Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19883 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/08/2017, (ud. 08/06/2017, dep.09/08/2017),  n. 19883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14176/2016 proposto da:

S.R., nella qualità di erede della Sig.ra C.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati SALVATORE CATANIA, NICOLA TODARO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1663/27/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA di

PAIERMO SEZIONE DISTACCATA di MESSINA, depositata il 20/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’08/06/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 26 gennaio 2015 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Messina, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 195/9/07 della Commissione tributaria provinciale di Messina che aveva accolto il ricorso di C.A. contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEF, IVA 2000. La CTR osservava in particolare che, se in linea generale ed astratta era chiaro e condivisibile il principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale gli studi di settore esprimono un sistema di presunzioni semplici e non una presunzione legale, sicchè è solo all’esito dell’ obbligatorio contraddittorio con il contribuente verificato che tali presunzioni possono assumere la “gravità, precisione e concordanza” richieste dalla legge, nel caso di specie la contribuente non si era avvalsa delle facoltà difensive endoprocedimentali nè in corso di giudizio aveva comunque rimediato a tale carenza contro probatoria; ne traeva dunque la conseguenza che l’avviso di accertamento impugnato era da convalidare.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione S.R., quale erede di C.A., deducendo due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, artt. 2697,2727,2729 c.c., poichè la CTR ha ritenuto che il mero scostamento dallo studio di settore legittimasse l’utilizzazione dello strumento accertativo previsto dalla disposizione legislativa speciale evocata e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), essendone invece ratione temporis applicabile la versione originaria – ossia quella vigente prima della modifica apportatavi dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23 – secondo la quale era invece necessaria la sussistenza di una “grave incongruenza” tra componenti positive di reddito dichiarate e risultanze dello studio di settore.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che “L’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1 gennaio 2007, in base alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 23, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l’aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle “gravi incongruenze”, prima operato tramite il rinvio recettizio al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, nella L. 29 ottobre 1993, n. 427″ (Sez. 5, Sentenza n. 26481 del 17/12/2014, Rv. 633651-01; conforme Sez. 5, Sentenza n. 22421 del 04/11/2016, Rv. 641516-01).

La sentenza impugnata si discosta da tale principio di diritto, non tenendone alcun conto e non rispondendo allo specifico motivo di gravame in tal senso posto dalla ricorrente (v. atto di appello trascritto in corpo di ricorso).

Con il secondo mezzo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, artt. 2697,2729 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, poichè la CTR ha erroneamente affermato come avvenuto il contraddittorio endoprocedimentale, mentre ciò non corrispondeva alla realtà effettiva.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che “I parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1)” (Sez. 5, Sentenza n. 14288 del 13/07/2016, Rv. 640541-01).

Orbene, nel caso di specie è pacifico che non vi è stato alcun invito al contraddittorio da parte dell’Ente impositore, tanto che nella motivazione dell’avviso di accertamento è omessa alcuna considerazione circa le difese della contribuente.

La CTR ha quindi fatto un’erronea applicazione delle disposizioni legislative evocate, come costantemente interpretate da questa Corte. Il ricorso va dunque accolto in relazione ad entrambi i motivi dedotti, la sentenza impugnata va cassata e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va accolto il ricorso originario della contribuente.

Stante l’esito alterno dei gradi di merito, le spese correlative possono essere compensate tra le parti.

Le spese del presente giudizio vanno invece tassate secondo il generale principio della soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei gradi di merito; condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100 oltre Euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017

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