Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19896 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 23/09/2020), n.19896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9021-2019 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GIORGIA SCURAS, MASSIMO BIANCHI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.L., C.D.B., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA DI MONTE FIORE, 22, presso lo studio dell’avvocato

ALBERTO MARIA FLORIDI, che li rappresenta e difende giusta procura

in calce al controricorso; R.D.M.C.,

R.D.M.M.L., R.D.M.G., R.D.M.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo

studio dell’avvocato GIULIANO SCARSELLI , che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANCARLO MAERO giusta procura a

margine del controricorso;

C.D.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

MONTE FIORE 22, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GATTAMELATA,

che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

T.L., B.A.S., T.B., elettivamente

domiciliati in ROMA, V. GERMANICO 197, presso lo studio

dell’avvocato FELICIA D’AMICO, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MASSIMO MASSARA, ANTONELLA LANFOSSI giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

C.D.M., C.D.C.E.,

C.D.F., CA.D’.LU.,

C.D.A., R.A., R.G., R.M.C.,

D.E., RI.FR., RI.CA.EM., EREDI

R.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1642/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente, dai controricorrenti

T.L., B.A.S. e T.B., dalle

controricorrenti B.L. e C.D.B., e dalla

controricorrente C.D.L.;

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

R.N. nel 1998 conveniva in giudizio i fratelli R.A., R.L. e R.G., la zia R.F., la cugina C.D.L. ed i cugini T.L., T.L. e T.B., al fine di conseguire lo scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto, insieme ad altri beni, il castello di (OMISSIS).

La domanda era stata contestata dai germani dell’attrice, i quali avevano sostenuto che fin dal 1970 i fratelli R.F., R.G. R.B., B.M. e B.P. (dei quali le parti processuali erano eredi secondo i rispettivi titoli) avevano individuato alcune porzioni del castello di rispettiva pertinenza e ne avevano goduto in via esclusiva; pertanto, eccepivano l’inammissibilità della domanda divisionale e, in via riconvenzionale, chiedevano l’accertamento dell’intervenuta usucapione.

Parimenti contestavano la domanda di divisione i convenuti T. nei termini formulati, così come la domanda di usucapione dei convenuti R..

Si costituiva anche C.D.L. che contestava la sussistenza dell’usucapione dedotta, non opponendosi alla richiesta divisione, previa autorizzazione alla chiamata in giudizio dei restanti condividenti C.D.E. ed C.D.A., rimasti, tuttavia, contumaci, così come R.M.C., la quale aveva donato le proprie ragioni successorie ai fratelli R.N., R.A., R.L. e R.G..

Il Tribunale di Saluzzo disponeva la divisione del compendio immobiliare in comunione tra le parti attribuendo i cinque lotti, come individuati all’esito delle due relazioni svolte dal ctu, con completa compensazione delle spese di lite.

L’appello avverso tale pronuncia veniva proposto in via principale da T.L., T.L. e T.B., i quali contestavano la decisione di primo grado poichè il giudice non aveva disposto sullo scioglimento della totalità dei beni da dividere ed aveva mantenuto la comunione sulla “casa del custode” e sul “locale 110 destinato alla biblioteca”.

Contestavano, inoltre, la violazione del meccanismo di estrazione a sorte nell’assegnazione dei lotti.

Proponeva, inoltre, appello incidentale R.L. che deduceva violazioni di carattere procedurale nonchè il rigetto dell’eccezione di usucapione e contestava parimenti l’esclusione dalla divisione delle parti comuni come la anzidetta “casa del custode” e il “locale 110 destinato a biblioteca”.

All’esito del giudizio di secondo grado, disposta nuova CTU, la Corte d’Appello di Torino con la sentenza n. 2337 del 28 novembre 2013 rigettava la domanda di accertamento dell’usucapione, preso atto delle risultanze emerse all’esito della rinnovata CTU, disattendeva le censure sul sorteggio e, ritenendo condivisibile la terza ipotesi divisionale alternativa elaborata dal CTU nella quarta relazione depositata il 1/10/2012, provvedeva allo scioglimento della comunione ed all’assegnazione dei nuovi lotti come identificati con i numeri ed i colori meglio specificati nel dispositivo della sentenza n. 2237 depositata il 20/11/2013, con i relativi conguagli e prevedendo l’assegnazione in comunione dei beni meglio dettagliati in dispositivo (fra i quali la strada di accesso, il terrazzo, dei tratti di scarpata e di giardino fra cui quello con la sorgente d’acqua).

Per la cassazione di tale pronuncia R.L. proponeva ricorso articolato in tre motivi, cui resistevano con controricorso R.D.M.G., R.D.M.C., R.D.M.M.L., e R.D.M.L., quali eredi di R.F..

Resistevano con autonomi controricorsi C.D.B. e C.D.L., la quale a sua volta proponeva ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

B.A.S., T.L. e T.B. hanno resistito ad entrambi i ricorsi, mentre gli altri intimati non svolgevano attività difensiva.

Questa Corte con la sentenza n. 1642 del 22 gennaio 2019 rigettava sia il ricorso principale che quello incidentale.

Per quanto rileva in questa sede, e con specifico riferimento al secondo motivo di ricorso principale, la cui soluzione è attinta dal ricorso per revocazione in esame, la sentenza gravata rilevava che con tale motivo si deducevano più profili di censura fra i quali anche l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si censurava, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c, comma 2 e dell’art. 167c.p.c, nonchè gli artt. 209, 345, 358 c.p.c. ed ancora dell’art. 2697 c.c., per avere la corte d’appello ritenuto pacifica l’inconfigurabilità del possesso esclusivo dell’ala est mentre – assumeva il ricorrente – negli atti di causa emergerebbe il riconoscimento proveniente dalle altre parti processuali del reciproco godimento di ben determinate porzioni del castello. La conclusione della corte d’appello avrebbe, pertanto, violato il principio di non contestazione.

La sentenza di questa Corte così motivava il rigetto del motivo: “2.2. Il motivo è infondato perchè anche in relazione a tale doglianza la lettura integrale della motivazione consente di evidenziare come la corte non abbia affermato l’inesistenza del godimento da parte di B.G. della porzione del castello identificata con i venti vani oggetto della domanda di usucapione, ma abbia precisato che tal godimento da solo costituisce un semplice godimento separato di parte del cespite ex art. 714 c.c. (cfr. pag. 44 sentenza).

2.3. La conclusione non è messa in discussione dalle prove testimoniali richieste dal R. e non ammesse dalla corte all’esito di specifica valutazione che le ha fatte ritenere in parte superflue ovvero irrilevanti (cfr. pagg. 43 e 44 della sentenza). 2.4. Il profilo di doglianza in esame, deducibile quale vizio della motivazione (cfr. Cass. 66/2015) appare, tuttavia, inammissibile perchè privo di specificità poichè la parte non ha assolto all’onere di indicare in ricorso il contenuto delle prove richieste (cfr. Cass. 2602/2001; id. 26693/2006; id.11501/2006).

2.5. Non appare fondato neppure il profilo riguardante l’asserita violazione del principio di non contestazione, profilo che riguarda la ricostruzione in fatto delle fasi evolutive dei rapporti fra gli eredi al fine di giungere alla divisione del compendio ereditario e che costituirebbe uno dei due argomenti a favore della prospettata usucapione.

2.6. Con riguardo alla scrittura “Concordato 1970″, pacificamente non sottoscritta e priva di data, la corte torinese afferma che ad essa non può essere attribuita valenza decisiva, inserendosi in un coacervo di documenti susseguitisi negli anni senza che da essi sia sortita una divisione vera e propria.

2.7. La corte poi non esclude che vi sia stata l’occupazione di fatto da parte del dante causa del ricorrente della porzione di castello asseritamente usucapita, nondimeno non è stata ritenuta rilevante, attesa la qualità di comproprietario e, quindi, di compossessore dell’intero compendio immobiliare (cfr. pag. 41 sentenza)”.

Per la revocazione di tale sentenza propone ricorso R.L. sulla base di un motivo, illustrato da memorie.

Resistono con controricorso B.A.S., T.L., T.B., R.D.M.G., R.D.M.C., R.D.M.M.L., R.D.M.L., C.D.L., C.D.B., B.L..

Hanno depositato memorie, oltre al ricorrente, i controricorrenti T.L., B.A.S. e T.B., le controricorrenti B.L. e C.D.B., e la controricorrente C.D.L.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

L’unico motivo di ricorso denuncia l’errore di fatto revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, laddove questa Corte ha ritenuto che nel ricorso originario proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello non fossero stati riportati i capitoli di prova finalizzati a dimostrare il possesso esclusivo da parte dello stesso ricorrente, capitoli di prova invero puntualmente trascritti dalle pagg. da 19 a 21 dello stesso ricorso.

Ne discende che erroneamente la sentenza in questa sede impugnata ha dedotto l’inesistenza di un fatto (processuale) che al contrario emergeva ex actis.

Il motivo è inammissibile.

Come si rileva dalla lettura della motivazione della sentenza gravata, in relazione al rigetto del secondo motivo di ricorso, il ricorrente si limita a censurare assumendone l’invalidità per essere frutto di un errore revocatorio, solo una della argomentazioni che questa Corte ha utilizzato per pervenire al rigetto del secondo motivo di ricorso.

Infatti, al punto 2.2, nel riferire circa le conseguenze del preteso godimento esclusivo da parte del ricorrente, e prima del suo dante causa, dell’ala est del castello, facendo evidentemente riferimento alle argomentazioni già spese al fine di pervenire al rigetto del primo motivo di ricorso, la Corte ha escluso che, per la peculiare connotazione e dimensione del bene comune, il possesso esercitato su di una parte soltanto del bene da parte di uno dei comunisti potesse avere connotati di esclusività tali da permetterne col tempo l’usucapione, configurandosi piuttosto alla stregua di una modalità di esercizio del compossesso.

Ne ha quindi fatto discendere, in relazione al secondo motivo del ricorso originario, la conseguenza che in realtà non era un problema di prova del godimento dell’ala in questione da parte del R., in quanto anche se sussistente tale godimento esclusivo rientrava nel godimento separato del bene di cui all’art. 714 c.c., non estintivo del diritto di chiedere la divisione.

Al punto 2.3 ha poi aggiunto che le prove richieste dal R., e non ammesse dalla Corte distrettuale, erano state oggetto di specifica valutazione da parte di quest’ultima, che le aveva reputate in parte superflue ed in parte irrilevanti, richiamando poi al punto 2.4 il principio tradizionale secondo cui la mancata ammissione di mezzi istruttori è deducibile solo sotto forma di vizio della motivazione, facendo tale riferimento, evidentemente al fine di corroborare quanto già argomentato in precedenza (come si ricava anche dell’utilizzo dell’espressione “tuttavia”), ma senza con questo voler annettere al difetto di specificità della censura, per l’omessa trascrizione dei capitoli di prova, carattere di decisività.

Risulta quindi evidente come il rigetto del motivo, peraltro dichiarato infondato, e non sic et simpliciter inammissibile (come si sarebbe imposto ove fosse stato attribuito carattere risolutivo alla mancata articolazione in motivo dei capitoli di prova), si fondi su di una valutazione, alla luce della ricostruzione delle modalità di godimento del bene tra i vari condividenti, di sostanziale irrilevanza o superfluità delle prove (mostrandosi in tal modo di ritenere incensurabile la valutazione resa sul punto dalla corte di merito), così che anche a voler reputare che l’affermazione circa la mancata riproduzione dei capitoli di prova sia un errore di fatto, risulta carente il carattere della decisività, attesa l’idoneità delle altre argomentazioni spese da questa Corte nell’impugnata sentenza a reggere di per sè sole il rigetto dell’originario mezzo di gravame del ricorrente (in tal senso si veda Cass. n. 25871/2017, che ha affermato – in un caso in cui la reiezione da parte di questa Corte dei motivi concernenti la mancata ammissione della prova orale si fondava sul rilievo che questa era stata giudicata dalla corte d’appello generica e non rilevante, argomento di per sè idoneo a sostenere la decisione e, quindi, ulteriore rispetto alla constatazione, erronea, della mancata riproduzione del contenuto dei capitoli – che in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione per errore di fatto, nel caso in cui la declaratoria di inammissibilità, contenuta nella sentenza revocanda, si regga su due autonome “rationes decidendi”, una sola delle quali revocabile perchè viziata da errore percettivo, la permanenza della seconda comporta il venir meno del requisito indispensabile della decisività dell’errore revocatorio; conf. Cass. n. 7413/2013).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a provvedere quanto alle parti che non hanno svolto difese in questa fase.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida, per B.L., C.D.B. in complessivi Euro 10.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge, per R.D.M.C., R.D.M.M.L., R.D.M.G., R.D.M.L. in complessivi Euro 8.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge, per C.D.L. in complessivi Euro 10.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge, per T.L., B.A.S., T.B. in complessivi Euro 10.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

 

 

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