Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19920 del 05/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 05/10/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 05/10/2016), n.19920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4099-2014 proposto da:

PFIZER ITALIA S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio legale TOFFOLETTO – DE LUCA

TAMAJO E SOCI, rappresentata e difesa dagli avvocati RAFFAELE DE

LUCA TAMAJO, FEDERICA PATERNO’, FRANCO TOFFOLETTO, ALDO BOTTINI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma

in Via Giuseppe Ferrari, 2 presso lo studio dell’Avvocato GIORGIO

ANTONINI, che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato

PIERGIOVANNI ALLEVA, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 360/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/08/2013 R.G.N. 888/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito l’Avvocato GAROFALO BENEDETTA per delega verbale Avvocato DE

LUCA TAMAJO RAFFAELE;

udito l’Avvocato DEL DUCA VINCENZO per delega verbale ALLEVA

PIERGIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 12 agosto 2013, ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del primo dei ventuno contratti di somministrazione a tempo determinato stipulati da V.G. con l’Agenzia ADECCO ed ha condannato la s.r.l. Pzifer Italia, impresa utilizzatrice, a ripristinare il rapporto di lavoro nonchè al pagamento di una indennità omnicomprensiva pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, con gli accessori di legge.

La Corte anzidetta ha ritenuto che nella specie era applicabile la L. n. 183 del 2010, art. 32, pur essendo l’ultimo contratto cessato prima dell’entrata in vigore di tale legge; che il differimento al 31 dicembre 2011 dei termini previsti dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1-bis, introdotto dal D.L. 29 dicembre 2010 n. 225, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2011 n. 10, ha portata retroattiva e si applica a tutte le fattispecie, diverse dai licenziamenti, contemplate dall’art. 32, e quindi anche all’impugnativa dei contratti a termine; che il differimento riguarda sia il termine di sessanta giorni previsto per l’impugnazione che il termine di duecentosettanta giorni stabilito per l’instaurazione del giudizio; che nella specie non era maturata alcuna decadenza, essendo stato il ricorso introduttivo depositato il 30 novembre 2011; che la causale “punte di più intensa attività” apposta ai contratti non era generica, ma i contratti erano nulli a causa della mancanza di prova della effettività delle ragioni indicate nei contratti, tanto più che vi era stata la reiterazione di ben ventuno contratti a tempo determinato e ben ventotto proroghe per circa quaranta mensilità di lavoro effettivo; che in mancanza della causale giustificatrice dei contratti, il rapporto doveva essere considerato sin dall’origine a tempo indeterminato tra la lavoratrice e l’impresa utilizzatrice, effettiva datrice di lavoro.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso la s.r.l. Pzifer Italia sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso la lavoratrice. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1-bis, e dell’art. 12 disp. gen..

Rileva che la sentenza è errata per avere affermato che la proroga dei termini prevista dal predetto art. 6, comma 1-bis, si applica a tutte le fattispecie indicate dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 tra cui i contratti a termine, e per avere altresì ritenuto che la nuova disposizione deve essere interpretata nel senso di disporre un generale rinvio al 31 dicembre 2011 di tutte le novità previste dalla nuova disposizione.

Una corretta interpretazione della stessa, conforme alla sua lettera e all’intenzione del legislatore, porta invece a ritenere che lo scopo della norma è quello di prorogare al 31 dicembre 2011 esclusivamente il termine di sessanta giorni per l’impugnazione stragiudiziale e non anche quello di duecentosettanta giorni per l’impugnazione giudiziale. Di conseguenza, questa è inammissibile, essendo stato il ricorso introduttivo depositato il 6 dicembre 2011, quando il termine era irrimediabilmente scaduto.

2. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando le medesime violazioni di cui al primo motivo, deduce che la sentenza impugnata è altresì errata laddove ha ritenuto che l’art. 32, comma 1-bis, sopra citato, abbia portata retroattiva. Con l’espressione “in sede di prima applicazione” il legislatore ha ritardato gli effetti preclusivi del nuovo termine decadenziale in materia di impugnazione, ma non ha sanato le decadenze medio tempore verificatesi. La legge non può avere retroattivo in assenza di previsioni legislative in tal senso.

3. Con il terzo e il quarto motivo, trattati congiuntamente, la ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, e dell’art. 115 c.p.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, sostiene che la lavoratrice, con riguardo alle ragioni che hanno determinato le assunzioni a termine, si era limitata a dedurre la mancanza di temporaneità delle stesse, senza contestarne l’esistenza e l’effettività. La sentenza impugnata ha invece posto a fondamento della decisione circostanze non dedotte dalla parte. Inoltre, non ha considerato che dalla documentazione prodotta risultava la reale sussistenza delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo che avevano giustificato il ricorso alla somministrazione. A nulla rilevava poi che fossero stati stipulati ventuno contratti a termine e ventotto proroghe, non incidendo tali circostanze sulla effettività delle esigenze che avevano dato luogo ai contratti di somministrazione e non risultando che fossero state violate al riguardo le disposizioni della contrattazione collettiva.

4. Con il quinto e il sesto motivo, pure trattati congiuntamente, la ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 3, e art. 27 nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rileva che erroneamente la sentenza impugnata ha affermato essersi costituito un rapporto a tempo indeterminato tra essa ricorrente e la lavoratrice. Oggetto di impugnazione erano infatti i contratti stipulati con le Agenzie di somministrazione, onde l’impossibilità di applicare il regime sanzionatorio previsto dal decreto legislativo anzidetto al soggetto utilizzatore, estraneo a quel rapporto, stante l’autonomia tra i due negozi.

5. I primi due motivi, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non sono fondati.

Correttamente la Corte d’appello ha ritenuto inoperante nella specie il termine di decadenza per l’azione diretta a far valere l’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro quale introdotto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 stante quanto disposto dal comma 1-bis aggiunto a tale disposizione dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10, di conversione del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, secondo cui, in sede di prima applicazione, le disposizioni di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011.

Tale differimento dell’efficacia della nuova disciplina decadenziale, introdotta dall’art. 32, deve infatti ritenersi operante per tutte le fattispecie alle quali questa nuova disciplina si riferisce.

Come già affermato da questa Corte (Cass. 14 dicembre 2015 n. 25103) e successivamente ribadito dalle Sezioni Unite (sent. n. 4913 del 14 marzo 2016), la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, convertito con modificazioni dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6 sicchè, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla ratio legis di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione ex novo del suddetto e ristretto termine di decadenza.

Considerato che la ratio del differimento dell’applicabilità del nuovo regime decadenziale risiede nell’esigenza di evitare che l’immediata decorrenza di un termine decadenziale, prima non previsto, potesse pregiudicare chi, intenzionato a contestare la cessazione del rapporto di lavoro o le altre tipologie di atti datoriali indicati nell’art. 32 cit., si trovasse ad incorrere inconsapevolmente nella decadenza, non sarebbe giustificata, a fronte del principio di eguaglianza, una differenziazione che limitasse tale differimento alla sola ipotesi dell’impugnativa del licenziamento ed escludesse le altre, tra cui la contestazione della legittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro.

Deve pertanto ritenersi che il legislatore abbia inteso posticipare l’applicabilità del nuovo regime decadenziale nel suo complesso con riferimento a tutti i termini introdotti dall’art. 32 cit..

6. Il terzo e il quarto motivo, proposti congiuntamente dalla ricorrente, sono inammissibili.

La ricorrente, senza precisare quali censure attengono al vizio di violazione di legge e quali alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – circostanza questa che già determina l’inammissibilità del motivi, non spettando a questa Corte il compito di operare detta distinzione – deduce che la sentenza impugnata ha posto a fondamento della decisione circostanze diverse da quelle dedotte dalla lavoratrice, ma, da un lato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per tassazione, non comprova tali affermazioni attraverso la trascrizione, sul punto, delle deduzioni della lavoratrice; dall’altro la sentenza impugnata ha affrontato la questione della sussistenza delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine su impulso della società allora appellante, “a confutazione del terzo motivo di gravame” dalla medesima proposto.

Inammissibile è, altresì, la censura relativa “all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”, dal momento che la ricorrente non precisa quale sia stato il “fatto decisivo” non esaminato. Al riguardo, peraltro, va rimarcato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. n. 8053/14).

Inammissibile è infine la censura con la quale si afferma che dalla documentazione prodotta risultava la reale sussistenza delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo che avevano giustificato il ricorso alla somministrazione, atteso che anche qui la ricorrente non indica tale documentazione nè, tanto meno, la produce unitamente al ricorso (art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4).

7. Il quinto e il sesto motivo, anch’essi trattati congiuntamente dalla ricorrente, sono innanzitutto inammissibili per le stesse ragioni dedotte sub n. 6, non avendo la ricorrente distinto le singole censure in relazione ai vizi denunciati (rispettivamente art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Ulteriore profilo di inammissibilità concerne la mancata specifica indicazione del “fatto decisivo”, oggetto di discussione tra le parti, il cui esame è stato asseritamente omesso dalla sentenza impugnata.

I motivi sono In ogni infondati, avendo la Corte di merito correttamente applicato i principi affermati da questa Corte in materia, secondo cui “In tema di lavoro interinale, la legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Ne consegue che l’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro e, quindi, l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo; inoltre, alla conversione soggettiva del rapporto si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 368 del 2001 ai fini della legittimità del lavoro a tempo determinato tra l’utilizzatore ed il lavoratore” (Cass. 17 gennaio 2013 n. 1148; Cass. 24 giugno 2011 n. 13960).

8. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

La ricorrente è tenuta al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2016

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