Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19907 del 29/08/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19907 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

ORDINANZA
sul ricorso 26691-2011 proposto da:
CAZZETTA PIETRO LUIGI CSDIPRL61L17B729K, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio
dell’avvocato PANARITI BENITO, rappresentato e difeso da se
stesso;
– ricorrente contro
VISMARA LUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
NICOLA RICCIOTTI 11, presso lo studio dell’avvocato
CASTRICHELLA DARIO, rappresentato e difeso da se stesso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 2423/2010 della CORTE D’APPELLO di
MILANO del 12/07/2010, depositata il 30/08/2010;

Data pubblicazione: 29/08/2013

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO;
è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

Svolgimento del processo

380-bis cod. proc. civ. e datata 8.11.12, regolarmente comunicata al
pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti, sul ricorso
avverso la sentenza della corte di appello di Milano n. 2423 del 30.8.10:
«1. — L’avv. Pietro Luigi Gazzetta ricorre, affidandosi ad un unitario
motivo, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la
quale è stato accolto l’appello dell’avv. Luigi Vismara avverso la
sentenza del tribunale di Monza n. 1781/07 e ritenuta la legittimazione
passiva di esso ricorrente in un’azione ai sensi dell’art. 89 cod. proc.
civ., dispiegata nei di lui confronti da controparte, in giudizio
successivo a quello in cui l’attività difensiva scorretta era stata tenuta.
2. — Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio — ai sensi degli
artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., essendo oltretutto soggetto alla
disciplina dell’art. 360-bis cod. proc. civ. — per essere ivi rigettato, per
quanto appresso indicato.
3. — Il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 89
cod. proc. civ., negando che il difensore di una parte, nei cui confronti
sia ordinata la cancellazione di frasi sconvenienti od offensive, possa
essere citato in proprio — in luogo, cioè, della parte che egli
rappresentava — in un giudizio successivo, avente ad unico oggetto
proprio il risarcimento del danno derivante dall’impiego di quelle
espressioni. Argomenta, al riguardo, dalla giurisprudenza di questa
Corte di legittimità (Cass. 26 luglio 2002, n. 11063; Cass. 9 settembre
2008, n. 23333), nel senso che delle offese contenute negli scritti
difensivi risponde sempre la parte rappresentata, anche quando esse
Ric. 2011 n. 26691 sez. M3 – ud. 03-07-2013
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I. È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art.

provengano dal difensore; e confuta, ritenendole contraddittorie, le
contrarie argomentazioni di Cass. 10916/01 e, reputandole limitate ad
un’astratta valutazione di ammissibilità in rito, le indicazioni desumibili
da Cass. 3 marzo 2010, n. 5062 e Cass. 9 luglio 2009, n. 16121.

passiva legittimazione del difensore della parte, quando sia autore
diretto delle offese e, oltretutto, non sia possibile dispiegare la relativa
azione nel processo in cui quelle sono formulate (come nel caso in cui
siano contenute nelle comparse conclusionali di primo grado).
5. — L’orientamento della giurisprudenza di questa Corte è, a partire dal
2009, chiaramente nel senso dell’ammissibilità di un’azione ai sensi
dell’art. 89 cod. proc. civ. diretta nei confronti del difensore della parte,
soprattutto allorquando non sia possibile il suo dispiegamento
nell’ambito del procedimento in cui la condotta sconveniente od
offensiva sia stata tenuta: in tal senso, con riferimento a fattispecie
singolarmente analoga a quella oggi in esame, è proprio l’affermazione
di Cass. 9 luglio 2009, n. 16121, che statuisce che l’azione in parola
“può essere proposta … quando la domanda sia avanzata nei confronti
non della parte ma del difensore”; e la pronuncia è confermata — sia
pure senza ulteriori approfondimenti — dalla successiva Cass. 3 marzo
2010, n. 5062. Ed anche in tal caso l’affermazione della competenza
involge, indirettamente, la proponibilità anche astratta dell’azione,
dovendo rifiutarsi — in quanto contraria a logica, a buon senso ed al
principio di economia processuale — la tesi della possibilità di
individuare come spettante una competenza su di un’azione che
comunque non sarebbe proponibile (num. ex Cass., ord. 23 novembre
2011, n. 24743).
6. — Deve ritenersi, invero, che la fattispecie dell’art. 89 cod. proc. civ.
differisca da quella dell’art. 96 cod. proc. civ., per la quale è affermata
Ric. 2011 n. 26691 sez. M3 – ud. 03-07-2013
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4. — Dal canto suo, il controricorrente ribatte per la sussistenza della

l’esclusiva proponibilità nel corso del medesimo giudizio in cui gli atti
o comportamenti processuali fonte di responsabilità sono stati posti in
essere: in quest’ultima fattispecie, la decisione in ordine a tale
responsabilità, sia per l’an che per il quantum, è devoluta, in via

potendo solo quest’ultimo conoscere degli effetti della condotta
processuale complessivamente considerata e qualificabile abusiva di
una delle parti e liquidare l’eventuale conseguente danno
(giurisprudenza fermissima; tra le molte: Cass. 6 agosto 2010, n. 18344;
Cass. 26 novembre 2008, n. 28226; Cass. 24 luglio 2007, n. 16308;
Cass. 23 marzo 2004, n. 5734; Cass. 26 agosto 2002, n. 12541; Cass. 12
marzo 2002, n. 3573; Cass. 16 giugno 1997, n. 5391); e solo con
riferimento a tale ultimo istituto la norma non detta una regola sulla
competenza, giacché disciplina un fenomeno endoprocessuale, quale
quello dell’esercizio, da parte del litigante, del potere di formulare
un’istanza collegata e connessa all’agire o al resistere in giudizio, che
non può configurarsi come potestas agendi esercitabile fuori del processo
in cui la condotta generatrice della responsabilità aggravata si è
manifestata e, quindi, in via autonoma, consequenziale e successiva,
davanti ad altro giudice, salvo i casi in cui la possibilità di attivare il
mezzo sia rimasta preclusa in forza dell’evoluzione propria dello
specifico processo dal quale la stessa responsabilità aggravata ha avuto
origine (Cass. 6 agosto 2010, n. 18344; Cass. 14 giugno 2012, n. 9734).
7. — Al contrario, l’art. 89 cod. proc. civ. non sanziona un abuso del
processo nel suo complesso considerato e cioè l’esercizio della potestas
agendi per scopi sostanzialmente diversi da quelli per i quali è in astratto
riconosciuto all’agente, ma, più limitatamente, singole condotte
offensive, lesive in se stesse del principio generale del neminem laedere e
in quanto tali riconducibili alla generale azione di responsabilità
Ric. 2011 n. 26691 sez. M3 – ud. 03-07-2013
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esclusiva, al giudice a cui spetta di conoscere il merito della causa,

aquiliana. Tanto consente di qualificare l’azione all’interno dello stesso
processo, obiettivamente di maggior favore per il danneggiato (in
quanto risolta in un mero, agile e deformalizzato, subprocedimento del
giudizio principale, del quale mutua interamente il materiale

contempo impostagli quando la sua tutela sia possibile nel processo
medesimo; ma non si può escludere, invece, la possibilità di agire
direttamente, viepiù quando sia preclusa l’azione in seno allo stesso
processo (istituzionalmente essendo una tale azione suscettibile di
essere diretta soltanto contro la parte, su questo punto dovendo
condividersi le conclusioni di Cass. 23333 del 2008, sull’impossibilità di
pronunciare condanna nei confronti di chi parte non è), per il tempo in
cui la condotta è stata posta in essere o per la prospettazione, frutto
della libera determinazione dell’agente, di una responsabilità esclusiva
del difensore, in luogo della parte.
8. — Il compiuto sviluppo del più recente orientamento di questa Corte
consente quindi di ritenere conforme la gravata sentenza al seguente
principio di diritto: il difensore della parte è passivamente di

persona legittimato nell’azione per danni da espressioni
offensive contenute in atti di un processo proposta davanti ad un
giudice diverso da quello che ha definito quest’ultimo, ove sia
prospettata una specifica responsabilità del difensore stesso,
oppure non sia più possibile agire ai sensi dell’art. 89 cod. proc.
civ. per lo stadio processuale in cui la condotta offensiva ha
avuto luogo (ad esempio, in sede di comparsa conclusionale del
giudizio di primo od unico grado di merito). E deve quindi proporsi il
rigetto del ricorso».

Motivi della decisione
II. Non sono state presentate conclusioni scritte, ma, pur non avendo
Ric. 2011 n. 26691 sez. M3 – ud. 03-07-2013
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probatorio), come una facoltà per quest’ultimo, riservatagli e al

chiesto di essere sentite in camera di consiglio, entrambe le parti hanno
depositato memoria.
III. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di
consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto

conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti
sviluppati nella memoria depositata dal ricorrente.
In particolare, ritiene il Collegio che nessun argomento sia stato
sviluppato in modo idoneo a comportare il superamento della più
recente giurisprudenza, richiamata nella relazione; né può attualmente
configurarsi un contrasto, non essendo quest’ultima stata rimessa
successivamente in discussione: è sufficiente pertanto un richiamo a
quell’orientamento.
IV. Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ., il ricorso
va rigettato ed il ricorrente, in quanto soccombente sulla
giurisprudenza già formatasi al momento della proposizione del ricorso
per cassazione, va condannato al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità in favore di controparte.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità in favore di controparte, liquidate in €
1.500,00, di cui € 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione
civile, addì 3 luglio 2013.

Il Presidente

esposti nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le

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