Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19885 del 20/09/2010

Cassazione civile sez. II, 20/09/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 20/09/2010), n.19885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8966/2005 proposto da:

L.S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PESCHERECCI 1, presso lo studio dell’avvocato TIBERIO PIERLUIGI,

rappresentata e difesa dall’avvocato SCILLIA Carmelo;

– ricorrente –

contro

ISPETTORATO CENTRALE REPRESSIONI FRODI UFF CATANIA in persona del

Direttore pro tempore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 202/2003 del TRIBUNALE di NICOSIA, depositata

il 30/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/12/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza depositata il 30 dicembre 2003, il Tribunale di Nicosia rigettò la opposizione proposta da L.S.M. avverso la ordinanza ingiunzione di pagamento n. (OMISSIS), emessa nei suoi confronti dall’Ispettorato Centrale Repressione Frodi – Ufficio di Catania, e notificata il 27 settembre 1997, per l’importo di L. 49.621.078, a titolo di sanzione amministrativa ai sensi della L. n. 898 del 1986, art. 3 per indebita riscossione di aiuto comunitario per produttori di carni ovine e caprine.

Il giudice di merito, sospeso dapprima il giudizio sino all’esito del procedimento penale pendente, in relazione ai medesimi fatti posti a base della ordinanza ingiunzione opposta, a carico dell’opponente procedimento poi concluso con decreto di archiviazione, escluse la fondatezza di ciascuno dei motivi di opposizione.

In particolare, quanto alla denuncia della erronea applicazione della procedura sanzionatoria prevista dalla L. n. 898 del 1986, art. 3, sul rilievo che la norma citata prevedeva la irrogazione della sanzione amministrativa esclusivamente per “il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell’art. 2” della stessa legge, mentre alla parte non era stata contestata, nel procedimento penale relativo alla medesima vicenda, la violazione dell’art. 2 citato, ma il più grave reato di cui all’art. 640 bis cod. pen., osservò il Tribunale di Nicosia che la L. n. 898 del 1986, art. 2, ha introdotto una nuova ipotesi di reato, sussidiaria rispetto alla truffa aggravata, consistente nella indebita percezione di contributi comunitari attraverso la esposizione di dati e notizie falsi.

Il successivo art. 3 introduce un autonomo illecito amministrativo richiamando, ai fini della irrogazione della relativa sanzione, esclusivamente il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell’art. 2, a prescindere dalla qualificazione del fatto sotto il profilo penale.

La normativa in questione disciplina dunque, secondo il Tribunale di Nicosia, due diverse figure di illecito, all’art. 2 l’illecito penale e all’art. 3 l’illecito amministrativo, e, quindi, prevede per la medesima fattispecie una ipotesi di doppia punibilità cui va applicato il cumulo materiale fra sanzioni di diversa specie. Dunque, la distinzione tra l’illecito di cui alla L. n. 898 del 1986, art. 2 e quello di cui all’art. 640 bis cod. pen., rileverebbe solo sul piano penale, mentre ai fini dell’applicazione della sanzione amministrativa sarebbe sufficiente accertare, al di là della qualificazione penalistica del fatto, che il soggetto abbia conseguito indebitamente gli aiuti comunitari attraverso la esposizione di dati e notizie falsi: condotta contestata all’opponente per aver partecipato alla predisposizione di falsi elenchi di aventi diritto alla corresponsione dei premi comunitari.

In ordine alla sussistenza dei fatti posti a base della sanzione amministrativa, essi potevano ritenersi provati, secondo il giudice di merito, alla luce della complessa documentazione prodotta dall’ente irrogatore della sanzione; ed anche l’elemento soggettivo emergeva ictu oculi. Quanto alla doglianza secondo la quale l’amministrazione avrebbe proceduto alla irrogazione della sanzione senza alcuna forma di contraddittorio e senza l’osservanza delle norme poste a garanzia dell’interessato, il Tribunale, richiamato la L. n. 689 del 1981, art. 18, affermò, tra l’altro, che detta disposizione non risulta espressamente sanzionata dal legislatore e non rileva allorchè venga comunque garantito all’interessato di esercitare le relative facoltà difensive, dovendosi,pertanto, la violazione di cui si tratta ritenersi sanata tutte le volta in cui il soggetto sia stato posto comunque nella condizione di esplicare le proprie difese prima della irrogazione della sanzione amministrativa.

Nella specie, essendo stata contestata con il verbale del 7 aprile 1993 la violazione di cui alla L. n. 898 del 1986, e prospettata l’attivazione della procedura per la irrogazione della relativa sanzione amministrativa tramite l’Ispettorato, l’opponente avrebbe potuto attivarsi al fine di esercitare le facoltà di cui alla legge depenalizzatrice. Inoltre, a seguito della ulteriore contestazione della violazione ad opera del predetto Ispettorato del 19 marzo 1997, con cui si riconosceva all’opponente la possibilità di esercitare le facoltà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 1, la stessa opponente si era avvalsa di dette facoltà al fine di eccepire violazioni meramente formali.

Il giudice di merito ritenne altresì infondata la censura attinente alla pretesa mancata tempestività della notifica della contestazione, intervenuta nel termine di 180 giorni dal termine delle indagini, che avevano portato all’accertamento della violazione, nonchè la doglianza concernente la dedotta mancanza, nell’atto di contestazione e della ingiunzione di pagamento, delle indicazioni minime in ordine al fatto illecito ed alle norme contestate, per risultare, nell’una e nell’altro, chiaro e perfettamente collocabile nel tempo e nello spazio il fatto contestato.

Il Tribunale di Nicosia ritenne altresì infondata la censura relativa alla pretesa intervenuta prescrizione del diritto alla riscossione della somma in questione, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 28, alla luce del rilievo della verificazione di ripetuti atti interruttivi. In ordine alla eccezione di difetto di competenza sanzionatoria dell’Istituto centrale repressione frodi, discendente dal difetto della relativa funzione in capo al Ministero per le politiche agricole, osservò il giudice di merito che la predetta eccezione, essendo stata sollevata per la prima volta nelle note conclusive depositate il 27 giugno 2003, andava considerata tardiva.

2. – Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la L. S. sulla base di cinque motivi. Resiste l’Ispettorato intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 . – Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 4 giugno 1997, n. 143, art. 2 e del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 33. Avrebbe errato il giudice di merito nel dichiarare tardiva la eccezione di incompetenza sollevata dalla opponente, la quale avrebbe potuto essere rilevata di ufficio, e che era fondata, come emergerebbe dalla lettura della disposizione dell’invocato del D.Lgs. n. 143 del 1997, art. 2, istitutivo del Ministero per le politiche agricole, che, al comma 3 (ora D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 33), demanda a detto dicastero la competenza sanzionatoria limitatamente alla prevenzione e repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di prodotti agroalimentari e ad uso agrario, senza, quindi, estenderla alla materia della indebita percezione di contributi comunitari relativi ai produttori di carni ovi-caprine.

2.1. La doglianza non è meritevole di accoglimento.

2.2. – Questa Corte, con la sentenza n. 1554 del 2008, ha già affermato che la competenza ad emettere ordinanza ingiunzione per la violazione di cui alla L. 23 dicembre 1986, n. 898, artt. 2 e 3 (indebita percezione mediante l’esposizione di dati o notizie false di premi a carico del Fondo europeo agricolo), spetta al Ministero per le politiche agricole. Quest’ultimo, infatti, è subentrato, ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 4 giugno 1997, n. 143, art. 5, al soppresso Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali nelle funzioni della repressione delle frodi nel commercio dei prodotti agroalimentari e raccolta di dati nel rispetto degli obblighi comunitari; e tali funzioni si aggiungono a quelle già esercitate dal Ministero delle risorse agricole nelle quali è ricompreso l’accertamento della violazione delle norme relative all’erogazione di contributi comunitari.

3. – Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 14 e 28. Si osserva che, in materia di sanzioni amministrative, l’autorità competente a contestare l’illecito non si individua nell’organo addetto al controllo e all’accertamento delle violazioni di legge, ma nell’autorità amministrativa competente a ricevere il rapporto trasmesso dall’autorità giudiziaria e ad emettere l’ordinanza ingiunzione. E dunque, il processo verbale della Guardia di Finanza del 7 aprile 1993, a mezzo del quale era stata comunicata alla ricorrente la pendenza di un procedimento penale a suo carico per il reato di cui all’art. 640 bis cod. pen., non poteva costituire valida contestazione dell’illecito, avvenuta con la notifica della nota datata 26 marzo 1997, a distanza di cinque anni dall’accertamento della presunta violazione e senza che nessuna attività di indagine giustificasse tale inerzia. Inoltre, il diritto a riscuotere la somma di cui si tratta si sarebbe prescritto per decorso del termine quinquennale dalla commissione dell’illecito, non potendosi considerare atto interruttivo di detto decorso – per le ragioni esposte – quello posto in essere dalla Guardia di Finanza di Termini Imprese (notifica dell’aprile del 1993), atto proveniente da un’autorità diversa da quella cui la legge demanda il compito dell’azione sanzionatoria.

4.1. – Il motivo è infondato.

4.2. – Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il termine di 180 giorni fissato dalla L. n. 898 del 1986, art. 4, lett. a), per la notifica del processo verbale relativo alle violazioni previste dalla stessa legge, decorre dalla data nella quale l’autorità amministrativa competente completa o dovrebbe completare, anche in relazione alla complessità della fattispecie, l’attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della violazione in modo da consentirne la corretta contestazione (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 9486 del 2002, n. 1081 del 2007, cit.). E’ stato altresì affermato da questa Corte che compete al giudice del merito valutare la congruità del tempo utilizzato per l’accertamento in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass., sent. n. 13862 del 2002).

Correttamente, pertanto, nella specie, il giudice del merito ha ritenuto tempestiva la notifica di cui si tratta, avendo rilevato dall’esame degli atti che le indagini si erano protratte fino al dicembre 1992, e che, al momento della conclusione delle stesse, era stata autorizzata dall’autorità giudiziaria la notifica della contestazione a tutti i percettori a decorrere dal febbraio 1993: le notifiche erano state eseguite fra il febbraio ed il maggio del 1993, comunque prima della trasmissione degli atti all’Ispettorato Centrale Repressione Frodi.

E, dunque, effettivamente la notifica alla attuale ricorrente era avvenuta nel termine di legge, senza che rilevi in contrario la osservazione della stessa secondo la quale la Guardia di Finanza, organo accertatore, sarebbe stata incompetente a contestare l’illecito, spettando tale funzione all’organo competente alla emissione dell’ordinanza-ingiunzione. La sentenza di questa Corte cui si richiama il ricorrente nel formulare il rilievo (sent. n. 5548 del 1999) – si riferisce, invero, ad una fattispecie in cui era stata l’autorità giudiziaria ad informare dell’avvenuta commissione dell’illecito l’amministrazione competente alla irrogazione della sanzione. L’argomentazione si fonda sulla interpretazione letterale della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 3, che, in tema di contestazione delle violazioni amministrative, dispone che, quando gli atti relativi alla violazione sono trasmessi all’autorità competente con provvedimento dell’autorità giudiziaria, i termini per la notifica della contestazione decorrono dalla data della ricezione. Detta argomentazione,dunque, non assume rilievo, per ovvie ragioni di concentrazione nel tempo degli atti del procedimento, allorchè l’accertamento provenga dalla polizia giudiziaria: in tal caso, infatti, non vi è ragione di scindere la competenza all’accertamento da quella alla contestazione, creando, tra l’altro, in tal modo, una differenza rispetto alla ipotesi di contestazione immediata della violazione, in relazione alla quale la competenza spetta per legge all’accertatore.

4.3. – Quanto alla dedotta prescrizione, si rileva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto dell’Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria, in quanto, costituendo esso esercizio della pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2343 c.c. (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 9520 del 2001, n. 1081 del 2007, cit.), senza che rilevi la distinzione adombrata nel ricorso tra atti posti in essere dall’autorità cui la legge attribuisce la funzione della irrogazione della sanzione e atti posti in essere dall’Autorità che ha provveduto all’accertamento.

Ne consegue che la notifica della contestazione, avvenuta nell’aprile del 1993, ad opera della Guardia di Finanza di Termini Imerese, costituisce valido atto di interruzione del decorso di detto termine.

5. – Con la terza censura, si deduce la violazione dell’obbligo, imposto dalla L. n. 689 del 1981, art. 18, di motivare l’ordinanza ingiunzione e di fornire le indicazioni minime in ordine all’eventuale fatto illecito commesso ed agli elementi in base ai quali si era ritenuto di dover procedere alla ingiunzione di pagamento. L’ordinanza ingiunzione si sarebbe limitata ad una stereotipa motivazione, operando un mero rinvio per relationem ad altri provvedimenti, impedendo il diritto alla difesa dell’ingiunto.

6.1. – Anche tale motivo risulta privo di fondamento.

6.2. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 13 aprile 2006, n. 8649), l’ordinanza ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa non deve avere una motivazione analitica e dettagliata come quella di un provvedimento giudiziario, essendo sufficiente che essa sia dotata di una motivazione succinta, purchè dia conto delle ragioni di fatto della decisione (che possono anche essere desunte per relationem dall’atto di contestazione) ed evidenzi l’avvenuto esame degli eventuali rilievi difensivi formulati dal ricorrente.

7. – Con il quarto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 1 e della L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3. La difesa del ricorrente, premesso che l’applicazione della disposizione contenuta nell’art. 3 della legge citata postula la avvenuta violazione contemplata dall’art. 2 della stessa legge, rileva la mancanza, nella specie, della prova della ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui al richiamato art. 2.

In particolare, difetterebbe l’elemento materiale del reato di frode comunitaria, che si realizzerebbe con la presentazione della domanda di concessione del premio comunitario contenente dati e notizie falsi. Nella specie – si rileva nel ricorso – la condotta criminosa contestata riguardava, invece, la formazione ed utilizzazione di elenchi falsi, che integra il delitto di cui all’art. 640 bis cod. pen.. Ne discenderebbe che, non risultando violata la norma incriminatrice di cui alla L. n. 898 del 1986, art. 2, non si sarebbe potuta irrogare la correlativa sanzione amministrativa.

8.1. – Il motivo è infondato.

8.2. – La L. n. 898 del 1986, art. 2, comma 1, prevede come illecito penale, sussidiario rispetto al delitto previsto dall’art. 640 bis cod. pen., il comportamento di “chiunque, mediante l’esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente, per sè o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi, o altre erogazioni a carico totale o parziale del fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia”. La citata L. n. 898, art. 3, prevede poi che, “indipendentemente dalla sanzione penale e qualunque sia l’importo indebitamente percepito, per il fatto indicato nei commi 1 e 2, art. 2 il percettore è tenuto, oltre alla restituzione dell’indebito, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’importo indebitamente percepito”.

Nella giurisprudenza di questa Corte è principio pacifico quello secondo il quale la L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3, prevede, per la medesima fattispecie, rispettivamente, un illecito penale e un illecito amministrativo e, quindi, un’ipotesi di doppia punibilità alla quale va applicato il cumulo materiale fra sanzioni di diversa specie (Cass., sentt. n. 1933 del 1998, n. 24 del 1999, n. 1081 del 2007).

Nè ha rilievo che il fatto previsto dalla L. n. 898 del 1986, art. 2, possa eventualmente integrare, in via alternativa, il più grave delitto previsto dall’art. 640 bis c.p., perchè ai fini dell’illecito amministrativo rileva solo che il fatto descritto nell’art. 2 citato sia stato commesso, quale che sia la qualificazione penalistica ad esso attribuita.

9. – Con il quinto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 3 e 23. Mancherebbe una prova della pretesa sanzionatola, tale non potendo considerarsi il rapporto della Guardia di Finanza.

10. – Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una non consentita richiesta alla Corte di legittimità di una rivisitazione del materiale probatorio e dell’apprezzamento che plausibilmente e motivatamente ne ha operato il giudice di merito.

11. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. La ricorrente, in ossequio al principio della soccombenza, deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 1500,00, di cui Euro 1300,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2010

 

 

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