Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19911 del 05/10/2016

Cassazione civile sez. un., 05/10/2016, (ud. 22/03/2016, dep. 05/10/2016), n.19911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente Sezione –

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27694/2014 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DUILIO 6,

presso lo studio dell’avvocato CARMELO MONTANA, rappresentato e

difeso dagli avvocati MARGHERITA ZEZZA e GIUSEPPE RUTA, per delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI CAMPOBASSO, in

persona del Prefetto pro tempore, UFFICIO CENTRALE ELETTORALE PRESSO

LA CORTE D’APPELLO DI CAMPOBASSO, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

e contro

UFFICIO CENTRALE CIRCOSCRIZIONALE PRESSO IL TRIBUNALE DI LARINO, ENTE

PROVINCIA DI CAMPOBASSO, COMUNE DI SANTA CROCE DI MAGLIANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 296/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 10/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

uditi gli avvocati Giuseppe RUTA e Paola DE NUNTIS per l’Avvocatura

Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.V. ha proposto ricorso per cassazione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione contro il Comune di Santa Croce di Magliano, il Ministero dell’Interno, la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Campobasso, l’Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Larino e l’Ufficio Centrale Elettorale presso la Corte d’Appello di Campobasso, nonchè nei confronti della Provincia di Campobasso e del Comune di Santa Croce di Magliano.

2. Il ricorso è stato proposto avverso la sentenza del 10 novembre 2014, con la quale la Corte d’Appello di Campobasso – in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno ed in riforma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Campobasso il 22 settembre 2011 – ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la giurisdizione del giudice amministrativo, sulla controversia introdotta dal M. nel febbraio del 2006 contro le amministrazioni statali intimate, per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti, in conseguenza della tardiva proclamazione, quale eletto, nella consultazione elettorale per il rinnovo degli organi della Provincia di Campobasso dell’anno 2002.

Tale tardiva proclamazione era stata cagionata da errori nella trascrizione delle preferenze, commessi in due sezioni elettorali del detto comune, durante le operazioni elettorali, e gli errori erano stati riconosciuti dal giudice amministrativo, adito dall’attore per la correzione dei risultati elettorali.

2. Il Tribunale molisano, pronunciando sulla controversia – nella quale si era innestata la chiamata in causa della Provincia di Campobasso – rigettava la domanda nei confronti del Comune e della terza chiamata e l’accoglieva nei riguardi del Ministero dell’Interno, liquidando il danno in Euro 35.910,00 oltre interessi legali, a far data del 28 febbraio 2006.

3. La Corte territoriale, investita dall’appello proposto dal Ministero, ha declinato la giurisdizione – contestata già in primo grado – accogliendo il relativo motivo di appello.

4. Al ricorso per cassazione che prospetta due motivi, hanno resistito con congiunto controricorso il Ministero, la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Campobasso e l’Ufficio Centrale Elettorale presso la Corte d’Appello di Campobasso.

Non hanno svolto attività difensiva la Provincia di Campobasso ed il Comune di Santa Croce di Magliano.

Le parti costituite hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce “violazione della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 6 e 7, anche in riferimento alla L. n. 205 del 2000, art. 7, ed al D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 33, 34 e 35, così come dichiarati incostituzionali dalla Corte Cost. con sentenza n. 281/2004”, nonchè “violazione ed errata applicazione degli artt. 128, 129 e 134 del cod. proc. amm. di cui al D.Lgs. n. 104 del 2011 (rectius. 2010)”.

Il motivo critica la motivazione con cui la sentenza impugnata ha declinato la giurisdizione.

1.1. Tale motivazione è stata enunciata dalla corte territoriale dopo due rilievi:

a) quello che sulla questione di giurisdizione la pronuncia di merito resa dal giudice di prime cure non aveva determinato un giudicato interno, in quanto le amministrazioni statali, che avevano sollevato la questione in primo grado, avevano appellato lamentando il difetto di giurisdizione;

b) e quello, ulteriore, che nemmeno si configurava un giudicato esterno per effetto della pronuncia, con cui il t.a.r. Molise, nel giudizio promosso dal M., per ottenere la correzione dei risultati elettorali, aveva accolto la prima domanda, ordinando la correzione dei risultati elettorali, ed aveva rigettato per ragioni di rito la seconda, in quanto era stata introdotta tardivamente solo con i motivi aggiunti.

La motivazione giustificativa della declinatoria della giurisdizione, enunciata dopo i detti rilievi e censurata con il motivo, si è articolata in primo luogo con l’affermazione che l’eccezione di difetto di giurisdizione era fondata, in quanto la domanda di risarcimento del danno avanzata dal M. era “domanda su diritti consequenziali all’esercizio illegittimo di un potere pubblico”, tenuto conto: aa) che si discuteva “di (asseriti) danni consequenziali all’errore elettorale nella trascrizione dei voti – domanda devoluta alla cognizione del Giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 7, in vigore al 25 giungo 2002 data del deposito del ricorso in sede giurisdizionale amministrativo”; bb) e che lo stesso M. l’aveva proposta proprio dinanzi al giudice amministrativo adito per la correzione dei risultati elettorali.

A tali rilievi, la corte molisana ha fatto seguire, peraltro, l’affermazione che parrebbe riferita alla disciplina vigente al momento della decisione, come evidenzia l’uso dell’avverbio temporale “ora”, e che, dunque, non costituisce ratio decidendi – che la giurisdizione amministrativa sarebbe estesa al merito ex art. 134 c.p.c., lett. b), ed “anche esclusiva (art. 129, comma 1, stesso codice) a prescindere dalla tipologia della situazione giuridica soggettiva vantata”.

1.2. In relazione alla ricordata motivazione la critica svolta con il motivo si articola nei termini seguenti:

a1) si inizia con il rilevare che l’azione risarcitoria oggetto del giudizio era stata introdotta davanti al giudice ordinario dal M. “per il risarcimento dei danni conseguenti alla lesione del suo diritto soggettivo (costituzionalmente tutelato) connesso all’elettorato passivo, dopo (…) avere lamentato, presso il giudice amministrativo, la mancata attribuzione (trascrizione) di alcuni voti in suo favore, dovuta ad errore nella fase della loro trascrizione (errore che lo aveva costretto ad una estromissione, dal ruolo politico, per un periodo di oltre tre anni) e dopo aver conseguito, con il predetto giudizio di annullamento (strettamente demolitorio), la rimozione degli errori di conteggio che gli avevano precluso, per tempo, l’acquisizione della predetta qualifica di consigliere eletto”;

a2) si ricorda, quindi, che il giudizio amministrativo si era concluso con la pronuncia di accoglimento dell’impugnazione dei risultati elettorali e con l’ordine di correzione in senso favorevole al M., mentre sulla domanda risarcitoria il giudice amministrativo aveva adottato solo una pronuncia di rito;

a3) si assume, di seguito, evocando la L. n. 1034 del 1971, art. 6, come disciplina regolatrice del riparto di giudiziose prima dell’entrata in vigore del c.p.a., che il nuovo giudizio risarcitorio davanti al giudice ordinario era stato proposto come giudizio successivo alla consecuzione della tutela demolitoria contro gli atti amministrativi inerenti ai risultati elettorali con l’annullamento delle operazioni elettorali relativamente alla parte concernente il conteggio dei voti spettanti e “solo dopo aver conseguito, in sede amministrativa, la rivendicata proclamazione (come eletto) e, con essa, il proprio diritto soggettivo di elettorato passivo”, di modo che correttamente l’azione era stata proposta davanti al giudice ordinario “quale giudice (appunto) dei diritti soggettivi incluso quelli risarcitori”;

a4) si sostiene, poi, che la conferma della sussistenza della giurisdizione ordinaria deriverebbe proprio dalla L. n. 205 del 2000, stesso art. 7, giacchè esso non aveva incluso tra le materie di giurisdizione esclusiva di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 33, 34 e 35, “per le quali il giudice amministrativo, dispone, anche di diritti soggettivi attraverso il risarcimento del danno ingiusto” quella elettorale;

a5) si evocano, quindi, Cons. Stato, ad. Plen., n. 3 del 2010 (là dove ha sostenuto che in materia di giudizio elettorale spetta all’a.g.o. la cognizione delle liti concernenti le questioni di diritto soggettivi perfetti e all’a.g.a. tutte le questioni inerenti al vaglio di legittimità delle operazioni elettorali) ed in fine il principio di diritto enunciato da Cass. sez. un. n. 23682 del 2009 (secondo cui: “In materia di contenzioso elettorale amministrativo, sono devolute al giudice amministrativo, indipendentemente dall’appartenenza dell’organo elettivo ad un ente pubblico economico, le controversie in tema di operazioni elettorali, mentre spetta al giudice ordinario la cognizione delle controversie concernenti l’ineleggibilità, la decadenza e l’incompatibilità, in quanto volte alla tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all’elettorato passivo; nè la giurisdizione del giudice ordinario incontra limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento del consiglio sulla convalida degli eletti, o dell’atto di proclamazione o, ancora del provvedimento di decadenza, perchè anche in tale ipotesi la decisione verte non sull’annullamento dell’atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente l’elettorato attivo o passivo”).

2. Il motivo è privo di fondamento.

Queste le ragioni.

La prospettazione del ricorrente si incentra sull’attribuzione di rilievo decisivo alla pretesa qualificazione della sua pretesa risarcitoria come un diritto soggettivo e non considera che, invece, nel sistema normativo applicabile alla controversia in punto di individuazione della giurisdizione quella qualificazione non è rilevante.

Inoltre, non vertendosi in tema pretesa risarcitoria correlata ad una questione di ineleggibilità, di decadenza e di incompatibilità, il ricorrente evoca erroneamente come oggetto della lesione di cui chiede il risarcimento la sua posizione di diritto soggettivo quale titolare del diritto di elettorato passivo.

2.1. Ai fini dell’individuazione della giurisdizione sulla controversia è necessario chiarire quale fosse la normativa che la disciplinava al momento in cui è stata introdotta.

Si rileva che, in relazione alla collocazione della vicenda elettorale che ha occasionato la controversia, risalente alle elezioni regionali molisane del 2002, la pretesa risarcitoria del M. per gli errori commessi dalle amministrazioni gerenti le operazioni elettorali e determinativi del ritardo nella sua proclamazione come eletto, trovava come normativa di riferimento regolatrice della giurisdizione la L. n. 1034 del 1971, art. 7, e precisamente il primo periodo del suo primo comma, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, comma 4, come a sua volta sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, comma 1, lett. c).

Secondo il disposto del suddetto primo periodo della L. n. 1034 del 1971, art. 7, (norma, com’è noto, successivamente abrogata dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 4, n. 10, dell’allegato 4, recante il codice del processo amministrativo, ed il cui disposto è confluito nell’art. 7, comma 4, di detto codice), “il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce(va) anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.

Questo disposto normativo attribuì alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione delle azioni risarcitorie inerenti all’ambito della sua giurisdizione di legittimità e, quindi, alla sua tradizionale giurisdizione in tema di interessi legittimi.

Infatti, l’ambito di riferimento della giurisdizione del giudice amministrativo cui esso alludeva doveva necessariamente intendersi relativo alla giurisdizione amministrativa di legittimità (ivi compresi i casi di sua estensione al merito), poichè quel disposto seguiva all’attribuzione delle controversie sul risarcimento del danno allo stesso giudice amministrativo nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva (come ridisegnata dalla L. n. 205 del 2000, con la sostituzione del D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 34 e 35, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 292 del 2000), che risultava dalla previsione del comma 1, dello stesso citato D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, sempre come sostituito dalla citata L. n. 205 del 2000, art. 7, comma 1, lett. c).

Poichè la pretesa risarcitoria del M., come s’è detto ed è pacifico, si ricollegava ad errori commessi dalle amministrazioni nello svolgimento delle operazioni elettorali, e poichè la giurisdizione sulla regolare tenuta di tali operazioni era attribuita al giudice amministrativo come giurisdizione di legittimità dall’allora vigente L. n. 1034 del 1971, art. 6, comma 1, (secondo cui “Il tribunale amministrativo regionale è competente a decidere sui ricorsi concernenti controversie in materia di operazioni per le elezioni dei consigli comunali, provinciali e regionali”), l’azione risarcitoria apparteneva alla giurisdizione del giudice amministrativo e segnatamente alla sua giurisdizione di legittimità, estesa, peraltro, anche al merito, come faceva manifesto lo stesso art. 6, comma 2.

Ciò è tanto vero, che lo stesso ricorrente dovette esserne consapevole, giacchè esercitò quell’azione, sebbene in modo giudicato poi dal giudice amministrativo irrituale, proprio davanti a quel giudice nell’ambito del giudizio di impugnazione delle operazioni elettorali.

2.2. L’attribuzione al giudice amministrativo dell’azione risarcitoria, una volta che quel giudice ebbe a giudicarla irrituale e, quindi, su di essa ebbe a pronunciarsi soltanto in rito, non venne, d’altro canto, in alcun modo elisa – lo si osserva ancorchè neppure il ricorrente lo prospetti – dalla consecuzione nello stesso giudizio della pronuncia di annullamento dei risultati delle operazioni elettorali e della consequenziale adozione dell’ordine di disporre la correzione in senso favorevole al M..

Infatti, l’attribuzione al giudice amministrativo dell’azione risarcitoria nell’ambito della sua giurisdizione di legittimità non era, nel regime della L. n. 1034 del 1971, art. 7, (come, del resto, accade ora nel regime del c.p.a.), correlata al congiunto esercizio dell’azione di impugnativa del risultato elettorale finalizzata alla correzione del risultato elettorale (cioè all’azione diretta ad ottenere la demolizione del risultato dell’azione amministrativa) e, quindi, non veniva meno una volta conseguito l’accoglimento di quell’azione.

Si trattava di attribuzione di giurisdizione che riguardava anche la proposizione dell’azione risarcitoria dopo e, quindi, separatamente, quella dell’azione demolitoria ed il suo esito positivo.

Sicchè il M., allorquando, conseguita l’esecuzione della pronuncia demolitoria e correttiva del risultato elettorale e, quindi, l’immissione nella carica di consigliere regionale nel 2005, secondo quanto da lui dedotto, introdusse una nuova azione risarcitoria – nel presupposto, peraltro, riconosciuto dalla sentenza qui impugnata che la pronuncia di rito su di essa, di cui alla sentenza n. 10 del 2005 del t.a.r. Molise non avesse consumato quell’azione – si trovava, ai fini della individuazione della giurisdizione, nella stessa condizione in cui si era trovato al momento della sua introduzione davanti a quel t.a.r.: l’art. 7, primo periodo, del primo comma dell’art. 7 della I. n. 1034 del 1971 nel testo allora vigente imponeva di introdurre l’azione davanti al giudice amministrativo, in quanto rientrante nella sua giurisdizione, ancorchè proposta successivamente all’esperimento della tutela demolitoria e correttiva del risultato elettorale.

2.3. In proposito, si rileva:

a) che il noto intervento della sentenza n. 204 del 2004 sull’assetto della giurisdizione amministrativa siccome scaturito dalla L. n. 205 del 2000, non aveva in alcun modo toccato la previsione dell’attribuzione al giudice amministrativo nell’ambito della sua giurisdizione di legittimità (anche nelle ipotesi di estensione al merito) della cognizione delle azioni risarcitorie, avendolo in quella decisione la Corte costituzionale espressamente precisato nel paragrafo 3.4.1. del “considerato”;

b) che lo stesso Giudice delle Leggi nella sentenza n. 191 del 2006 ebbe a ribadirlo ancora più chiaramente nel paragrafo 4.2. del “considerato”;

c) che le Sezioni Unite “registrarono” gli effetti delle pronunce della Corte costituzionale, nell’ord. n. 13659 del 2006, affermando il seguente principio di diritto: “Nel sistema normativo conseguente alla L. 21 luglio 2000, n. 205, in tema di tutela giurisdizionale intesa a far valere la responsabilità della P.A. da attività provvedimentale illegittima, la giurisdizione sulla tutela dell’interesse legittimo spetta, in linea di principio, al giudice amministrativo, sia quando il privato invochi la tutela di annullamento, sia quando insti per la tutela risarcitoria, in forma specifica o per equivalente, non potendo tali tecniche essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione. E siccome deve escludersi la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell’atto illegittimo e dannoso, al giudice amministrativo può essere chiesta la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria completiva, ma anche la sola tutela risarcitoria, senza che la parte debba in tal caso osservare il termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento”.

2.4. In base alle emergenze ora ricordate, il M. avrebbe dovuto ripropone l’azione risarcitoria non già davanti al giudice ordinario, bensì davanti al giudice amministrativo, ancorchè essa si basasse sulla conseguita tutela demolitoria e correttiva del risultato elettorale e, quindi, sul già accertato agire illegittimo delle amministrazioni.

Il primo motivo va, dunque, rigettato, perchè correttamente la Corte molisana ha ravvisato l’esistenza sulla controversia della giurisdizione del giudice amministrativo, sebbene con motivazione che nei suoi brevi passaggi non esplicita il riferimento alla L. n. 205 del 2000, art. 7, nei termini sopra indicati.

Il rigetto comporta la dichiarazione sulla controversia della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla base del seguente principio di diritto: “Nel regime dell’assetto della giurisdizione di cui alla L. n. 205 del 2000, art. 7, la controversia introdotta da un consigliere regionale, per ottenere il risarcimento dei danni sofferti, in conseguenza del ritardo nella consecuzione della carica, a causa di errori commessi dagli organi amministrativi preposti alle operazioni elettorali, apparteneva alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 7, primo periodo, comma 1, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 7, comma 4, come sostituito dalla citata L. n. 205 del 2000, art. 7, comma 1, lett. c). Ciò, ancorchè la domanda – come nella specie fosse stata proposta successivamente alla sentenza del giudice amministrativo che, accertata l’erroneità delle operazioni elettorali e dei suoi risultati quanto alla posizione del consigliere, ne aveva disposto la correzione in senso a lui favorevole, rigettando, per ragioni di rito afferenti alla sua tardiva proposizione, (a domanda risarcitoria proposta nel giudizio di impugnazione del risultato elettorale”.

3. Con il secondo motivo si fa valere “violazione, insufficiente e contraddittoria motivazione della regolamentazione delle spese di giudizio, ex art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

11 motivo, pur formalmente evocando – fra l’altro con riferimenti al testo non più vigente – l’art. 360 c.p.c., n. 5, pone la questione dell’omessa compensazione delle spese giudiziali e, quindi, evoca una violazione di una norma del procedimento, che avrebbe dovuto denunciarsi ai sensi dello stesso art. 360 c.p.c., n. 4.

Poichè tale riconducibilità emerge chiaramente dall’illustrazione del motivo, lo scrutinio di quest’ultimo può avvenire secondo il paradigma esatto e pertinente, giusta Cass. sez. un. n. 17931 del 2013.

Lo scrutinio, tuttavia, non può essere favorevole al ricorrente, atteso che è principio consolidato quello secondo cui: “In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (Cass. sez. un. n. 14989 del 2005). Principio che è indifferente al succedersi di vari regimi della compensazione delle spese per effetto di modifiche dell’art. 92.

Il motivo è, dunque, rigettato.

5. Il ricorso è, pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nel rapporto fra ricorrente ed amministrazioni resistenti e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Nulla, invece, deve disporsi per le spese riguardo al rapporto fra ricorrente e parti intimate.

Si deve dare atto che, risultando il giudizio esente da contribuzione, non è applicabile il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo. Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio, liquidate in Euro cinquemila, oltre spese prenotate a debito. Nulla per le spese nel rapporto fra ricorrente e parti intimate. Dà atto dell’insussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, essendo il ricorso esente.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 22 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2016

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