Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19893 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/08/2017, (ud. 27/04/2017, dep.09/08/2017),  n. 19893

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4286/2016 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA BALDUINA

7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANCARLO CARLINI;

– ricorrente –

contro

Z.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO 45,

presso lo studio dell’avvocato CARLO MARZANO, rappresentata e difesa

dagli avvocati FERDINANDO BROCCA e PAOLO PATACCONI;

– controricorrente –

e contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA GIA’ NUOVA TIRRENA SPA, elettivamente

domiciliata in ROMA, V. DELLA CROCE 44, presso lo studio

dell’avvocato ERNESTO GRANDINETTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

F.G., G.H., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA PIETRO BORSIERI 13, presso lo studio dell’avvocato ARTURO

GIALLOMBARDO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GUNTHER ROTTER;

– controricorrente –

nonchè da:

ARCH INSURANCE COMPANY (EUROPE) LTD – RAPPRESENTANZA GENERALE PER

L’ITALIA, in persona del Procuratore Speciale, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO GRAZIANI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIANCARLO LOMBARDI;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2173/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Z.R. convenne in giudizio con atto di citazione notificato in data 23 aprile 2009 innanzi al Tribunale di Verbania G.H. e F.G. chiedendo l’arretramento nei limiti della distanza legale di opera edilizia risultante dalla trasformazione di fabbricato vetusto. I convenuti chiamarono in giudizio l’arch. L.G., progettista e direttore dei lavori, e questi a sua volta chiamò in giudizio le società assicuratrici (Nuova Tirrena s.p.a. e Arch Insurance Company Europe Ltd). Il Tribunale adito accolse la domanda attorea, ordinando la demolizione della porzione di fabbricato che si trovava a distanza inferiore di cinque metri dal confine, e rigettò la domanda di manleva e quella risarcitoria proposta dai convenuti. Avverso detta sentenza proposero appello G.H. e F.G.. Con sentenza di data 4 dicembre 2015 la Corte d’appello di Torino accolse parzialmente l’appello, condannando il L. a tenere indenni gli appellanti delle spese da sostenere per l’esecuzione della sentenza e le società assicuratrici a loro volta a tenere indenne il L..

Osservò la corte territoriale, premessa la natura di nuova costruzione dell’opera edilizia e non di semplice ristrutturazione, dal che l’obbligo del rispetto della distanza di cinque metri dal confine, che non ricorreva la speciale difficoltà di cui all’art. 2236 c.c., perchè “il fatto che il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Ghiffa abbia incontrato difficoltà nelle misurazioni, non vale di per sè a giustificare la tesi della particolare difficoltà della prestazione d’opera professionale. Invero, la semplice misurazione di distanze, in modo lineare od a raggio, è una capacità professionale di minimo rilievo per un qualsiasi tecnico e massime per un architetto quale il L.”. Aggiunse la Corte che gli appellanti avevano chiesto l’accertamento della responsabilità del L. per il danno loro cagionato e di dichiarare il professionista tenuto alla manleva di ogni esborso che avrebbero dovuto sopportare e che la domanda risarcitoria per inadempimento contrattuale doveva essere qualificata come domanda di condanna generica “dal momento che – secondo la formulazione il danno deriva da un evento certo nell’an (la demolizione), ma incerto nel quantum (l’effetto dannoso che ne consegue in termini di costi, di risultato e di incisione del valore dell’immobile)”, sicchè la quantificazione dei complessivi danni doveva aversi in separato giudizio.

Ha proposto ricorso per cassazione L.G. sulla base di due motivi e resistono con controricorso G.H. e F.G., Groupama Assicurazioni s.p.a. e Arch Insurance Company Europe Ltd. Quest’ultima ha altresì proposto ricorso incidentale sulla base di un motivo. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito.

Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2236 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che la speciale difficoltà non era rappresentata dall’attività di mera misurazione della distanza del fabbricato rispetto al confine ma dall’interpretazione tecnico-giuridica dell’intervento poichè le norme del PRG e NTA comunali, allegate alla CTU, definivano “ristrutturazione edilizia di tipo B” anche la variazione di superfici utili, con recupero di volumi e modifiche di destinazione d’uso, mediante demolizione del preesistente fabbricato, ed il Comune aveva rilasciato in tal senso l’autorizzazione all’intervento di “ristrutturazione”, anch’essa allegata alla CTU. Aggiunge che l’incertezza interpretativa, sottolineata anche dal CTU, era stata risolta in corso di causa dalla pronuncia n. 21578/2011 delle sezioni unite della Corte di Cassazione. Conclude quindi il ricorrente nel senso che era stato omesso l’esame di tale fatto decisivo e che, in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà, la responsabilità del professionista ricorre solo per dolo o colpa grave.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 183 e 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Premette il ricorrente che nell’atto introduttivo del giudizio era stato domandato nei confronti del L. il risarcimento del danno nella misura provata in corso di causa e che nell’atto di appello, così come all’udienza di precisazione delle conclusioni innanzi al Tribunale, la domanda era stata ampliata nel senso del risarcimento del danno materiale inteso in senso più ampio e del danno morale. Osserva quindi che, nonostante la richiesta degli appellanti non potesse qualificarsi condanna generica, il giudice di appello, violando il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ed il regime delle preclusioni che non consente di introdurre domande nuove, aveva qualificato la domanda risarcitoria come domanda di condanna generica.

Passando al ricorso incidentale, con l’unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2236 c.c., ed omesso esame del fatto decisivo e controverso. Lamenta la ricorrente in via incidentale l’omesso esame del fatto rappresentato dall’oggettiva difficoltà d’interpretazione della natura dell’intervento edilizio, da cui la non corretta applicazione dell’art. 2236 c.c..

Il primo motivo del ricorso principale, ed il ricorso incidentale, sono da valutare unitariamente stanti le comuni ragioni di censura, e sono inammissibili. Nel medesimo motivo di ricorso le parti denunciano sia la violazione di legge che il vizio motivazionale. Benchè sia in linea di principio inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443; anche 20 settembre 2013, n. 21611), va tuttavia osservato che il ricorso è ammissibile ove la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. 6 maggio 2015, n. 9100). Nel motivo in esame sono agevolmente scindibili le due censure.

Muovendo da quella per vizio motivazionale, avente rilievo pregiudiziale, va evidenziato che le parti ricorrenti si dolgono dell’omesso esame del fatto rappresentato dall’interpretazione della natura dell’intervento edilizio, ristrutturazione o ricostruzione, circostanza rilevante ai fini del rispetto della disciplina delle distanze, secondo quanto statuito dal giudice di merito. Nella prospettazione delle parti la circostanza acquista decisività ai fini dell’integrazione del requisito del problema tecnico di speciale difficoltà di cui all’art. 2236 c.c.. Ai fini dell’ammissibilità del motivo la parte ricorrente deve indicare il dato da cui risulti l’esistenza del fatto storico ed il come ed il quando nel quadro processuale tale fatto sia stato oggetto di discussione fra le parti (Cass. Sez. U. n. 8053/2014). Il dato da cui risulta l’esistenza del fatto è stato indicato ed è l’allegato alla relazione di CTU. Non ha invece specificatamente indicato la parte ricorrente il come ed il quando la circostanza sia stata oggetto di discussione fra le parti (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053), non ai fini della controversia sulla distanza fra costruzioni, ma in relazione alla responsabilità del prestatore d’opera. La denuncia di vizio motivazionale è pertanto inammissibile, con assorbimento di quella per violazione di legge.

Il secondo motivo è, invece, fondato.

Il Collegio, riguardo ad esso, non condivide la proposta del relatore.

Queste le ragioni.

Ha affermato il giudice di appello che la domanda risarcitoria per inadempimento contrattuale doveva essere qualificata come domanda di condanna generica “dal momento che – secondo la formulazione – il danno deriva da un evento certo nell’an (la demolizione), ma incerto nel quantum (l’effetto dannoso che ne consegue in termini di costi, di risultato e di incisione del valore dell’immobile)”, sicchè la quantificazione dei complessivi danni doveva aversi in separato giudizio.

Ha osservato il ricorrente che nell’atto introduttivo del giudizio era stato domandato nei confronti del L. il risarcimento del danno nella misura provata in corso di causa e che nell’atto di appello, così come all’udienza di precisazione delle conclusioni innanzi al Tribunale, la domanda era stata ampliata nel senso del risarcimento del danno materiale inteso in senso più ampio e del danno morale.

Indipendentemente da quanto deduce parte ricorrente in ordine all’atteggiarsi della domanda in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado e di appello, la Corte territoriale, dicendo che la domanda andava interpretata come diretta a postulare una condanna generica, ha commesso comunque un errore di diritto e ciò perchè:

a) se tale postulazione fosse da intendere riferita alla domanda originaria si tratterebbe di postulazione infondata e comunque contraria al principio di diritto di cui a Cass. sez. un. n. 1324 del 1997, secondo cui: “nel giudizio di risarcimento del danno, solo in presenza dell’accordo delle parti o, quanto meno, della mancata opposizione del convenuto, il giudice può scindere il giudizio medesimo, che è di norma unitario, e limitare la pronuncia all'”an debeatur”; in mancanza di una delle due condizioni, egli deve decidere anche la domanda di quantificazione del danno, per accoglierla (ricorrendo, se del caso alla forma di cui all’art. 279 c.p.c., n. 4 e, per il merito, al disposto dell’art. 1226 c.c.), o per respingerla (quando non sia determinabile l’entità del danno), restando sempre esclusa la possibilità di pronunciare una condanna generica di risarcimento con rinvio della liquidazione ad altro giudizio. Ne consegue che, ove la limitazione dell’originaria domanda di pronuncia piena al semplice accertamento del diritto al risarcimento non possa operare a causa dell’opposizione di controparte, riprende vigore l’istanza di liquidazione del danno secondo la normale struttura del giudizio risarcitorio, fermo restando l’onere a carico dell’istante di provare il danno in tutti i suoi elementi e salva l’eventuale applicazione dei citati art. 279 c.p.c., n. 4 e art. 1226 c.c.”; ne consegue che solo sull’accordo del ricorrente la decidibilità della domanda di condanna generica poteva sussistere: peraltro, il principio esposto dalle SS.UU. risulta enunciato con riferimento a fattispecie anteriore alla L. n. 353 del 1990 e deve ritenersi superato perchè “nel regime delle preclusioni introdotte con la L. 26 novembre 1990, n. 353, è inammissibile il mutamento d’una domanda di condanna piena in condanna generica, a nulla rilevando che il convenuto vi abbia prestato acquiescenza. Il mancato rilievo dell’inammissibilità determina una nullità della sentenza, destinata a convertirsi in motivo di impugnazione, non assumendo rilievo, nuovamente, il comportamento del convenuto, non suscettibile di apprezzamento ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 3” (Cass. n. 3437 del 2014);

b) se quella postulazione fosse da riferire alla domanda non originaria, ma successiva, comunque non sarebbe stata corretta, alla stregua del seguente principio di diritto: “qualora l’attore abbia richiesto la condanna del convenuto al risarcimento del danno ed alla relativa liquidazione nello stesso processo (cosiddetta condanna specifica) e non abbia poi, con il consenso del convenuto, limitato la domanda all'”an debeatur” (cosiddetta domanda generica), il giudice del merito non può emanare una condanna generica e rimetterne la liquidazione ad un separato giudizio, ma, in ossequio al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, deve liquidare il danno in base agli elementi acquisiti al processo, oppure rigettare la domanda per difetto di prova, dovendosi inoltre escludere la possibilità di procedere a liquidazione equitativa, che è consentita solo ove si tratti di danno che non può essere provato nel suo esatto ammontare, e non anche allorchè manchi la prova della sua entità” (Cass. 15 marzo 2007, n. 5997; 17 maggio 2007, n. 11460 – si veda anche Cass. n. 3437 del 2014); ne consegue che la decisione avrebbe dovuto rendersi come se la domanda fosse stata piena e, dunque, la si sarebbe dovuta rigettare in toto se il danno non risultava provato o accoglierla solo in parte se il danno risultava in parte provato.

L’affermazione della sentenza impugnata risulta in ogni caso errata e giustifica la cassazione della sentenza.

La cassazione va disposta con rinvio, atteso che lo stesso ricorrente non pare postulare che la domanda fosse originariamente generica e considerato che andrà apprezzato se un danno fosse stato provato ed in che termini.

Il giudice di rinvio dovrà pertanto valutare se ed in che misura sussista il danno nel rispetto del regime delle preclusioni processuali e, quindi, ove nessun danno risulti provato rigettare la domanda, nonostante la prova dell’inadempimento, mentre ove un danno risulti provato solo in parte provvederà a liquidarlo.

Poichè il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

la Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento del ricorso principale e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente in via in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017

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