Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19906 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 23/09/2020), n.19906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21910-2017 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA Q. MAIORANA

9, presso lo studio legale FAZZARI, rappresentata e difesa da se

medesima;

– ricorrente –

contro

U.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RIMINI 14,

presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA CARUSO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GAETANO SORBELLO;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 163/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 05/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/09/2020 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Messina, con ordinanza pubblicata in data 5/7/2017, resa nel procedimento di cognizione sommaria disciplinato dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14 (“Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 54”), sul ricorso proposto dall’avvocato N.A., ha condannato l’odierno controricorrente al pagamento in favore della professionista della somma di Euro 2.984,26, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, e ha compensato per intero le spese di lite;

la Corte ha ritenuto che l’importo preteso dall’avvocato per aver assistito il resistente in un giudizio avente ad oggetto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della Rete ferroviaria italiana, fosse rispettoso delle tariffe professionali, considerato che il valore della causa, secondo le tabelle di cui al D.M. n. 55 del 2014, rientrava nello scaglione compreso tra Euro 52.000 e Euro 260.000; che il cliente era stato difeso unitamente ad altri lavoratori nel giudizio di appello; che correttamente sull’onorario stabilito per quattro fasi processuali era stato disposto un aumento percentuale del 20% per ciascuno degli ulteriori appellanti, pervenendo ad un compenso pari a Euro 47.748,24 che, diviso pro quota, portava ad un ammontare individuale di Euro 5.968,53; che, tuttavia, considerato che nella valutazione delle caratteristiche della controversia doveva essere apprezzata la ripetitività delle questioni giuridiche affrontate, trattandosi di un contenzioso che riguardava un cospicuo numero di marittimi, ha ritenuto di diminuire fino al 50% la somma richiesta nella parcella, la conseguenza di riconoscere alla ricorrente l’importo di Euro 2984,26; ha poi escluso la sua competenza a provvedere sulle spese ed onorari relativi al giudizio di primo grado, ritenendo limitata la sua cognizione alla liquidazione dei compensi per l’opera prestata dal professionista nel processo dinanzi a sè;

contro l’ordinanza la N. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. formulando quattro motivi, ai quali si è opposto l’intimato con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

entrambe le parti hanno depositato memorie;

con ordinanza interlocutoria n. 23176/2019, il Collegio ha ritenuto opportuno rinviare la causa nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, investita della questione ritenuta di massima di particolare importanza in ordine alla competenza del giudice d’appello a liquidare i compensi professionali relativi all’attività svolta nel giudizio di primo grado;

quindi, è stata fissata nuovamente l’adunanza camerale non partecipata, ritualmente comunicata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i motivi di ricorso sono quattro:

1.- violazione e falsa applicazione dell’art. 151 disp. att. c.p.c., D.M. n. 55 del 2014, artt. 2 e 4, art. 2233 c.c., art. 36 Cost., artt. 112 e 115 c.p.c., art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 e art. 111 Cost.: la ricorrente assume l’erroneità della decisione della Corte che ha ridotto gli onorari in assenza di una specifica domanda di parte e della non contestazione circa la loro misura; la riduzione al 50% violava il principio di adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera e al decoro della professione; inoltre la Corte non aveva considerato che la riunione dei procedimenti fin dal primo grado in ragione dell’unitaria trattazione delle controversie imponeva l’applicazione dell’art. 151 disp. att. c.p.c., comma 2 e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, che già prevedono una riduzione del compenso, con la conseguenza che l’ulteriore decurtazione aveva determinato un importo non proporzionale e inadeguato; infine, la motivazione era illogica e inidonea a sorreggere la decisione sul piano logico-giuridico;

2.- violazione o falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 28 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, dell’art. 38 c.p.c. e art. 702 bis c.p.c., comma 4, artt. 91 e 112 c.p.c. e art. 336 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e art. 111 Cost.: la ricorrente si duole della omessa pronuncia della Corte sulla liquidazione delle spese relative al giudizio di primo grado, senza considerare che la sentenza d’appello aveva riformato quella del tribunale (che si era conclusa con il rigetto della pretesa del suo cliente) e aveva pertanto liquidato le spese tanto del giudizio di primo grado quanto dell’appello, sicchè la cognizione ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. cit. non poteva che riguardare tutte le spese, anche in considerazione dell’esito complessivo della lite;

3.- violazione o falsa applicazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 111 Cost.: la ricorrente assume che, nonostante la sua espressa richiesta, la Corte non aveva provveduto sul maggior danno da svalutazione monetaria e sugli interessi moratori, da calcolarsi in conformità al combinato disposto dell’art. 1284 c.c., comma 4, e D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5;

4.- violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 111 Cost. per aver la Corte compensato le spese di lite senza adeguata motivazione, considerata anche la nuova formulazione dell’art. 92 c.p.c. nel testo modificato dal D.L. n. 132 del 2014, art. 13 applicabile ai giudizi instaurati a far data dal 12/12/2014;

5.- il ricorso è ammissibile: questa Corte ha infatti già affermato che l’ordinanza, espressamente definita non appellabile dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 con cui si conclude lo speciale procedimento ivi previsto, ha indubbiamente natura decisoria sicchè deve esserne consentita la ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. 17/05/2017, n. 12411; Cass. Sez. Un. 23/2/2018, n. 4485);

6.- il primo motivo è manifestamente infondato;

6.1.- l’art. 2233 c.c. dispone che il compenso dovuto per le prestazioni d’opera intellettuale, se non è convenuto dalle parti e se non può essere stabilito secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene;

6.2.- la norma pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato (Cass. 25/1/2017, n. 1900; Cass. 04/06/2018, n. 14293);

6.3.- è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l’art. 2233 c.c., nella parte in cui dispone che, in mancanza di accordo tra le parti, il compenso è determinato dal giudice in base alle tariffe, attribuisce un potere discrezionale al giudice che, se congruamente motivato ed esercitato in conformità alle tariffe professionali, è insindacabile in cassazione (sul potere discrezionale del giudice la giurisprudenza, anche risalente, è costante: v. Cass. 30/10/1996, n. 9514; Cass. 18/04/1998, n. 3982; Cass. 31/01/2017, n. 2386);

6.4.- il potere discrezionale può esplicarsi anche nell’aumento o nella riduzione dei compensi (Cass. 2/8/2005, n. 16132; nello stesso senso, Cass. 18/04/2005, n. 8084; Cass. 03/07/2003, n. 10532; Cass. 21/7/2011, n. 16040; Cass. 10/1/2017, n. 269), e ciò a prescindere dall’istanza del professionista o, correlativamente, dalla richiesta del cliente;

6.5.- l’unico limite è che, nei rapporti tra professionista e cliente, il giudice non può liquidare gli onorari al di sotto dei minimi tariffari (Cass. 03/09/2003, n. 12840; Cass. 23/03/2004, n. 5802), circostanza quest’ultima che la parte ricorrente non ha mai allegato nè, tantomeno, provato;

6.6.- le tariffe che escludono la discrezionalità del giudice sulla determinazione del concreto ammontare dei compensi dovuto sono solo quelle fisse (cc.dd. tariffe obbligatorie alle quali si riferisce anche l’art. 636 c.p.c., comma 1, u.p.), dato che solo queste sono astrattamente idonee ad integrare direttamente il contratto, non quelle con determinazione del massimo e del minimo, le quali hanno solo la funzione di fissare i limiti dell’autonomia privata nella determinazione del compenso e di dettare i criteri di liquidazione che, in mancanza di accordo, il giudice è tenuto a rispettare senza pregiudizio degli spazi di discrezionalità che i criteri stessi consentono, e non la funzione, come propone la ricorrente, di attribuire al professionista l’unilaterale ed incensurabile potestà di indicare, sia pure nei limiti segnati dalla tariffa, il compenso dovuto dal proprio cliente, e, in altri termini, di integrare, con la propria determinazione volitiva, il contenuto del contratto, fissando l’oggetto della obbligazione principale del cliente (Cass. n. 9514/1996, cit.);

6.7.- la censura che fa leva sulla dedotta violazione della garanzia di adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera ed al decoro del professionista è dunque manifestamente infondata ove solo si consideri che gli onorari liquidati nel provvedimento impugnato sono comunque superiori ai minimi della tariffa prevista per la fascia di valore della controversia, la quale rappresenta un valido criterio in sede di determinazione giudiziale ex art. 2233 c.c. a garanzia dell’attività svolta dal professionista; infine, non è invocabile l’art. 36 Cost. il quale, come si è detto, è applicabile solo ai rapporti di lavoro subordinato (Cass. 25/1/2017, n. 1900, cit.);

6.8.- quanto al profilo di censura secondo cui il giudice avrebbe dovuto tener conto della “non contestazione” del cliente rispetto agli importi indicati nella parcella, e in aggiunta a quanto su rilevato in ordine ai poteri discrezionali del giudice, esso presenta un evidente vizio di inammissibilità per mancanza di specificità e autosufficienza, non avendo la ricorrente trascritto, se non per brevi e incomprensibili stralci, la memoria difensiva depositata dal cliente nel procedimento dinanzi alla Corte d’appello, e ciò impedisce di apprezzare la sussistenza della non contestazione anche con riguardo al quantum della pretesa (Cass. 12/10/2017, n. 24062; Cass. 13/10/2016, n. 20637; Cass. 09/08/2016, n. 16655);

6.9.- neppure sussiste la dedotta violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2 e 4; quest’ultima norma così dispone al comma 1: “Ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e delle complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In ordine alla difficoltà dell’affare si tiene particolare conto dei contrasti giurisprudenziali, e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all’80%, o diminuiti fino al 50%. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100% e la diminuzione di regola fino al 70%”;

6.10.- si tratta di una disposizione di carattere generale, rispetto alla quale quella contenuta nel successivo comma 4 (“Nell’ipotesi in cui, ferma l’identità di posizione processuale dei vari soggetti, la prestazione professionale nei confronti di questi non comporta l’esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto, il compenso altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto e di regola ridotto del 30%”) si pone in rapporto di specialità, nel senso che trova applicazione allorchè ricorre il duplice presupposto dell’identità della posizione processuale dei vari soggetti assistiti dal medesimo difensore e della sostanziale identità delle questioni di fatto e di diritto trattate; solo in tal caso è prevista, di regola, la riduzione del 30% del compenso, altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto;

6.11.-come emerge con chiarezza dal tenore dell’ordinanza impugnata, l’esercizio del potere di riduzione dei compensi da parte della Corte territoriale è stato giustificato non già sul presupposto della “identità della posizione processuale dei vari soggetti” e dell’assenza di “specifiche e distinte questioni di diritto” (art. 4, comma 4) bensì in ragione del più lato criterio della “ripetitività delle problematiche che hanno dato luogo a diversi analoghi procedimenti”;

6.12.- l’argomento della natura seriale delle controversie è, all’evidenza, utilizzato dalla Corte d’appello al solo al fine di formulare un giudizio sulla mancanza di una particolare complessità e difficoltà delle questioni trattate, ai sensi dell’art. 4, comma 1 (cfr. Cass.12/6/1998, 5887, secondo cui “l’esercizio della facoltà discrezionale nella determinazione degli onorari entro le misure minime e massime tabellari (può) essere legittimamente orientato pure dalla valutazione comparativa della attività difensiva svolta dall’avvocato per il medesimo cliente in altre controversie, aventi analogo oggetto e involgenti “argomenti comuni e spesso addirittura ripetitivi”, essendo tale valutazione comparativa idonea a definire – a norma del D.M. n. 585 del 1994, art. 5 – la importanza delle questioni trattate”);

6.13.- infine, sotto il profilo della violazione dell’obbligo di motivazione, il motivo si presenta manifestamente infondato, sia perchè il provvedimento contiene, come si è visto, una motivazione esaustiva e coerente, idonea a sorreggerlo, sia perchè nella nozione di violazione di legge per la quale il ricorso per cassazione è proponibile ex art. 111 Cost. è compreso soltanto il vizio di mancanza assoluta della motivazione, come è stato ritenuto anche altre volte da questa Corte (cfr. Cass. 06/03/2002, n. 3197; Cass. 20/08/2004, n. 16349);

7.- è invece fondato il secondo motivo di ricorso;

7.1.- a fronte della specifica domanda avente ad oggetto la liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato per l’attività svolta in favore dell’odierno controricorrente nel giudizio innanzi al tribunale, la Corte d’appello – lungi dall’omettere la pronuncia su tale domanda – ha ritenuto la propria incompetenza a provvedere (pag. 4 dell’ordinanza, penultimo periodo della parte motiva);

7.2.- si tratta di una ordinanza declinatoria della competenza che avrebbe dovuto essere impugnata con regolamento ex art. 42 c.p.c., in applicazione del principio che – quantunque non senza contrasti – è enunciato con orientamento pressochè maggioritario da questa Corte ed in forza del quale “Nell’ipotesi di unico giudizio con pluralità di domande, la sentenza di primo grado che, pur in difetto di un esplicito provvedimento di separazione, declini la propria competenza o dichiari la litispendenza per una delle domande proposte e decida nel merito le altre e distinte domande, è solo formalmente unica, atteso che contiene diverse decisioni ciascuna relativa alle varie domande proposte. Ne consegue che il capo relativo alla pronuncia sulla competenza o sulla litispendenza – essendo autonomo dagli altri può, a norma dell’art. 42 c.p.c., essere impugnato soltanto con l’istanza di regolamento necessario di competenza e che pertanto è inammissibile l’appello eventualmente proposto” (Cass. 16/3/2017, n. 6826; Cass. 07/05/2015, n. 9268; Cass. 26/02/2003, n. 2879; Cass. 28/8/2002, n. 12607);

7.3.- tuttavia, secondo l’altrettanto costante insegnamento di questa Corte, è fatta salva la possibilità di conversione del ricorso per cassazione in istanza di regolamento di competenza, qualora risulti osservato il termine perentorio prescritto dall’art. 47 c.p.c., comma 2, di trenta giorni decorrente dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione da parte della cancelleria della sentenza impugnata (Cass.9/10/2015, n. 20304, ed ivi ampi richiami);

7.4.- nel caso di specie l’ordinanza (che non risulta notificata o comunicata prima della sua impugnazione) è stata depositata in cancelleria, e quindi pubblicata, in data 5/7/2017, mentre il ricorso per cassazione avverso la medesima decisione risulta notificato in data 1/9/2017, nell’ampio rispetto del termine di cui all’art. 47 c.p.c., comma 2, dovendosi considerare che il procedimento in esame è soggetto alla sospensione dei termini durante il periodo feriale (Cass. 28/11/1987, n. 8865; con riguardo alla sospensione feriale anche per i termini di cui all’art. 47 c.p.c., v. Cass. 21/3/1996, n. 2459);

7.5. – sussistono pertanto i presupposti formali e sostanziali perchè il presente ricorso sia convertito in regolamento di competenza (sulla possibilità della conversione, cfr. Cass. 11/03/2014, n. 5598; Cass. 09/10/2015, n. 20304; Cass. 10/7/2017, n. 17025);

8.- l’istanza di regolamento deve essere accolta, alla luce della recente decisione delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez.Un. 19/2/2020, n. 4247), che ha enunciato il seguente principio di diritto: “In ordine al procedimento per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti di avvocato di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28 come sostituito dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 16, lett. a), ove il professionista, agendo ai sensi dell’art. 14 del citato D.Lgs., chieda la condanna del cliente inadempiente al pagamento dei compensi per l’opera prestata in più fasi o gradi del giudizio, la competenza è dell’ufficio giudiziario di merito che ha deciso per ultimo la causa”;

8.1.- si tratta peraltro di un orientamento già formatosi nel vigore della speciale procedura di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28 che, in base alla valorizzazione dell’uso della forma verbale “deve” presente nell’art. 28 dell’epoca – è pervenuto a configurare come funzionale ed inderogabile la competenza del Capo dell’ufficio giudiziario adito per i vari gradi o le varie fasi del processo (così Cass. Sez.Un. 4247/2020, cit. che richiama Cass. 14 aprile 1983, n. 2613; Cass. 6 marzo 1991, n. 2347; Cass. 24 marzo 1992, n. 3620; Cass. 27 gennaio 1995, n. 993; Cass. 12 settembre 1995, n. 9628; Cass. SU 23 marzo 1999, n. 182; Cass. 23 ottobre 2001, n. 13001; Cass. 16 luglio 2002, n. 10293; Cass. 6 dicembre 2013, n. 27402);

8.2.- deve così dichiararsi la competenza funzionale della Corte d’appello di Messina a decidere sulla domanda dell’avvocato N. avente ad oggetto la liquidazione dei compensi relativi all’attività svolta in favore dell’odierno controricorrente nel giudizio di primo grado;

9.- il terzo motivo è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile;

9.1.- l’art. 1284 c.c., nel testo novellato (a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, che ha introdotto con l’art. 17, comma 1, i commi 4 e 5, applicabile ratione temporis al presente giudizio, in quanto introdotto successivamente all’entrata in vigore del D.L. cit.), disciplina il tasso degli interessi legali in controversie che hanno ad oggetto il pagamento di somme di denaro; in particolare, esso prevede ai commi 4 e 5 quanto segue: “Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”;

9.2. – la formula della norma è chiara nel predeterminare tanto la misura quanto la decorrenza degli interessi legali, nel caso in cui il credito – che, come nella fattispecie all’esame, trovi la sua fonte in un contratto – venga riconosciuto da una sentenza a seguito di un giudizio anche arbitrale, senza che occorra una specifica domanda e senza necessità di apposita precisazione del loro saggio in sentenza (Cass. 7/11/2018, n. 28409; Cass. 25/3/2019, n. 8289; Cass. 31/5/2019, n. 14911);

9.3.- l’ordinanza impugnata ha riconosciuto gli “interessi dalla domanda” sicchè in nessuna violazione è incorsa la Corte territoriale, dovendosi comunque ritenere il provvedimento integrato, quanto al saggio degli interessi, dalla disposizione su richiamata (art. 1284 c.c., comma 4);

9.4.- sul mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria il motivo si presenta inammissibile, perchè la parte non riproduce la parte del ricorso introduttivo del giudizio in cui avrebbe richiesto il maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2;

9.5.- va ricordato che, in tema di contratto d’opera professionale, il diritto del professionista al compenso ha natura di debito di valuta e non è pertanto suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta (Cass. 28/3/2012, n. 4959), non potendo trovare applicazione il disposto dell’art. 429 c.p.c. (Cass. 28/3/2012, n. 4959; Cass. 26/02/2002, n. 2823);

9.6.- ne consegue che la sopravvenuta svalutazione monetaria non consente una rivalutazione d’ufficio del credito (v. pure Cass. 19/01/2005, n. 1063; Cass. 2/8/2005, n. 16132);

11.- conclusivamente, deve accogliersi il secondo motivo di ricorso, con la declaratoria della competenza funzionale della corte d’appello a decidere della controversia relativa alla liquidazione dei compensi professionali spettanti all’avvocato N. per l’attività prestata in favore dell’odierno controricorrente del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale; la corte d’appello, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità, nonchè sulle spese delle pregresse fasi di merito, restando così assorbita la questione posta nel quarto motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati il primo e il terzo e assorbito il quarto; per l’effetto, dichiara la competenza funzionale della Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, dinanzi alla quale rimette le parti, a decidere sulla domanda di liquidazione dei diritti e gli onorari spettanti all’odierna ricorrente per la prestazione resa in favore del controricorrente nel giudizio di primo grado; il giudice designato provvederà anche sulle spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

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