Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19883 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. I, 22/09/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 22/09/2020), n.19883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. S. – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16649/2019 proposto da:

D.F., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico

38, presso lo studio dell’avvocato Marco Lanzilao, che lo

rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale

Roma;

– intimato –

nonchè contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1978/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/07/2020 dal Consigliere SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, D.F., cittadino del Senegal, ha adito il Tribunale di Roma impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in Senegal, nella regione di Sedhiou e nel villaggio di Talba, e di essersi convertito alla religione musulmana, abbandonando la religione cristiana, su richiesta del suo datore di lavoro; la sua famiglia tuttavia non aveva accettato la conversione per cui il richiedente aveva paura di ritornare in Senegal.

Il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto appello il D., chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o in subordine umanitaria.

La Corte di appello di Roma con sentenza del 25/3/2019 ha rigettato il ricorso a spese compensate.

3. Avverso la citata sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione D.F. con atto notificato il 24/5/2019 svolgendo cinque motivi.

L’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla condizione di pericolosità e alle situazioni di violenza generalizzata in Senegal, lamentando altresì omessa consultazione delle fonti informative e contraddittorietà fra fonti citate e conclusioni espresse.

1.1. Il motivo è confezionato promiscuamente, fondendo deduzione di violazione di legge e doglianza di omesso esame di fatto decisivo.

In ogni caso il dedotto omesso esame di fatto decisivo non sussiste perchè la Corte di appello, seppur molto concisamente, ha valutato la sussistenza di una minaccia grave alla vita o alla persona del ricorrente a causa di situazioni di conflitto armato interno in corso, tali da esporre i civili a un rischio indiscriminato, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), escludendone la sussistenza sulla base di una fonte accreditata internazionale, ossia il sito Internet di Amnesty International, rapporto annuale 2016-2017.

1.2. Del pari insussistente il vizio dedotto di violazione di legge per l’omessa indagine istruttoria officiosa circa le condizioni sociopolitiche del Paese di provenienza, poichè, come detto, la Corte capitolina ha consultato e utilizzato fonti informative, assolvendo così al proprio dovere di “cooperazione istruttoria”, mentre il ricorrente, che si lamenta della valutazione della Corte di appello, non afferma neppure di aver prodotto fonti informative alternative sulla situazione politico-economico sociale attuale del Senegal, limitandosi a contestare, con palese sconfinamento nel merito, la valutazione espressa dalla Corte di appello.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia omesso/errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle sue allegazioni in giudizio, lamentando altresì omessa consultazione delle fonti informative attualizzate e omessa cooperazione istruttoria. Non era stata inoltre considerata la situazione di integrazione sociale in Italia del richiedente asilo.

2.1. Anche il secondo motivo, promiscuamente confezionato fondendo deduzione di violazione di legge e doglianza di omesso esame di fatto decisivo, appare inammissibile.

Il ricorrente richiama il contenuto delle proprie dichiarazioni rese alla Commissione Territoriale, senza trascriverle o almeno sintetizzarle, per rimproverare alla Corte di appello di averle trascurate: incorre così in evidente vizio di aspecificità e non autosufficienza.

2.2. Anche la doglianza, incidentalmente aggiunta, in punto protezione umanitaria è inammissibile perchè priva di attinenza alla ratio decidendi: la Corte ha osservato che non era provato nè uno stato di vulnerabilità fisica o psicologica tale da ostacolare il reinserimento nel Paese di origine, nè l’intrapresa di un percorso serio di inserimento e integrazione sociale, in presenza di un contratto di lavoro occasionale per il solo mese di gennaio 2018, da tempo scaduto.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta la mancata concessione della protezione sussidiaria a cui aveva diritto in ragione delle attuali condizioni socio politiche del suo Paese di origine, lamenta omesso esame delle fonti informative, omessa applicazione dell’art. 10 Cost., violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, contraddittorietà fra fonti citate (Amnesty International) senza l’esposizione del loro contenuto e la reale portata delle informazioni di quella fonte riferite dal ricorrente nel corpo del motivo.

3.1. Anche il terzo motivo, promiscuamente confezionato fondendo deduzione di violazione di legge e doglianza di omesso esame di fatto decisivo, finisce con il riproporre le stesse recriminazioni con riferimento alla situazione generale del Paese di origine e i rischi corsi dalla popolazione, contrapponendo censure e dissenso nel merito – inammissibili in sede di legittimità- al giudizio in fatto espresso dalla Corte territoriale.

3.2. Nè merita consenso l’assunto di violazione di legge perchè la citazione della fonte informativa non è accompagnata dal resoconto analitico del suo contenuto dichiarativo.

La sentenza riferisce quanto basta e rileva: ossia che il villaggio di provenienza del ricorrente non risulta interessato ad alcun conflitto armato o disputa interni.

3.3. Questa Corte ha avuto modo recentemente di precisare che in tema di protezione internazionale, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio (Sez. 1, n. 29056 del 11/11/2019, Rv. 655634 – 01).

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, difetto di motivazione e travisamento dei fatti, apoditticità della decisione, priva di fondamento e noncurante delle critiche espresse alla decisione di prime cure da parte dell’appellante.

Le plurime violazioni di legge oggetto di doglianza sono limitate alla mera enunciazione dei referenti normativi e non sono accompagnate sul piano argomentativo dalla necessaria illustrazione delle ragioni per cui il provvedimento impugnato le avrebbe violate.

Il motivo è poi inammissibile anche in ragione della sua assoluta genericità, in assenza di qualsiasi riferimento a deduzioni specifiche svolte dal ricorrente e sottoposte al giudizio e tantomeno all’avvenuta produzione di fonti informative circa le condizioni del Paese di provenienza, salvo poi risolversi in una critica generica e riversata nel merito rivolta alle affermazioni assunte dalla Corte di appello in sede di attività di cooperazione istruttoria per surrogare all’inerzia del ricorrente.

5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia omessa valutazione della possibilità di concessione della protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 e art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa correre gravi rischi in caso di e rientro in patria, tenuto conto del D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1 della L. 14 luglio 2007, n. 110, del divieto di refoulement e dei principi generali di cui all’art. 10 Cost., non applicato, e 3CEDU.

5.1. Anche il quinto motivo è esposto in modo del tutto generico e trascura la ratio decidendi puntualmente espressa dalla Corte di appello per negare e il riconoscimento del richiesto permesso di soggiorno per motivi umanitari (mancata prova di una condizione di vulnerabilità soggettiva e di integrazione socio lavorativa in Italia).

5.2. Secondo la sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che ha avallato l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.

Inoltre la stessa sentenza n. 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito ha aderito al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, ha affermato il principio secondo cui l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Nè il livello di integrazione dello straniero in Italia nè il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Da un lato, infatti, il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 CEDU, può subire ingerenze da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, in modo particolare nel caso in cui lo straniero non goda di un titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale. Dall’altro, il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455).

5.3. La Corte ha escluso la prova della sussistenza di una personale condizione di vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo al pari di una apprezzabile integrazione economica e sociale in Italia.

Al proposito le deduzioni critiche del ricorso non superano la soglia della assoluta genericità.

L’invocazione del principio del divieto di refoulement è del tutto fuor d’opera, non essendo stato fornito alcun valido elemento per ritenere che in caso di rimpatrio il ricorrente sarebbe esposto a pericolo per la sua vita o al rischio di tortura o a trattamenti inumani o degradanti.

5.4. Quanto all’arti. Cost., secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi che il diritto di asilo sia interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, (Sez. 6 – 1, n. 16362 del 04/08/2016, Rv. 641324 – 01; Sez. 6 – 1, n. 10686 del 26/06/2012,Rv. 623092 – 01).

Ciò vale almeno per le situazioni, come la presente, in cui è prevista in regime transitorio la possibilità di concessione del permesso di soggiorno nei casi speciali previsto dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 9, conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2018, quando ricorrano i presupposti per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, applicabile ratione temporis alle domande di protezione proposte prima dell’entrata in vigore del predetto D.L. n. 113 del 2018.

6. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA