Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19885 del 29/08/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19885 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso 6841-2007 proposto da:
AZD TERRITORIALE EDIL RESIDENZIALE PUBBLICA COMUNE DI
ROMA 00410700587, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA PAOLUCCI DE CALBOLI 20-E, presso lo studio
dell’avvocato ROLLI EDMONDA, che lo rappresenta e
difende giusta procura speciale rep.36818 del
1/3/2013;
– ricorrenti contro

INPDAP, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S.
CROCE

IN

GERUSALEMME

55,

presso

lo

studio

Data pubblicazione: 29/08/2013

dell’avvocato MESSINA PIERA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato DARIO MARINUZZI;

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avverso la sentenza n.

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– controricorrentA 2,k 17,0 0 3

268/2006 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 19/01/2006;

udienza del

06/03/2013

dal Consigliere Dott. MARIA

ROSARIA SAN GIORGIO;
udito

l’Avvocato

Edmonda

ROLLI

difensore

del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
1. – Nel giugno del 1963 la Cassa per le Pensioni ai Dipendenti degli
Enti Locali acquistò dall’Istituto Autonomo Case Popolari per la
Provincia di Roma un comprensorio di aree edificabili in Roma, zona

a villini o palazzine. L’art. 12 dell’atto di acquisto richiamava una
convenzione intervenuta nel dicembre 1939 tra lo I.A.C.P. e il
Governatorato di Roma, in base alla quale (art. 7) l’Istituto si
impegnava a cedere gratuitamente al Governatorato parte delle aree, poi
oggetto della compravendita del 1963, che fossero state necessarie alla
realizzazione dei pubblici servizi in quella zona, con l’accordo che
l’obbligo gravante sull’Istituto non venisse trasferito all’acquirente,
sicché l’Istituto si impegnava a rispondere direttamente verso il Comune
di Roma sollevando la Cassa acquirente da ogni pretesa o molestia.
Nel dicembre 1975, la Cassa, deducendo che con decreto prefettizio del 16
settembre 1971 le erano stati espropriati mq. 4902 da destinare a servizi
di quartiere e con successivo decreto del 25 gennaio 1968 altri mq. 11698
per opere di edilizia scolastica, senza determinazione di indennità di
esproprio, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Comune di
Roma e lo I.A.C.P. per sentir condannare il primo, previa disapplicazione
dei predetti decreti, a restituire i beni illegittimamente espropriati,
ed il secondo, in caso di mancato accoglimento di tale domanda, a
corrisponderle il valore delle aree interessate dai provvedimenti
prefettizi, oltre al risarcimento del danno.
2. – Il Tribunale adito dichiarò inammissibili le domande spiegate contro
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Montesacro, esteso per mq. 246. 406, costituito da 18 cassoni edificabili

il Comune ed infondate quelle proposte nei confronti dello I.A.C.P.
3. – La Corte d’appello di Roma rigettò la impugnazione della Cassa
Pensioni.
Questa Corte, su ricorso della Cassa Pensioni, annullò la decisione

e lo I.A.C.P. attraverso una più approfondita interpretazione dell’art.
12 dell’atto di compravendita del 1963.
4. – Con sentenza non definitiva del 25 novembre 2002, la Corte d’appello
di Roma dichiarò l’Istituto Autonomo Case Popolari tenuto a corrispondere
alla Cassa il valore degli immobili espropriati e ad indennizzarla del
danno derivante agli altri terreni acquistati con il contratto del 1963,
rimettendo la causa in istruttoria per la determinazione del quantum.
Quindi, espletata consulenza tecnica, interrotto il giudizio per la
soppressione dello I.A.C.P. e riassunto dall’I.N.P.D.A.P., successore
della Cassa, nei confronti dell’A.T.E.R. di Roma, la Corte d’appello di
Roma, con sentenza depositata il 19 gennaio 2006, in parziale riforma
della

sentenza

impugnata,

condannò

l’A.T.E.R.

a

corrispondere

all’I.N.P.D.A.P. l’importo di euro 238.017,52, desunto dalla c.t.u., e
calcolato sommando il valore dei lotti di terreno di cui ai due decreti
prefettizi di esproprio ed il danno subito per l’esproprio dalla residua
area in termini di diminuzione di valore.
5. – Per la cassazione della sentenza non definitiva e di quella
definitiva della Corte d’appello di Roma ricorre l’A.T.E.R. del Comune di
Roma sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso
l’I.N.P.D.A.P.

impugnata con rinvio per un nuovo esame dei rapporti tra la Cassa stessa

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso nei confronti della sentenza parziale
della Corte d’appello di Roma, si deduce violazione degli artt. 112, 115,
384 e 394 cod.proc.civ., 1362 e segg. cod. civ. nonché omessa,

controversia. La decisione rescindente della Corte di cassazione aveva
indicato le norme di diritto cui il giudice di merito avrebbe dovuto
attenersi nel più approfondito esame del contratto in questione, da essa
stessa richiesto: il giudice di rinvio aveva, senza alcuna motivazione,
dato per scontato che nella specie dovesse trovare applicazione l’art.
1365 cod. civ., ritenendo apoditticamente che la convenzione tra il
Governatorato di Roma e lo I.A.C.P. si riferisse alla cessione gratuita
di parte delle aree, poi oggetto della compravendita del 1963, solo in
via esemplificativa, consentendo l’estensione della previsione in essa
contemplata anche ad altre ipotesi non espressamente enunciate. Inoltre,
lo stesso giudice di rinvio avrebbe esorbitato dai limiti del giudizio di
rinvio, estendendo la propria indagine anche ad altre clausole
contrattuali, e in particolare all’art. 7, riguardante la garanzia per

insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della

evizione. Ed ancora la sentenza impugnata avrebbe tralasciato l’esame
richiesto dalla sentenza rescindente sull’appello incidentale
condizionato proposto dall’I.A.C.P., rimasto assorbito dalla sentenza di
rigetto dell’appello. La sentenza impugnata aveva preso atto del fatto
che secondo l’I.A.C.P. la garanzia di cui all’art. 12 della clausola del
contratto de

quo,

richiamando la convenzione con il Governatorato,

riguardava solo le cessioni finalizzate alla realizzazione del P.R.G. del
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tr,

1931 e del Piano Particolareggiato cui la Convenzione stessa, all’art. 7,
si riferiva, ma non aveva indicato le ragioni per le quali tale garanzia
si sarebbe dovuta estendere alla realizzazione di altri e successivi
piani urbanistici, quale il P.R.G. del 1965, nella cui vigenza erano

1971.
2. – Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
2.1. – E’ infondato nella parte attinente alla interpretazione dell’atto
di compravendita e della convenzione del 1939, non essendo stata
lamentata la violazione di specifici criteri esegetici, ma la immotivata
adesione al criterio posto dall’art. 1365 cod.civ., che era proprio
quello alla cui applicazione la Corte del rinvio era stata chiamata dalla
sentenza rescindente.
La sentenza, del resto, ha adeguatamente e logicamente motivato
l’interpretazione adottata, da un lato, con il richiamo all’art. 7 della
convenzione, e, dall’altro, con l’assunto della irrilevanza del mutamento
dello strumento urbanistico comunale, essendo stata la procedura
espropriativa posta in essere con espresso riferimento alla convenzione
del 1939, richiamata nella compravendita (procedura resa necessaria per
la realizzazione di nuovi servizi pubblici del quartiere e di lavori di
ampliamento, sistemazione e trasformazione di opere e servizi pubblici
già esistenti), che non limitava la cessione gratuita alle sole aree
interessate da interventi attuativi del Piano Regolatore del 1931.
2.2. – La censura è, poi, inammissibile nella parte relativa al mancato
esame della questione prospettata con l’appello incidentale condizionato
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stati adottati i decreti prefettizi di espropriazione del 1968 e del

proposto dall’I.A.C.P., in quanto priva di autosufficienza.
3. – Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 112, 384 e
394 cod.proc.civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la

garantire L’INPDAP non nella limitata misura dell’indennizzo che sarebbe
spettato a seguito di regolare atto espropriativo, ma integralmente, e
quindi con riferimento al valore di mercato delle aree espropriate
all’epoca dell’esproprio, atteso che con la citazione originaria l’INPDAP
aveva richiesto la condanna del Comune a corrispondere il valore delle
aree,

lamentando la mancata previsione nei decreti prefettizi

dell’indennità di esproprio, o, in mancanza, la condanna dell’Istituto a
corrispondere detto valore.
4. – La doglianza non può trovare ingresso nel presente giudizio.
Essa sollecita una interpretazione della domanda rimessa al giudice del
merito senza svolgere alcuna specifica censura di inadeguatezza o
illogicità della motivazione che la sostiene.
5. – Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 112, 115,
163, 324, 384 e 394 cod.proc.civ., nonché l’art. 112 cod.proc.civ., e
l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia. Avrebbe ancora errato la Corte capitolina
nel riconoscere la fondatezza del motivo di appello con il quale l’INPDAP
lamentava la mancata pronuncia del Tribunale sulla richiesta che la Cassa
avrebbe formulato sul diminuito valore delle altre aree comprese nel
contratto di compravendita del 1963. Si assume che la domanda sarebbe

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Corte di merito nell’affermare apoditticamente che l’ATER doveva

stata inammissibilmente proposta solo nel giudizio di appello, e che sul
rigetto della stessa si sarebbe formato il giudicato.
6. – La doglianza è inammissibile.
L’eventuale carattere di novità della domanda intesa ad ottenere il

contestato nel giudizio di merito, dovendosi, comunque, registrare sul
punto la formazione del giudicato interno.
7. – Passando all’esame del motivo di ricorso concernente la sentenza
definitiva della Corte di merito, con esso si deduce violazione degli
artt. 112, 115 e 201 cod.proc.civ. ed omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Si lamenta la erroneità dell’affermazione secondo la quale le valutazioni
del c.t.u. non avrebbero formato oggetto di alcun rilievo critico delle
parti. Si contesta inoltre il mancato esame analitico delle deduzioni di
parte che confutavano le risultanze della perizia di ufficio.
8.- Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto
esso non riporta le critiche alla c.t.u. delle quali la sentenza
impugnata non si sarebbe fatta carico.

risarcimento per il deprezzamento delle aree non espropriate andava

9. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione
del principio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che
.

vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico del
ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 3700,00, di

8
(,)

cui euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

civile della Corte di Cassazione, il 6 marzo 2013.

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