Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1992 del 29/01/2020

Cassazione civile sez. II, 29/01/2020, (ud. 13/06/2019, dep. 29/01/2020), n.1992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 2959- 2017 R.G. proposto da:

L.G., – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Roberto Nasi

ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Monte delle Gioie, n.

13, presso lo studio dell’avvocato Carolina Valensigse.

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO di (OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – in persona

dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, in

Torino, al corso Monte Grappa, n. 80, presso lo studio dell’avvocato

Vincenzo Fico che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza del tribunale di Torino n. 2578/2017;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 13

giugno 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. Patrone Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso;

udito l’avvocato Carolina Valensise, per delega dell’avvocato Roberto

Nasi, per il ricorrente;

udito l’avvocato Luca Perone, per delega dell’avvocato Vincenzo Fico,

per il contro ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato in data 5.2.2015 L.G., proprietario di due distinte unità immobiliari, al quinto ed al sesto piano dell’edificio in (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al locale giudice di pace il condominio dello stabile.

Deduceva che l’assemblea condominiale, con deliberazione del 24.7.2014, in difetto di unanimità, aveva disposto ripartirsi le spese di manutenzione straordinaria del lastrico solare, nell’esclusivo uso di egli attore, ai sensi dell’art. 1126 c.c. anzichè in conformità al criterio, su base millesimale, previsto dal regolamento condominiale predisposto dall’originario costruttore – venditore dell’edificio e richiamato negli atti di acquisto di ciascun condomino.

Chiedeva dichiararsi la nullità o pronunciarsi l’annullamento dell’impugnata Delib..

2. Si costituiva il condominio di (OMISSIS).

Deduceva che l’attore era decaduto dall’esperita impugnazione in dipendenza dell’intervenuto decorso del termine di trenta giorni di cui all’art. 1137 c.c.. Instava per il rigetto dell’avversa domanda.

3. Con sentenza n. 1072/2016 l’adito giudice di pace opinava per la mera annullabilità dell’impugnata Delib. e rigettava la domanda attorea, siccome proposta allorchè il termine ex art. 1137 c.c. era già decorso.

4. L.G. proponeva appello.

Resisteva il condominio di (OMISSIS).

Con sentenza n. 2578/2017 il tribunale di Torino rigettava il gravame e condannava l’appellante a rimborsare a controparte le spese del grado.

Evidenziava il tribunale che la decisione di attenersi al criterio di riparto stabilito dall’art. 1126 c.c. risaliva alla Delib. assunta dall’assemblea in data 7 giugno 2013, Delib. che, a sua volta, non era stata oggetto di alcuna impugnativa; che difatti nel corso dell’assemblea del 24.7.2014 non era stato “in alcun modo fissato il riparto della spesa, già approvato nella precedente assemblea, ma fu semplicemente approvata l’operazione di calcolo che tale riparto applicò in concreto” (così sentenza d’appello, pag. 4).

Evidenziava inoltre che “modificare un criterio di riparto vuole dire, in concreto, fissare una regola valevole non solo per quella spesa, ma anche (…) per il futuro” (così sentenza d’appello, pag. 5), il che non era avvenuto nel caso della Delib. 24 luglio 2014.

5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso L.G.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico articolato motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

Il condominio di (OMISSIS) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Con ordinanza interlocutoria n. 4899/2019 il procedimento è stato rimesso alla pubblica udienza della seconda sezione civile di questa Corte.

Il ricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123,1135,1136,1137 e 1138 c.c. e degli artt. 68 e 69 disp. att. cod. proc. civ.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Deduce che l’impugnata Delib. ha disposto, in assenza dell’unanime consenso dei condomini tutti, consapevolmente e non già per mero errore, in via definitiva, valevole anche per il futuro, la ripartizione delle spese di manutenzione straordinaria del lastrico solare alla stregua di un criterio difforme da quello di cui all’art. 7 del regolamento – articolo richiamato in tutti gli atti di compravendita delle singole unità immobiliari costituenti il condominio – in virtù del quale le spese sono da ripartire secondo la tabella millesimale delle spese generali allegata al medesimo regolamento.

Deduce pertanto che, in quanto incidente sui diritti individuali dei singoli condomini, l’impugnata Delib. è da reputare nulla e non annullabile.

Deduce che a nulla rileva che oggetto dell’impugnazione sia stata la sola Delib. 24 luglio 2014; che ha sempre fermamente contestato il criterio di ripartizione delle spese adottato in violazione della disposizione regolamentare, sicchè giammai ha prestato acquiescenza alla deliberazione impugnata.

Il ricorso va respinto.

7. Si evidenzia previamente che non ha valenza di acquiescenza la circostanza per cui, in data 6.6.2017, in epoca quindi successiva alla pronuncia d’appello, il ricorrente ha versato, “senza riserva alcuna, l’intero importo (…) così come da riparto” (così controricorso, pag. 3).

Invero gli atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni previste dalla legge e che, perciò, implicano una tacita acquiescenza alla sentenza ai sensi dell’art. 329 c.p.c., sono esclusivamente quelli che possono essere spiegati supponendo il proposito della parte di non contrastare gli effetti giuridici della decisione, così rivelando, oggettivamente, in modo inequivoco, una corrispondente volontà della parte che li ha posti in essere; cosicchè la richiesta di pagamento e l’effettiva riscossione, ad opera della parte vittoriosa nel giudizio, di quanto alla stessa ivi riconosciuto, non comportano acquiescenza, trattandosi di condotte riconducibili alla volontà di conseguire quanto già riconosciuto nella sentenza, che, di per sè, non è incompatibile con l’intento di impugnarla per ottenere quanto negato o, comunque, dovuto (cfr. Cass. 10.10.2014, n. 21491).

8. Va in premessa reiterato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di condominio, sono affette da nullità, che può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono annullabili e, come tali, impugnabili nel termine di cui all’art. 1137 c.c., u.c., le Delib. con cui l’assemblea, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri di cui all’art. 1123 cod. civ. (cfr. Cass. 19.3.2010, n. 6714; Cass. sez. un. 7.3.2005, n. 4806, secondo cui, in tema di delibere assembleari condominiali, la Delib., assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, relativa alla ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a lavori straordinari ritenuti afferenti a beni comuni, ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 c.c., e la relativa impugnazione va pertanto proposta nel termine di decadenza (trenta giorni) previsto dall’art. 1137 c.c., u.c.).

Su tale scorta in maniera ineccepibile, congrua ed esaustiva il giudice di pace dapprima (“il Giudice di Pace di Torino, qualificando i vizi della Delib. impugnata come mera annullabilità (…): così ricorso, pag. 3) ed il tribunale poi hanno opinato per la mera annullabilità della Delib. 24 luglio 2014 e di conseguenza per la tardiva proposizione dell’impugnazione sostanziale.

Invero è innegabile – siccome hanno esplicitato i giudici del merito – che con la Delib. in data 27 aprile 2014, oggetto di impugnazione innanzi al giudice di pace di Torino (cfr. ricorso, pag. 2), l’assemblea condominiale ebbe a ripartire in concreto tra i condomini, previa approvazione del relativo consuntivo, la spesa per il rifacimento del lastrico solare in uso alla proprietà di L.G. (cfr. ricorso, pag. 7) in attuazione dei criteri assunti dall’assemblea con la Delib. in data 7 giugno 2013 (“in data 07.06.2013 “(…) la restante parte dei Condomini che in questa Assemblea rappresentano mm. 465 delibera di adottare la ripartizione sulla base dell’art. 1126 c.c. come già avvenuto in precedenza negli anni trascorsi””: così ricorso, pag. 6).

Cosicchè a nulla vale che il ricorrente adduca che i giudici di merito “avrebbero dovuto verificare se l’oggetto della deliberazione dell’assemblea fosse stata o meno la previsione e quindi l’adozione del criterio di ripartizione della spesa ovvero se l’assemblea (…) si fosse limitata ad approvare la ripartizione” (così ricorso, pag. 12; memoria depositata il 5.6.2019, pag. 4).

Più esattamente, nel solco della novella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rimarca quanto segue.

E’ da escludere, da un lato, che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato nel segno dell’anzidetta pronuncia delle sezioni unite – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui il tribunale ha ancorato il suo dictum (“il Giudice di Pace ha minuziosamente spiegato che, con la Delib. oggetto di questo giudizio, l’assemblea non decise di modificare i criteri generali di riparto delle spese del lastrico solare, ma si limitò ad approvare una ripartizione in concreto (…)”; così sentenza d’appello, pag. 4).

E’ da ritenere, dall’altro, che il tribunale per nulla ha omesso la disamina del profilo “in fatto” rilevante ai fini del riscontro della valenza della Delib. in data 24 luglio 2014.

Si badi che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

9. Si è anticipato che il ricorrente ha addotto che “a poco rileva (…) che oggetto dell’impugnazione (…) sia stata la sola delibera del 24.07.2014″ (così ricorso, pag. 14).

Ebbene non ignora questa Corte che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di accertamento della nullità di un contratto o di una singola clausola contrattuale ha il potere – dovere di rilevare d’ufficio – previa instaurazione del contraddittorio sul punto – l’esistenza di una causa di nullità diversa da quella prospettata, che abbia carattere portante ed assorbente e che emerga dai fatti allegati e provati o comunque dagli atti di causa, salvo che non si tratti di nullità a regime speciale (cfr. Cass. sez. lav. 1.8.2018, n. 20388; Cass. (ord.) 7.7.2017, n. 16977; Cass. sez. un. 12.12.2014, n. 26242, secondo cui nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo; Cass. sez. lav. (ord.) 29.3.2019, n. 8914).

E nondimeno, onde consentire il rilievo officioso della nullità, ben avrebbe dovuto il ricorrente, in ottemperanza comunque all’onere dell'”autosufficienza” ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (il rispetto del principio di “autosufficienza” del ricorso opera, per il giudizio di cassazione, quale limite alla rilevabilità delle nullità in ogni stato e grado del processo: cfr. Cass. sez. lav. 20.5.2008, n. 12746), riprodurre nel corpo del ricorso il testo integrale della Delib. datata 7 giugno 2013, non già limitarsi ad evidenziarne un singolo stralcio (cfr. ricorso, pagg. 6, 7 e 13), e parimenti riprodurre nel corpo del ricorso il testo integrale del regolamento condominiale predisposto dall’originario costruttore – venditore del fabbricato, non già limitarsi ad evidenziare il solo dettato dell’art. 7 (cfr. ricorso, pag. 14).

Infatti il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, a pena di inammissibilità, il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale era stato depositato ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso (cfr. Cass. 13.11.2018, n. 29093; Cass. (ord.) 28.9.2016, n. 19048; Cass. 12.12.2014, n. 26174; Cass. sez. lav. 7.2.2011, n. 2966; Cass. (ord.) 3.7.2009, n. 15628, ove si soggiunge che l’inammissibilità prevista dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in caso di violazione di tale duplice onere, non può ritenersi superabile qualora le predette indicazioni siano contenute in altri atti).

10. L’inottemperanza all’onere dell'”autosufficienza” rileva viepiù, se si tiene conto che il condominio ha riprodotto, a pagina 8 del controricorso, il testo dell’art. 15 del regolamento, ove è statuito che “tutti i comproprietari si vincolano tanto personalmente, quanto per i propri eredi, successori ed aventi causa, ed inquilini, ad osservare la presente convenzione – regolamento, stabilendo che le eventuali revisioni, aggiunte o modifiche, proposte dall’amministratore o dai comproprietari, dovranno essere approvate dall’assemblea ai sensi dell’art. 1138”.

Del resto il ricorrente, sul punto, ha replicato – nelle memorie – adducendo che l’art. 1138 c.c. “non solo non indica alcuna maggioranza ma statuisce al comma 4 che le norme del regolamento non possono in alcun caso menomare i diritti dei condomini risultanti dagli atti di acquisto” (così memoria in data 31.10.2018, pag. 6).

Evidentemente è destituito di fondamento il rilievo per cui l’art. 1138 c.c. non indica alcuna maggioranza, giacchè il quorum deliberativo è prefigurato all’art. 1138 c.c., comma 3 mercè il rinvio all’art. 1136 c.c., comma 2, (è significativo che siffatto rilievo non è stato riproposto dal ricorrente nella successiva memoria depositata il 5.6.2019).

D’altra parte è vero senza dubbio che le clausole dei regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonchè quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri (il caso di cui al ricorso in disamina), mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare; cosicchè, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimità dei condomini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 2, (cfr. Cass. sez. un. 30.12.1999, n. 943).

E tuttavia vi è da ritenere, in assenza di indicazioni ermeneutiche di segno contrario, che, allorquando ha acconsentito a che nel proprio atto di acquisto fosse recepito il regolamento predisposto dall’originario costruttore – venditore, così prestandovi piena adesione, L.G. ha accettato, incondizionatamente e, si badi, senza limitazione alcuna in rapporto alla natura ed alla proiezione delle clausole regolamentari, che il regolamento, pur nella parte in cui, a suo vantaggio, deroga alla regola “legale” di cui all’art. 1126 c.c., fosse suscettibile di modifica a maggioranza non già all’unanimità.

Ha accettato anche ed incondizionatamente, cioè, che il suo diritto disponibile alla più – per lui – favorevole ripartizione delle spese di manutenzione del lastrico solare in uso alla sua proprietà operasse come “suscettibile di affievolimento a maggioranza non già all’unanimità”, sicchè la degradazione del suo diritto, ovvero l’operatività del – per lui – più oneroso criterio di cui all’art. 1126 c.c. è espressione della sua volontà o, quanto meno, non è avvenuta in contrasto con la sua volontà (cfr. Cass. 25.3.1987, n. 2888, secondo cui, allorquando una clausola di un regolamento di condominio di natura contrattuale stabilisca, senza distinzioni, che le norme contenute nel medesimo “sono revocabili e suscettibili di modifiche ed aggiunte, purchè queste risultino approvate dall’assemblea con le maggioranze necessarie per legge”, il giudice del merito, chiamato ad accertare se sia legittima una Delib. assembleare maggioritaria con la quale le spese di portierato siano state poste anche a carico dei condomini proprietari dei locali esterni e interrati dell’edificio che una norma di detto regolamento esonerava, invece, dal concorrere a tali spese, non può risolvere il problema, nel senso della illegittimità, esclusivamente sulla base del principio generale secondo cui le norme condominiali sorte per contratto possono essere modificate solo col consenso di tutti i contraenti ove tali modifiche riguardino diritti sostanziali dei contraenti stessi e non la semplice disciplina dell’uso e delle modalità di godimento delle cose comuni, ma deve indagare se la surriferita clausola non deroghi a questo principio, avvalendosi, a tal fine, degli strumenti interpretativi offerti dal codice civile e, in particolare, dall’art. 1367 che impone, nel dubbio, di interpretare le singole clausole “nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”).

In questi termini non ha valenza nel caso di specie il riferimento al limite di cui all’art. 1138 c.c., attuale comma 4 ove è prefigurata, sì, l’impossibilità di menomare i diritti di ciascun condomino risultanti dagli atti di acquisto ovvero da un regolamento convenzionale, ma, ben vero, in assenza del concorso della volontà del condomino avente diritto.

11. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al condominio controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, L.G., a rimborsare al controricorrente, condominio di (OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2020

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