il 3^ MOTIVO denunziano omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su fatti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, si appalesano in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a qua (v.

Cass., 4/6/1999,n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dagli odierni ricorrenti.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come i medesimi facciano richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es. agli atti di citazione notificati in data 10.06.92, agli atti di appello, alla sentenza Trib. Lucca 13/6/2005, alla messa in liquidazione della IMMOBILIARE DOMUS s.r.l. con nomina del liquidatore P.A., alla cancellazione della società dalla camera di Commercio della provincia di Lucca come attestato dalla visura camerale che si versa in atti (Doc. n. 2), agli atti pubblici di compravendita e mutuo dei due immobili acquistati … ai rogiti del notaio Maccheroni, al supplemento di perizia con convocazione del CTU nominato e la formulazione del quesito comprendente i vizi costruttivi elencati, all’elencazione contenuta nella comparsa di costituzione e risposta del procedimento di primo grado limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass.. 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pongono questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 172/1995. n. 1161).

I ricorrenti pertanto non deducono le formulate doglianze in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, sicchè non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento delle denunziate violazioni (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo i ricorrenti viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritengono di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Deve ulteriormente porsi in rilievo che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si configura solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (cfr., in particolare, Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso, come nella specie, dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322), solamente a quest’ultimo spettando individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (v. Cass., 25/2/2004. n. 3803; Cass., 21/3/2001, n. 4025; Cass., 8/8/2000, n. 10417; Cass., Sez. Un., 11/6/1998, n. 5802; Cass., 22/12/1997, n. 12960).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già, come evidentemente suppongono gli odierni ricorrenti, il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v., da ultimo v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 20/10/2005, n. 20322; v. Cass., 27/4/2005, n. 8718; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 21/3/2001, n. 4025; Cass., 8/8/2000, n. 10417; Cass., 8/8/2000, n. 10414; Cass., Sez. Un., 11/6/1998, n. 5802; Cass., 22/12/1997, n. 12960).

Al riguardo, gli odierni ricorrenti non hanno d’altro canto formulato censura ex artt. 115 e 116 c.p.c..

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., i ricorrenti in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443)”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;

rilevato che le parti non hanno presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in camera di consiglio;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;

ritenuto che il ricorso va pertanto rigettato;

considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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