Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19925 del 22/09/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 19925 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: GHINOY PAOLA

SENTENZA

sul ricorso 18177-2012 proposto da:
INGRATOCI SCORCIAPINO CALOGERA c.f. NGRCGR35E56B666Q,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. VALESIO l,
presso lo studio dell’avvocato PACE EUGENIO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANGANO
WALTER, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
1875

contro

CASELLA GIOVANNA C.F. CSLGNN62H64I283N, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI VITELLESCHI 26,
presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO

Data pubblicazione: 22/09/2014

PASSALACQUA, rappresentata e difesa dall’avvocato
PIZZUTO FRANCESCO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 711/2011 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 25/07/2011 R.G.N. 742/2006;

udienza del 27/05/2014 dal Consigliere Dott. PAOLA
GHINOY;
udito l’Avvocato MANGANO WALTER;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R. Gen. N. 18177/2012
Udienza 27.5.2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza n. 711 del 2011 la Corte d’Appello di Messina riformava
parzialmente la sentenza del Tribunale di Patti e dichiarava che fra Calogera
Ingratoci Scorciapino e Giovanna Casella era intercorso una rapporto di lavoro di
natura subordinata per il periodo dal 2 maggio 1989 al 4 febbraio 1994 e che in virtù

commessa nell’esercizio di abbigliamento della (all’epoca) suocera, sito in Capo
d’Orlando – la lavoratrice aveva diritto a percepire l’importo di C 39.465,51 oltre
interessi legali e rivalutazione monetaria. Allo scopo la Corte valorizzava la
circostanza che dal 4 febbraio 1994 al 6 dicembre 1996 era stato formalizzato tra le
parti un rapporto di impresa familiare ex art. 230 bis c.c.; riteneva pertanto che la
prestazione di lavoro subordinato potesse essere intercorsa soltanto per il periodo
anteriore a tale data, mentre per il periodo successivo al 6 dicembre 1996, a
differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, non poteva ritenersi che l’attività di
partecipazione all’impresa familiare fosse effettivamente cessata.
Per la cassazione di tale sentenza Calogera Ingratoci Scorciapino ha proposto
ricorso affidato a due motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha
resistito Giovanna Casella con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
111 ricorso per cassazione è affidato a due motivi
1.1.Come primo motivo la ricorrente deduce “Violazione o falsa applicazione
degli articoli 2094, 2697 primo comma e 2727 del codice civile e omessa o
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
Sostiene che una volta accertato che la dichiarazione di impresa familiare del 2
febbraio 1994 aveva dato una veste formale ad una situazione pregressa esistente da
tempo, la Corte avrebbe dovuto inquadrare il rapporto intercorso tra le parti anche
per il periodo anteriore nell’ambito delle prestazioni gratuite effettuate affectionis vel

benevolentiae causa oppure dell’impresa familiare, il che peraltro sarebbe stato
coerente con l’omessa dimostrazione in giudizio, da parte della ricorrente, degli
elementi caratterizzanti il lavoro subordinato, quali l’onerosità della prestazione e la
sussistenza del vincolo di subordinazione.
Paoja3hinoy, estensore
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del suddetto rapporto – che aveva avuto ad oggetto l’esercizio di mansioni di

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Udienza 27.5.2014

1.2. Come secondo motivo deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione relativa alla valutazione delle risultanze probatorie in ordine alla natura
subordinata della prestazione resa nel periodo dal 1989 al febbraio 1994.
2. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto
attengono entrambi, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di

subordinato la prestazione svolta nel periodo compreso tra il 4 febbraio 1994 e il 6
dicembre 1996, non sono fondati.
2.1. Il carattere residuale dell’impresa familiare, quale risulta dallmincipit”
dell’art. 230 bis cod. civ., mira a coprire le situazioni di apporto lavorativo
all’impresa del congiunto – parente entro il terzo grado o affme entro il secondo – che
non rientrino nell’archetipo del rapporto di lavoro subordinato o per le quali non sia
raggiunta la prova dei connotati tipici della subordinazione, con l’effetto di confinare
in un’area limitata quella del lavoro familiare gratuito. Nei casi nei quali un’attività
lavorativa sia stata svolta nell’ambito dell’impresa, il giudice di merito deve tuttavia
valutare le risultanze di causa per distinguere tra la fattispecie del lavoro subordinato
e quella della compartecipazione all’impresa familiare, escludendo comunque la
causa gratuita della prestazione lavorativa per ragioni di solidarietà familiare. (Cass.
Sez. L, Sentenza n. 20157 del 18/10/2005).
Sulla base di tale principio, la Corte di merito ha accertato quali fossero le
modalità con le quali la prestazione lavorativa era stata resa e, pur tenendo in
considerazione il vincolo di affinità che legava la Casella alla proprietaria del
negozio, che all’epoca ne era la suocera, ha confermato la sentenza del Tribunale che
aveva valorizzato le deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che il rapporto
effettivamente realizzato era dotato delle caratteristiche della subordinazione,
desunte in particolare dalla presenza continuativa della ricorrente in negozio e dal
suo orario di lavoro.
2.2. Occorre qui ribadire che il controllo di logicità del giudizio di fatto,
consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c. (nella formulazione operante

ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta dall’ dall’art. 54, D.L. 22 giugno
2012, n. 83, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), non equivale a revisione del
Paola hinoy, estensore
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motivazione, alla valutazione della Corte di merito che ha ritenuto di lavoro

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Udienza 27.5.2014

ragionamento decisorio, ossia dell’opzione del giudice del merito per una determinata
soluzione della questione esaminata, posto che essa equivarrebbe ad un giudizio di
fatto, risolvendosi in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione
assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità: con la conseguente estraneità
all’ambito del vizio di motivazione della possibilità per questa Corte di procedere a

risultanze degli atti di causa (Cass. 28 marzo 2012, n. 5024; Cass. 19 marzo 2009, n.
6694). Sicché, per la configurazione di un vizio di motivazione su un asserito fatto
decisivo della controversia è necessario che il mancato esame di elementi probatori
contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con
giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze
fondanti il convincimento del giudice, onde la ratio decidendi appaia priva di base,
ovvero che si tratti di elemento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo,
modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione e perciò tale che, se
tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da
quella adottata (Cass. 21 aprile 2006, n. 9368: Cass. 7 luglio 2005, n. 14304).
Tale decisività non si verifica tuttavia nel caso di specie. Le circostanze
valorizzate dalla ricorrente sono infatti il contenuto di alcune delle deposizioni
testimoniali escusse e la dichiarazione di impresa familiare sottoscritta il 1 febbraio
1994, che avrebbe ratificato una situazione preesistente nella parte in cui dispone che
Mangano Salvatore non ne avrebbe fatto più parte. Si rileva però, quanto ai
testimoni, che la Corte ha ratificato la valutazione di maggiore attendibilità di alcuni
di essi rispetto agli altri per la loro qualità soggettiva e la maggiore conoscenza dei
fatti di causa, sicché non può essere sollecitata una diversa valutazione sul merito di
tale scelta da parte di questa Corte di legittimità; quanto alla dichiarazione di impresa
familiare, che la Corte d’Appello ne ha tenuto presente la natura esplicitamente
costitutiva, finalizzata a determinare con effetto per il futuro i diritti dei collaboratori
ivi indicati, tra i quali viene individuata la Casella, a nulla rilevando che la
prestazione del Mangano potesse per il passato configurarsi in un modo diverso.

Pao Ghinoy, estensore
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nuovo giudizio di merito attraverso un’autonoma e propria valutazione delle

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3. Per le esposte considerazioni il ricorso dev’essere rigettato. Le spese del
presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del

oltre ad € 100,00 per esborsi ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27.5.2014

presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali,

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