Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19921 del 05/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/10/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 05/10/2016), n.19921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25463-2014 proposto da:

R.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE TUPINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA CORBO, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ITALCEMENTI S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 27, presso lo STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIACINTO FAVALLI e PAOLO

ZUCCHINALI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5741/2012 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 21/11/2012 R.G.N. 2816/10;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udito l’Avvocato NICOLA CORBO;

udito l’Avvocato PAOLO ZUCCHINALI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello dl Salerno con ordinanza del 4.4.2014 dichiarava Inammissibile ex artt. 436 bis, 348 bis e 348 ter c.p.c. l’appello proposto da R.R. avverso la sentenza del 21.11.2012 del Tribunale di Salerno che aveva rigettato la domanda del R. concernente l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato al R.. Secondo la Corte di appello non sussistevano ragionevoli probabilità di accoglimento dell’appello posto che in ordine al primo motivo la tesi per cui non sarebbe possibile una motivazione per relationem ad altra decisione era contraddetta dalla giurisprudenza di legittimità che ritiene questo tipo di motivazione ammissibile purchè venga indicato il contenuto della decisione richiamata e le ragioni per cui si ritiene di condividere il provvedimento, il che era avvenuto. In ordine al secondo motivo e cioè l’avvenuta violazione dell’art. 112 c.p.c. non solo la doglianza era in realtà rivolta alla precedente fase giudiziaria (il recesso era già stato Impugnato), ma – poichè vi era stato già un pronunciamento di merito sullo stesso licenziamento – la nuova impugnazione del recesso costituiva un chiaro abuso del processo.

Per la cassazione dl tale ordinanza propone ricorso il R. con due motivi; resiste controparte con controricorso corredato da memoria. Il R. ha depositato memoria per contro dedurre sulle conclusioni del P.G.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 188 disp. att. 1c.p.c., dell’art. 11 Cost. nonchè di ogni altra norma e principio in materia di obbligo di motivazione della sentenza e di motivazione per relationem. Il Tribunale aveva solo richiamato quanto osservato dalla Corte di appello di Salerno in un precedente procedimento avente ad oggetto la legittimità dello stesso recesso senza spiegare minimamente le ragioni per cui si riteneva dl condividere quanto accertato dalla Corte.

Il motivo appare infondato avendo correttamente la Corte di appello valutato che il Tribunale non si era discostato dalle indicazioni offerte In materia di motivazione per relationem dalla giurisprudenza di legittimità. Il Tribunale infatti ha esaminato nel dettaglio l’accertamento della Corte di appello di Salerno (che aveva già valutato la legittimità del recesso) sia in ordine alle contestazioni mosse al dipendente R. (che sono state elencate in dettaglio), sia in ordine alla sussistenza delle stesse che relativamente alla loro idoneità a rompere il vincolo fiduciario tra le parti. Il Tribunale ha quindi verificato sul piano fattuale l’esistenza del fatto contestato e sul plano giuridico la rituale contestazione degli addebiti ed infine la non sproporzione tra fatti contestati e sanzione irrogata e cioè tutti gli elementi sostanziali e procedurali essenziali per valutare la legittimità del recesso. Quindi non vi è stata alcuna violazione dell’obbligo di motivazione avendo il Tribunale riportato con precisione (sia pure sinteticamente) la base del proprio convincimento.

Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 112 c.p.c. e di ogni altra norma o principio in materia di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di abuso del processo. Il R. si era rivolto al Giudice una prima volta censurando il recesso sotto i soli profili formali denunciando la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7; la Corte di appello (nel primo procedimento) aveva quindi violato l’art. 112 c.p.c. esaminando anche la legittimità nel merito del licenziamento ed il Tribunale di Salerno con la decisione di primo grado in questo procedimento aveva errato nel richiamare una sentenza emessa in un procedimento in cui non si era affrontata la questione dei vizi sostanziali del recesso. Il procedimento precedente era peraltro ancora pendente e si era posta in Cassazione la questione della violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il motivo appare infondato. Deve premettersi che nelle more del presente processo questa Corte con sentenza n. 4867/2016 ha rigettato il ricorso del R. nel primo procedimento concernente il recesso intimatogli dall’Italcementi (vi compreso il motivo concernente la pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c..

Ciò detto ritiene questo Collegio che la Corte di appello correttamente abbia ravvisato nella nuova impugnazione del licenziamento Intimato al R. per vizi sostanziali, come dedotto nel motivo, dopo una prima impugnazione per soli vizi procedurali un abuso di diritto. Come questa Corte ha avuto modo dl precisare proprio nella pronuncia già ricordata sul primo procedimento intentato dal R. “in tema di licenziamento non è consentito di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di due distinti giudizi lamentando, in uno, solo vizi formali e, nell’altro, vizi dl merito, con conseguente disarticolazione dell’unitario rapporto Sostanziale nascente dallo stesso fatto, trattandosi di una condotta lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, che si risolve in un abuso dello strumento processuale e si pone in contrasto con i principi del giusto processo”. (Cass. n. 4867/2016). La Corte al punto 2.5. ha Infatti specificato che “va considerato che l’inconveniente che viene lamentato nel presente ricorso nasce dalla scelta del R. di “frazionare” la propria tutela giurisdizionale rispetto ad una unica vicenda (il licenziamento subito) mediante la proposizione di distinte domande proposte in vari giudizi, determinando così una disarticolazione dell’unitario rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto non giustificata da un effettivo e necessitato sviluppo processuale e che, oltre ad essere lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede per l’aggravamento della posizione della controparte, si risolve, in base al principi affermati da questa Corte e condivisi dal Collegio, anche in un abuso dello strumento processuale (arg. ex: Cass. 22 dicembre 2011, n. 28286; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21318; Cass. 9 luglio 2015, n. 14347). Da una simile scelta – che, di per sè, si pone in contrasto con i principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., non solo perchè come si è detto rende più gravosa la tutela giurisdizionale della controparte, ma anche perchè incide negativamente sulla ragionevole durata del processo stesso e comunque ha immediate e negative ricadute sul canone della economia processuale in contrasto con l’art. 6 CEDU, anche sotto il profilo della esposizione dello Stato (oltre che delle parti) ad oneri e spese processuali superflui – possono derivare anche inconvenienti come quello oggi lamentato”. Si tratta di affermazioni che questo Collegio condivide In toto ed alle quali ritiene di dover dare continuità. Pertanto l’ordinanza impugnata è coerente con l’orientamento di questa Corte.

Si deve quindi rigettare li proposto ricorso. Le spese di lite – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.

La Corte ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della Sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi. Nonchè spese generali al 15% ed accessori come per legge.

La Corte ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza del presupposti per II versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2016

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