Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19921 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 23/09/2020), n.19921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11450/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Bresaole Pini Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Enrico Canepa,

con domicilio eletto presso l’Avv. Beatrice Aureli in Roma via G.

Paisiello n. 26/a/7, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 1278/06/16, depositata il 8 novembre 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 ottobre

2019 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Bresaole Pini Srl impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle dogane in relazione all’importazione di carni bovine congelate, operata nel 2008 con l’indebita utilizzazione del certificato AGRIM rilasciato a nome della Carni New System Srl, così fruendo del trattamento daziario agevolato in luogo di quello ordinario.

L’Ufficio evidenziava che: nel marzo 2008 la contribuente aveva comprato 13.550 Kg di carne bovina congelata in (OMISSIS); nel successivo mese di aprile aveva venduto, in posizione estera, la partita di merce alla Carni New System Srl; quest’ultima società aveva importato la merce allegando la certificazione AGRIM e, lo stesso giorno, aveva ceduto la merce nazionalizzata alla Bresaole Pini Srl ad un prezzo maggiorato.

La Commissione tributaria provinciale di Savona accoglieva il ricorso ritenendo che l’operazione non configurasse una fattispecie di abuso del diritto.

La sentenza era confermata dalla CTR della Liguria che escludeva che l’operazione fosse priva di sostanza economica avendo la Carni New System Srl conseguito un profitto e riteneva non configurabile l’abuso del diritto poichè anche la cessione dei titoli AGRIM era consentita.

L’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione con un motivo. Resiste la contribuente con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. L’unico motivo del ricorso denuncia violazione del Reg. n. 1291/2000/CE, art. 9, in combinato disposto al Reg. n. 954/2002/CE. 1.1. L’Agenzia delle dogane lamenta in particolare:

(a) la società Carni New System Srl era importatore meramente fittizio, mentre l’importatore reale era la società Bresaole Pini Srl;

(b) la vendita delle merci dopo la nazionalizzazione è stata in realtà elusiva in quanto diretta a conseguire l’indebita fruizione dell’imposizione daziaria ridotta, senza che assuma rilievo la possibilità, consentita dal Reg. n. 529/2007/CE, della cessione dei titoli AGRIM, poichè il Reg. n. 1291/2000/CE, art. 9, commi 3 e 4, permette il trasferimento dei diritti derivanti dai titoli solo a seguito di specifica domanda del titolare all’organismo emittente;

(c) l’operazione, in ogni caso, era caratterizzata da profili di anomalia poichè l’importatore non aveva mai avuto la disponibilità della merce e i documenti veterinari indicavano come importatore la Bresaole Pini Srl.

2. Il motivo è fondato.

3. Occorre premettere, invero, che i confini dell’abuso del diritto in materia doganale, e i requisiti che permettono, correlativamente, di ritenere legittimo il comportamento degli operatori, sono stati oggetto di specifica e articolata considerazione da parte della Corte di Giustizia con la sentenza 14 aprile 2016, in C-131/14, M.C., cui sono seguite, in coerenza con i principi enunciati, le pronunce di questa Corte (Cass. n. 2067 del 27/01/2017; Cass. n. 8041 del 29/03/2017).

Va evidenziato, invero, che le fattispecie ivi in considerazione sono similari a quella del presente giudizio: in quel caso, l’acquisto estero della merce era stato operato da altro operatore su ordine dell’operatore importatore tradizionale (mentre qui l’acquisto originario era stato compiuto direttamente dalla Bresaole Pini Srl, che, peraltro, aveva ceduto, in posizione estera, la merce alla Carni New System Srl, che poi aveva importato la merce) e, effettuata l’importazione, vi erano state più cessioni prima che il bene approdasse al destinatario finale (mentre qui vi era stata solo l’intermediazione della Carni New System Srl, che aveva ceduto la merce il giorno stesso dell’importazione).

Nelle richiamate vicende la tipologia di merce (aglio) era normativamente caratterizzata dal divieto di cessione dei certificati AGRIM; nel caso in questione, invece, la cessione era consentita ma soggetta a specifica regolamentazione e richiedeva la domanda del titolare del diritto (la Carni New System Srl) e la registrazione del cessionario (la Bresaole Pini Srl) da parte dell’autorità emittente.

In altri termini, dunque, il nucleo della contestazione tra le diverse ipotesi è sostanzialmente omogeneo: l’importazione, ad opera dell’importatore tradizionale, che aveva esaurito i titoli abilitanti in suo possesso, sarebbe avvenuta attraverso società di comodo, non svolgenti un’attività commerciale effettiva, in vista nel caso esaminato dalla Corte di Giustizia – del superamento del divieto di cessione dei titoli e – nel caso qui in giudizio – del compimento della cessione fuori dalle procedure e controlli previsti dalla disciplina unionale, così da fruire, in entrambi i casi, dell’agevolazione daziaria.

3.1. Pare opportuno precisare che, per la natura interpretativa delle norme dei trattati e del diritto derivato delle sentenze del giudice unionale del Lussemburgo, i relativi principi hanno efficacia erga omnes rispetto a vicende omogenee rispetto a quelle esaminate in sede di rinvio pregiudiziale TFUE, ex art. 267, stante anche la rilevabilità d’ufficio delle questioni che involgono l’applicazione del diritto unionale al fine di evitare possibili contrasti fra diritto interno e diritto sovranazionale.

Va sicuramente colta la differenza tra le due vicende quanto all’esistenza, in un caso, di un divieto di cessione e, nell’altro, di una cessione regolamentata. Tale differenza, peraltro, non ha caratteri di significatività tali da rendere inconferenti, nel presente giudizio, i principi espressi dalla Corte di Giustizia (v. anche, da ultimo, Cass. n. 25068 del 8/10/2019, relativa alla medesima contribuente).

3.2. E’ preliminare, in secondo luogo, l’individuazione del quadro normativo di riferimento in concreto applicabile.

La fattispecie in giudizio trova la sua specifica disciplina nel Reg. n. 529 del 2007, (e non, come asserito dal controricorrente, il n. 431 del 2008, peraltro di identico contenuto, attesa la tempistica, risultando la bolletta d’importazione emessa in data 1 aprile 2008), che, in particolare, nel rinviare alle disposizioni del Reg. n. 704 del 2006, prevede un metodo di gestione “basato su un criterio che valuta i risultati delle importazioni in modo da garantire che il contingente sia attribuito a operatori professionisti in grado di importare carni bovine senza indebite speculazioni” (4 considerando) e, quindi, all’art. 4 introduce, ai fini dell’assegnazione delle quantità disponibili, la nozione di “quantitativo di riferimento” in rapporto a quanto importato nel precedente contingente (“Ai fini dell’applicazione del Reg. (CE) n. 1301 del 2006, art. 5, gli operatori che hanno richiesto diritti di importazione devono dimostrare che un quantitativo di carni bovine di cui ai codici NC 0201, 0202, 0206 10 95 oppure 0206 29 91 è stato importato dagli stessi operatori o per loro conto a norma delle disposizioni doganali pertinenti tra il 1 maggio 2006 e il 30 aprile 2007 (di seguito “quantitativo di riferimento”)”.

Si tratta di nozione ulteriormente fissata dal successivo art. 5, comma 1, secondo periodo, che prevede “Il quantitativo totale oggetto delle domande di diritti d’importazione presentate nel corso del periodo contingentale non può superare i quantitativi di riferimento del richiedente. Le domande non conformi a questa regola sono respinte dalle autorità competenti”.

L’art. 7, (v. anche il 9 considerando) prevede infine che “1. L’immissione in libera pratica dei quantitativi attribuiti nel quadro del contingente di cui all’art. 1, paragrafo 1, è subordinata alla presentazione di un titolo d’importazione.

2. Le domande di titoli di importazione devono riguardare l’intero quantitativo attribuito. Tale obbligo costituisce un’esigenza principale ai sensi del Reg. (CEE) n. 2220 del 1985, art. 20, paragrafo 2”.

Va sottolineato, per quanto rileva, che il Reg. n. 704/2006/CE, rinviava al precedente atto normativo comunitario (Reg. n. 715/2005/CE), che, a sua volta, rinviava al Reg. n. 1203/2004/CE, che aveva fornito la prima disciplina innovativa su alcuni profili (la gestione del II contingente e la circolazione dei titoli, essendo stata eliminata la deroga al Reg. n. 1291/2000/CE, art. 9), rispetto al passato ma aveva sempre confermato (e, anzi, rafforzato in termini espliciti) gli obbiettivi perseguiti, ossia, in particolare, che l’assegnatario deve essere un operatore effettivo e non fittizio e debbono essere evitate speculazioni sui titoli.

L’esigenza che le operazioni siano effettive e siano poste in essere da veri importatori, del resto, caratterizza l’intera disciplina, come emerge, tra l’altro, dalla presenza di una cauzione (destinata ad essere incamerata ove il titolo non venga utilizzato), la cui previsione, in termini generali, viene individuata quale specifica generale salvaguardia dal Reg. n. 1254/1999/CE, (“relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine”) che all’art. 29, comma 1, quarto periodo, dispone “Il rilascio del titolo è subordinato alla costituzione di una cauzione che garantisca l’impegno di importare o di esportare durante il periodo di validità del titolo e che, salvo in caso di forza maggiore, resta acquisita in tutto o in parte se l’operazione non è realizzata, o se è realizzata solo parzialmente, entro tale termine”.

La richiamata disciplina, poi, si inserisce nel più ampio contesto previsto dal Reg. n. 1301/2006/CE, (“norme comuni per la gestione dei contingenti tariffari per l’importazione di prodotti agricoli soggetti a un regime di titoli di importazione”).

L’art. 5, in particolare, impone che il richiedente abbia già operato con paesi terzi, fornendone la relativa prova che può essere integrata solo dai documenti doganali di immissione in libera pratica.

L’art. 6, inoltre, con riguardo al “metodo dell’esame simultaneo” (ossia secondo un metodo di assegnazione di assegnazione dei titoli in proporzione ai quantitativi complessivamente richiesti) consente, a pena di irricevibilità, la presentazione di una sola domanda, che comma 5, – “non può avere ad oggetto per un determinato periodo o sottoperiodo contingentale, un quantitativo superiore, a seconda dei casi, al quantitativo o al massimale fissato dal regolamento della Commissione relativo al contingente tariffario in questione per il periodo o sottoperiodo considerato”.

Tale ultima condizione, invero, non è richiesta per il metodo di gestione basato su documenti rilasciati dai paesi terzi (art. 13) ma ciò sull’evidente presupposto che il vincolo sorge in forza del documento medesimo.

Da ultimo, va ricordato il Reg. n. 1291/2000/CE, art. 9, il cui comma 1, prevede:

“Gli obblighi derivanti dai titoli non sono trasferibili. I diritti derivanti dai titoli sono trasferibili dal titolare durante il periodo di validità degli stessi. Il trasferimento può intervenire a favore di un solo cessionario per ogni titolo e relativo estratto. Esso verte sulle quantità non ancora imputate sul titolo o sull’estratto” mentre al comma 3, stabilisce:

“In caso di domanda di trasferimento da parte del titolare o di retrocessione da parte del cessionario, l’organismo emittente o l’organismo o uno degli organismi designati da ciascuno Stato membro iscrive sul titolo o, se del caso, sull’estratto;

– il nome e l’indirizzo del cessionario, o la dicitura di cui al paragrafo 2;

– la data di tale iscrizione certificata mediante apposizione del suo timbro”.

E’ esclusa, invece, l’applicazione del Reg. n. 376/2008/CE, art. 8, (dedotta dal controricorrente), comunque di equivalente contenuto, entrato in vigore in epoca successiva alla vicenda in esame.

3.3. Il quadro sopra delineato appare in gran parte congruente a quello preso in considerazione dalla Corte di Giustizia nella citata decisione (seppure in riferimento ad un diverso prodotto) quanto al trattamento normativo e alla individuazione degli obbiettivi, e, anzi, per taluni profili si presenta in termini ancora più incisivi poichè, a differenza di quello, non prende in considerazione, per regolare l’assegnazione del contingente, le categorie importatori tradizionali/nuovi importatori ma postula sempre la pregressa qualità di operatore con paesi terzi.

Detta disciplina, poi, persegue l’obbiettivo che l’attribuzione del contingente fosse attribuito a professionisti effettivi (ossia connessi ad una attività commerciale effettiva); che fossero evitate speculazioni sui titoli; che vi sia corrispondenza tra quantità assegnata e quantità di riferimento con obbligo di pari corrispondenza tra domande di titoli di importazione e quantitativo attribuito.

L’evidente presupposto che il legislatore unionale ha inteso così valorizzare è costituito dalla necessità che gli operatori interessati posseggano e conservino una professionalità specifica nel settore.

Coerente con questi obbiettivi è poi la previsione per cui la cessione del titolo è sì possibile ma postula, Reg. n. 1291/2000/CE, ex art. 9, un controllo da parte dell’autorità emittente, che incide sulle caratteristiche del cessionario – non solo se “nuovo” importatore, ma anche, e soprattutto, se già assegnatario di una quota, per il quale rileva la “quantità di riferimento” che costituisce il parametro in base al quale l’assegnata è stata operata – ed influisce sull’intero sistema di regolamentazione dei contingenti annuali, permettendo l’ingresso di nuovi soggetti o l’ampliamento delle quote di riferimento.

Il divieto di cessione, talvolta previsto ovvero contemplato per alcuni prodotti, costituisce, in questa prospettiva, solo una modalità più rigida di un unitario meccanismo di gestione.

3.4. La Corte di Giustizia, invero, con riguardo alla fattispecie ivi esaminata, ha affermato, che un meccanismo come quello sopra delineato (ossia, dove si registra da parte dell’effettivo utilizzatore l’acquisto del bene nazionalizzato mentre allo stato estero le operazioni vedevano altri soggetti in posizione di intermediazione) non può essere considerato a priori elusivo.

Per una tale valutazione, infatti, è necessario che siano configurabili un elemento oggettivo, che si manifesta in un insieme di circostanze da cui risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è stato raggiunto, e un elemento soggettivo, ossia che, in base a circostanze oggettive, lo scopo essenziale delle operazioni controverse è, in realtà, quello di ottenere un vantaggio indebito mediante l’artificiosa creazione delle condizioni richieste per il suo conseguimento.

Più specificamente, la Corte, nella prospettiva di fornire chiare indicazioni al giudice nazionale, ha precisato che tale abuso va accertato verificando che, quanto all’elemento oggettivo, il descritto meccanismo non comporti:

– “nè un’influenza indebita di un operatore sul mercato – e, in particolare, un’elusione, da parte degli importatori tradizionali, del Reg. n. 565 del 2002, art. 5, paragrafo 3, -“, disposizione secondo la quale le domande di titoli presentate non possono riguardare, per campagna d’importazione, “una quantità superiore alla quantità di riferimento dell’importatore di cui trattasi”, norma che ha il medesimo contenuto – con riferimento al prodotto qui in giudizio e al Reg. n. 529/2007/CE, – dell’art. 5, comma 1, secondo periodo, già citato, secondo il quale “Il quantitativo totale oggetto delle domande di diritti d’importazione presentate nel corso del periodo contingentale non può superare i quantitativi di riferimento del richiedente….”

– “nè una violazione dell’obiettivo secondo cui le domande di titoli devono essere connesse ad un’attività commerciale effettiva” e non meramente apparente;

– che, inoltre, “ogni fase del meccanismo si svolga a fronte di un prezzo corrispondente al prezzo di mercato”, profilo, questo, su cui la Corte di Giustizia poi ritorna imponendo al giudice nazionale di “verificare se ogni operatore coinvolto percepisca una remunerazione adeguata per l’importazione, la vendita o la rivendita della merce di cui trattasi, che gli consenta di mantenere la posizione assegnatagli nell’ambito della gestione del contingente” (punto 43);

– che, infine, “l’importazione a dazio agevolato venga effettuata mediante titoli legalmente ottenuti dal loro intestatario”.

Una volta accertato, in ipotesi, l’elemento oggettivo (ossia che il meccanismo posto in essere comprometta gli obbiettivi perseguiti dal regolamento), la verifica che la pratica sia abusiva richiede la presenza cumulativa di un elemento soggettivo, ossia che essa “abbia lo scopo essenziale di conferire al secondo acquirente nell’Unione un vantaggio indebito”, soggetto qui da identificare con il primo acquirente non essendovi una pluralità di intermediari.

La Corte di Giustizia a tal fine indica le condizioni che debbono essere oggetto di verifica e in particolare:

– se “l’importazione sia stata finalizzata a conferire un tale vantaggio a detto acquirente”;

– se “le operazioni siano prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale per l’importatore nonchè per gli altri operatori intervenuti nel meccanismo” (punto 47);

e cura di fornire un parametro di verifica esemplificativo, costituito dal criterio che “il prezzo di vendita della merce fosse fissato a un livello tale da permettere all’importatore e agli altri operatori intervenuti nel meccanismo di trarre un guadagno considerato normale o abituale, nel settore interessato, per il tipo di merce e di operazione in questione”, precisando altresì, come criterio sussidiario, che “la mera circostanza che tale remunerazione sia inferiore all’importo del dazio specifico dovuto per le importazioni fuori contingente è ininfluente per stabilire se tale remunerazione sia normale o abituale, nel settore interessato, per il tipo di merce e di operazione in questione” (punto 48).

Dopo ulteriori indicazioni, infine, la Corte di Giustizia, sul rilievo che “non si può escludere che, in determinate circostanze, un meccanismo come quello di cui trattasi (…) venga attuato essenzialmente allo scopo di creare artificiosamente le condizioni richieste per ottenere il dazio agevolato” formula il criterio secondo il quale “fra gli elementi che potrebbero consentire di dimostrare il carattere artificioso di un siffatto meccanismo figura segnatamente la circostanza che l’importatore intestatario dei titoli non abbia assunto alcun rischio commerciale, o anche la circostanza che il margine di profitto dell’importatore sia insignificante o che il prezzo della vendita (…) sia inferiore a quello di mercato” (punto 51).

3.5. La CTR non si è attenuta ai principi sopra esposti.

Centrale, in tal senso, è la devalutazione delle modalità di gestione della cessione di titoli AGRIM di cui al Reg. n. 1291/2000/CE, art. 9, che costituisce parametro normativo da valutare, necessariamente, in relazione agli obbiettivi perseguiti con la complessiva disciplina pertinente, già evidenziati.

Sul punto, va senz’altro sottolineato che la contribuente aveva già esaurito i titoli abilitanti propri, sicchè l’acquisto dei diritti derivanti da certificazioni di altro operatore era suscettibile di comportare quella che la Corte di Giustizia ha definito “un’influenza indebita di un operatore sul mercato” ed una elusione della disciplina sulla “quantità di riferimento”.

E tale mancanza, sommariamente valutata dalla CTR come “mera violazione formale”, andava invece considerata alla luce delle complessive condizioni e parametri enunciati dalla Corte di Giustizia e prima riportati, cui va assegnato valore di principio di diritto di immediata applicazione (v. sulla questione Cass. n. 19301 del 12/09/2014).

Va rilevato inoltre che la CTR afferma esservi stata una remunerazione (“profitto”) da parte della società intermediatrice ma tale affermazione, estremamente generica, non è coerente con l’accertamento che la Corte di Giustizia ritiene invece necessario, neppure emergendo se la Carni New System Srl fosse o meno un operatore effettivo e se avesse, in concreto, assunto la gestione della merce o rischi commerciali. Merita di essere sottolineato, invero, che il controricorrente, con riguardo al dedotto interesse e vantaggio economico della Carni New System Srl, pone in risalto (pag. 22) “l’interesse di poter beneficiare per l’anno successivo delle quote di contingente che le erano state assegnate e che non avrebbe potuto utilizzare se non avesse collaborato con un’altra impresa operante nello stesso settore”, affermazione che parrebbe porre in dubbio l’esistenza stessa dei caratteri di operatore effettivo del settore.

4. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione, che si atterrà, in applicazione dei principi di diritto di cui alla sentenza della Corte di Giustizia del 14 aprile 2016, in C131/14, ai principi enunciati in motivazione e, specificamente, ai punti 3.3.-3.5.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Liguria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

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