Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19900 del 20/09/2010

Cassazione civile sez. I, 20/09/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 20/09/2010), n.19900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.P., elettivamente domiciliata in Roma, via Valadier

43, presso l’avv. PORTOGHESE ANTONIO, che la rappresenta e difende

per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma in data 14 dicembre

2007, cron. n. 9389, nella causa iscritta al n. 53110/06 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22 aprile 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, Dott. PRATIS Pierfelice, che nulla ha

osservato.

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi

dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al

Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. M.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso il

decreto della Corte di appello di Roma in data 14 dicembre 2007 in

materia di equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 2;

1.1. il Ministro della Giustizia intimato ha resistito con

controricorso.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E DIRITTO

2. il primo motivo appare manifestamente fondato, in quanto con riferimento alla procedura fallimentare la valutazione in ordine alla sussistenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo va effettuata avendo riguardo alla sua durata complessiva, che ha inizio con la sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. 2005/17998; 2006/24040);

2.1. il secondo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito di diritto che lo illustra si risolve nel generico interpello della Corte di cassazione in ordine alla doglianza formulata, incentrata su critiche attinenti all’apprezzamento dei fatti di causa compiuto dal giudice di merito, ma non contiene la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice di merito e della diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. S.U. 2008/2658; Cass. 2008/19769; 2008/24339);

2.2. il terzo motivo appare anch’esso inammissibile, in quanto è stata dedotta genericamente sia l’insufficienza che l’illogicità e apoditticità della motivazione, in violazione dell’obbligo di formulare le censure (e quindi anche i quesiti di diritti e i momenti di sintesi ex art. 366 bis c.p.c.) in modo rigoroso e preciso, secondo le regole di chiarezza indicate dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie, (Cass. 2008/9470), evitando doglianze multiple e cumulative (Cass. 2008/5471), così da non ingenerare incertezze in sede di formulazione e di valutazione della loro ammissibilità (Cass. 2008/2652); il ricorrente, inoltre, non ha illustrato il motivo di censura, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume illogica, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897);

2.3. parimenti inammissibile sembra configurarsi il quarto motivo, attinente a violazione di norme di diritto, in quanto la ricorrente non ha concluso l’illustrazione del motivo di censura con la formulazione – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.,- del quesito di diritto, che non può essere desunto dal contenuto del motivo, non idoneo ad integrare il rispetto del requisito formale specificamente richiesto dalla citata disposizione (Cass. 2007/16002; 2007/23153; 2008/16941; 2008/20409);

3. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”; B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione, con la precisazione che, nei confronti del creditore ammesso al passivo, la decorrenza della ragionevole durata del processo ha inizio con l’istanza di ammissione al passivo, con la quale il creditore diventa parte della procedura (v. Cass. 2010/8169);

ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto con riferimento al primo motivo, dichiarati inammissibili gli altri motivi, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alla censura accolta;

non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; in particolare, determinate in dodici anni e undici mesi la durata complessiva della procedura fallimentare di cui trattasi, a decorrere dal 10 marzo 1993 (data di deposito da parte della ricorrente dell’istanza di ammissione al passivo) fino al febbraio 2006 (epoca di chiusura del fallimento), e in sette anni la durata ragionevole del processo medesimo, secondo la decisione del giudice del merito, divenuta irrevocabile, attesa la inammissibilità delle censure sollevate sul punto dalla ricorrente nel presente giudizio di cassazione, il periodo di durata non ragionevole va conseguentemente fissato in cinque anni e undici mesi;

inoltre, stabilito in Euro 400,00 per ciascun anno di ritardo, secondo la statuizione del giudice del merito, anch’essa divenuta irrevocabile per la inammissibilità della relativa censura sollevata in questa sede, si deve, di conseguenza, riconoscere nel caso di specie alla ricorrente l’indennizzo di Euro 2.367,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero della Giustizia soccombente;

le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso, con distrazione delle stesse in favore del difensore della ricorrente, avv. Antonio Portoghese, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo e dichiara inammissibili gli altri. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 2.367,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda. Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 806,00, di cui Euro 311,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 330,00 di cui Euro 230,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle spese di entrambi i giudizi in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2010

 

 

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