Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19901 del 29/08/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19901 Anno 2013
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 2601/2012 proposto da:

domanda di
revocazione di
sentenza

GELAO RAFFAELE (C.F.: GLE RFL 49D16 A662N) e MANNARINI LUCREZIA (C.F.:
MNN LRZ 53M51 A 662E), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al
ricorso, dall’Avv. Francesco Fiore ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.
Benito Panariti, in Roma, via Celimontana, n. 38; – ricorrenti —
contro
COMUNE DI BARI, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso, in virtù di
procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Alberto Di Cagno ed elettivamente
domiciliato presso lo studio dell’Avv. Emanuele Boccongelli, via Trieste, n. 10;
– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 1189 del 2010 della Corte di appello di Bari,
depositata il 22 dicembre 2010 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2013

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le memorie difensive depositate nell’interesse di entrambe le parti;

1

Data pubblicazione: 29/08/2013

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Pierfelice Pratis, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in
atti.
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 22 gennaio 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << I sigg.ri Longo Rosa, convenivano in giudizio il Comune di Bari deducendo che, con atto pubblico del 22 novembre 1982, avevano acquistato dal sig. Abbondanza Luigi un immobile e che, solo con la notificazione dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Bari n. 20662 del 4 giugno 1996, erano venuti a sapere che il predetto venditore aveva stipulato con il Comune di Bari, in data 18 luglio 1964, un atto unilaterale di cessione gratuita di una parte del suolo loro alienato. Sulla scorta di tale premessa, gli attori chiedevano all'adito Tribunale di Bari una pronuncia dichiarativa di intervenuta usucapione abbreviata, ovvero ordinaria, del suolo. Il Comune di Bari si costituiva in giudizio ed eccepiva il difetto dei presupposti oggettivi e soggettivi per la declaratoria di usucapione, spiegando anche domanda riconvenzionale. Il Tribunale, con sentenza n. 3541 del 1998, rigettava la domanda principale e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava gli attori al rilascio dell'immobile "de quo" in favore del Comune di Bari, compensando per un quarto le spese processuali e ponendo i residui 3/4 a carico dei soccombenti. Con atto di citazione notificato il 10 giugno 1999, i sigg.ri Longo, Gelao e Mannarini interponevano appello avverso la richiamata sentenza e ne chiedevano la sospensione dell'efficacia esecutiva; il Comune di Bari proponeva appello incidentale. Con sentenza n. 597 del 2002, la Corte di Appello di Bari rigettava entrambi gli appelli, ponendo a carico degli appellanti principali le spese del secondo grado di giudizio. 2 Mannarini Lucrezia e Gelao Raffaele, con atto di citazione notificato il 4 giugno 1996, Avverso quest'ultima sentenza proponevano giudizio di revocazione, ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., i sigg.ri Gelao e Mannarini, con atto di citazione notificato in data 24 settembre 2003 al Comune di Bari ed a Longo Rosa. Dei convenuti si costituiva in giudizio soltanto il Comune di Bari, in persona del sindaco pro-tempore, insistendo per il rigetto dell'avversa impugnazione. e non notificata, definitivamente pronunciando, rigettava l'impugnazione e condannava i sigg.ri Gelao e Mannarini, in solido fra loro, alla rifusione, in favore del Comune di Bari, delle spese processuali del grado. Avverso la suddetta sentenza adottata in esito al giudizio di revocazione, i sigg.ri Gelao e Mannarini proponevano ricorso per cassazione, notificato il 23 gennaio 2012 e depositato il 10 febbraio successivo, deducendo un unico motivo. L'intimato Comune di Bari si costituiva con controricorso. Ritiene il relatore che, avuto riguardo all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, n. 5), c.p.c., sembrano sussistere i presupposti per pervenire al rigetto del ricorso, rilevandosi la sua manifesta infondatezza e, quindi, i presupposti per la sua conseguente definizione nelle forme del procedimento camerale. Con l'unico motivo formulato i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 395 n. 4) c.p.c. e 360 e ss. c.p.c. nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per mancato esame dell'ordinanza del Sindaco di Bari nr. 20662 del 4 giugno 1996 e dell'atto pubblico di compravendita del 2 maggio 1991 a ministero del notaio Costantini. In particolare, i ricorrenti hanno sostenuto che l'errore revocatorio trovava ex actis pieno e completo riscontro, richiamando, a sostegno delle proprie ragioni, l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che aveva ravvisato l'errore revocatorio nell'attribuzione, anche per implicito, ad un documento di un contenuto diverso da quello effettivo. 3 La Corte d'Appello di Bari, con sentenza n. 1189 del 2010, depositata il 22 dicembre 2010 Tale errore revocatorio risulta dedotto sotto tre profili. In primo luogo, la Corte territoriale avrebbe attribuito all'atto pubblico di compravendita, a rogito del notaio Macchia del 22 novembre 1982, un contenuto testuale diverso da quello effettivo "incontroverso e, comunque, incontrovertibile". Sotto altro profilo, la stessa Corte avrebbe rinvenuto nell'atto di cessione di cubature, in riconoscimento da parte di Longo, Mannarini e Gelao, del diritto spettante all'Ente territoriale, sul suolo in questione, con effetto interruttivo del termine di usucapione. Infine, il terzo errore, nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale, sarebbe consistito nell'avere questa desunto, dal preteso riconoscimento dell'altrui diritto rinvenuto nell'atto di cessione del 2 maggio 1991, l'effetto interruttivo -ex artt. 1165 e 2944 c.c.- del termine per l'usucapione. Ritiene il relatore che tale complessa doglianza appare, all'evidenza, infondata. Invero "l'errore di fatto idoneo, a norma dell'art. 395 n. 4 c.p.c., a costituire motivo di revocazione della sentenza, si configura come una falsa percezione della realtà, cioè in una svista materiale, obiettivamente e immediatamente rilevabile - sì da non richiedere, per essere apprezzata, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche in conseguenza della quale il Giudice sia stato indotto ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti, oppure l'inesistenza di un fatto, anch'esso decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato. Per essere meramente percettivo, l'errore non deve essere in alcun modo ricollegabile ad un'attività valutativa, ad apprezzamenti nel giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività. In caso contrario, e cioè laddove i vizi dedotti investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logicogiuridico, la sentenza non è suscettibile di revocazione a norma del n. 4 dell'ad. 395 c.p.c." (cfr., ad es., Cass. n. 8180 del 2009 e Cass. n. 24512 del 2009). 4 favore della eco di Mare s.r.I., stipulato in data 2 maggio 1991 per notaio Costantini, il In altri termini, l'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4), c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste nell'affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti, invece, in modo indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa; esso si configura quindi in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia dagli atti e documenti, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l'errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico. Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, con motivazione logica ed adeguata, ha correttamente ritenuto che gli errori di fatto lamentati non possedevano i requisiti indispensabili per la revocazione, perché in relazione a tutti e tre gli aspetti valutati dalla Corte di merito, le conclusioni da essa formulate costituivano il risultato di una valutazione logico-giuridica e di un procedimento ermeneutico degli atti e delle norme, profili che, qualora non condivisi, avrebbero potuto essere suscettibili di impugnazione in via ordinaria mediante la proposizione di ricorso per cassazione. Le motivazioni con le quali la Corte barese ha rigettato l'impugnazione per revocazione sono, altresì, adesive all'insegnamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo cui "l'errore revocatorio deve essere un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva", ragion per cui "non si è, invece, in presenza di un errore percettivo, ma eventualmente di un errore di giudizio, quando il fatto su cui l'errore è caduto ha costituito oggetto di decisione" (cfr., tra le tante, Cass. n. 605 del 2002; Cass. n. 14267 del 2007; Cass. n. 8180 del 2009). 5 portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso In definitiva, si riconferma che sussistono, nel caso di specie, i presupposti per il rigetto del ricorso, rilevandosi la sua manifesta infondatezza con riguardo all'art. 375 n. 5) c.p.c., con la conseguente definizione nelle forme del procedimento camerale di cui all'art. 380 bis c.p.c., anche avuto riguardo al disposto dell'art. 360 bis n. 1) dello stesso codice di rito>>.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti

sensi dell’art. 380 bis c.p.c., nell’interesse dei ricorrenti non aggiunge ulteriori
argomentazioni idonee a confutare la relazione stessa;
ritenuto

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la

conseguente condanna — in virtù del principio della soccombenza — dei ricorrenti, in solido
fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla
scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio
2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso

D.M.: cfr.

Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via solidale, al pagamento delle spese
del presente giudizio, liquidate in complessive euro 6.700,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 18 giugno 2013.

nella relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, la memoria difensiva, depositata ai

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