Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19882 del 29/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19882 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

Ud. 10/07/2013

SENTENZA
PU

sul ricorso 29294-2007 proposto da:
SANTUCCI MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA TUSCOLANA 4, presso lo studio dell’avvocato PEPE
MARCO, che la rappresenta e difende giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

TELECOM

ITALIA

S.P.A.

00488410010,

in

persona

dell’Avv. VITTORIO FUSCO, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio
dell’avvocato

SGROMO

GIOVAMBATTISTA,

1

che

la

Data pubblicazione: 29/08/2013

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 4215/2006 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/10/2006 R.G.N.
7242/2003;

udienza del 10/07/2013 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato MARCO PEPE;
udito l’Avvocato GIOVANBATTISTA SGROMO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.

Maria Santucci conveniva in giudizio, davanti al

Tribunale di Roma, la Telecom Italia s.p.a., chiedendo che
venisse riconosciuto il suo diritto a non pagare alcune
bollette telefoniche, ritenute esorbitanti, relative,

fra

numeri 144 e 800.
La società convenuta si costituiva chiedendo il rigetto
della domanda, sul rilievo che dagli accertamenti effettuati
non era emersa alcuna anomalia relativa all’utenza telefonica
della Santucci.
Il Tribunale,

con sentenza del 10 settembre 2002,

accoglieva la domanda, condannando la Telecom Italia s.p.a. a
restituire la somma di euro 2.060,15.
2. Appellata la pronuncia in via principale dalla parte
soccombente ed in via incidentale dalla Santucci, la Corte
d’appello di Roma, con sentenza del 5 ottobre 2006, in riforma
di quella di primo grado, rigettava le domande proposte dalla
Santucci, che condannava a pagare la somma di lire 750.000
(relativa ad una bolletta), nonché alla restituzione della
somma di euro 6.070,51 versata dalla società telefonica in
esecuzione della sentenza di primo grado, compensando le spese
di entrambi i gradi di giudizio.
Osservava la Corte territoriale che l’anomalia dei consumi
posta a fondamento della sentenza di primo grado non consentiva
3

l’altro, a telefonate tramite le utenze speciali di cui ai

di dedurre, in via presuntiva, l’esistenza di intrusioni sulla
linea telefonica; tali consumi, inoltre, dipendevano
dall’utilizzo dei servizi connessi con la numerazione 144 e da
chiamate internazionali, queste ultime plausibili in
considerazione del fatto che la Santucci era stata ricoverata

Dall’istruttoria svolta, poi, era emerso che la centralina
telefonica era chiusa a chiave e collocata di fronte alla
portineria dello stabile, e che la linea non era stata usata in
modo abusivo, dovendosi in tal caso necessariamente determinare
la

D’altra parte – rilevava la

«scorticatura del doppino».

Corte – una volta provata la sicurezza della linea e l’assenza
di manomissioni, era onere dell’utente dimostrare, anche in via
presuntiva, l’abusività delle telefonate, prova che non era
stata fornita «in alcun modo».
Osservava infine la Corte che il fatto che i consumi
fossero tornati regolari, senza bollette anomale, dopo
l’applicazione della chiave numerica all’utenza della Santucci
confermava che «solo la mancata adozione di sistemi di
controllo aveva consentito a chiunque che frequentasse la casa
di effettuare telefonate».
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone
ricorso Maria Santucci, con atto affidato a sei motivi.
Resiste la Telecom Italia s.p.a. con controricorso.
La Santucci ha presentato memoria.
4

in Francia proprio nel periodo sospetto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Per ragioni di economia processuale la Corte ritiene di
dover intraprendere l’esame del ricorso partendo dal secondo
motivo, col quale si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., omessa pronuncia e

e/o illegittimità della fornitura di servizi audiotex e
videotel nell’ambito del contratto di somministrazione, senza
la preventiva accettazione da parte dell’utente e senza la
possibilità di disabilitare da soli tali servizi.
Fin dall’atto di citazione, infatti, la ricorrente aveva
lamentato che la società Telecom avesse “imposto” i servizi a

omessa motivazione in ordine al punto relativo alla illiceità

pagamento di cui ai citati numeri 144 e 800 senza far conoscere \AA(“/
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agli utenti le modalità d’uso, i costi e la possibilità di
distaccarsi. A seguito delle numerose proteste popolari, il
decreto-legge 29 dicembre 1995, n. 558, aveva stabilito che
tali servizi fossero disabilitati per legge, imponendo una
serie di cautele per l’utilizzo dei medesimi. Il nuovo
servizio,

quindi,

doveva

essere

oggetto

di

apposita

negoziazione tra le parti, ma né il Tribunale né la Corte
d’appello si sono soffermati su questo punto.
2. Il motivo è fondato.
Occorre innanzitutto rilevare che il Collegio ritiene che
la censura ivi prospettata – che è, come risulta dalla relativa
intestazione, una censura di omessa pronuncia – sia ammissibile
5

sebbene contestata senza l’espressa indicazione dell’art. 112
cod. proc. civ. e dell’art. 360, primo comma, n. 4), del
medesimo codice. Ciò in quanto si ritiene di dover dare seguito
all’orientamento giurisprudenziale meno formalista secondo cui,
ai fini dell’ammissibilità del ricorso, non costituisce

delle quali si lamenta l’osservanza, essendo invece necessario
che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare
la pronuncia (sentenza 24 marzo 2006, n. 6671). Ne consegue che
deve ritenersi ammissibile il ricorso col quale si lamenti la
violazione di una norma processuale sotto il profilo della
violazione di legge anziché sotto quello

dell’error in

procedendo di cui all’ipotesi del n. 4) del citato art. 360
(sentenza 21 gennaio 2013, n. 1370), contrariamente a quanto
pure di recente affermato da altra pronuncia di questa Corte
(sentenza 15 maggio 2013, n. 11801).
Nel caso in esame, del resto, il ricorso delinea in modo
chiaro il tipo di censura prospettato, per cui la formale
contestazione in termini di violazione di legge e di vizio di
motivazione non implica l’inammissibilità della censura.
2.1. Ciò premesso, la Corte osserva che la vicenda oggi in
esame si colloca in un momento del tutto particolare – che si
potrebbe definire come periodo sospetto – nel quale i servizi
telefonici a pagamento di cui al n. 144 erano sì in funzione,

6

condizione necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge

ma non erano stati ancora regolati né con legge né con decreto
del ministro competente.
Come risulta dalla sentenza impugnata, infatti, le bollette
Telecom in contestazione sono la seconda e la terza del 1995;
ed è noto che proprio in quell’anno vi furono alcuni importanti

videotex.
Vi fu prima il decreto ministeriale 13 luglio 1995, n. 385,
il cui art. 9, comma l, consentiva all’utente, a domanda, di
rinunciare, con richiesta scritta indirizzata al gestore della
rete, ai servizi audiotex, possibilità peraltro preclusa a
i

coloro

quali

fossero

ancora

collegati

a

centrali

elettromeccaniche e non elettroniche (art. 22, comma 2, del
medesimo decreto). Successivamente, col menzionato d.l. n. 558
del

29

dicembre

1995,

fu

disposta

l’obbligatoria

disattivazione, entro sessanta giorni, delle linee dei servizi
audiotex, rimanendo salva la possibilità di riattivazione su
richiesta dell’interessato. Decaduto tale decreto-legge per
mancata conversione, nonché altri identici emessi nel 1996, la
materia trovò poi un assestamento col decreto-legge 23 ottobre
1996, n. 545, convertito, con modifiche, in legge 23 dicembre
1996, n. 650, il cui art. l, commi 25, 26 e 27, confermò, in
pratica,

la situazione nei termini di cui alle norme

precedenti, aggiungendo il divieto di inserimento di servizi
audiotex a contenuto «erotico, pornografico o osceno», con
7

interventi legislativi di regolazione dei servizi audiotex e

sanzione amministrativa a carico dei gestori che violavano tale
disposizione. Il citato art. l, comma 25, inoltre, diede
incarico al Ministro delle poste e telecomunicazioni di
adottare un decreto, entro novanta giorni, che regolasse
l’accesso ai servizi audiotex e videotex e a quelli offerti su

tempo dopo (d.m. 2 marzo 2006, n. 145, contenente
l’abrogazione, fra l’altro, del citato d.m. n. 385 del 1995).
2.2. Il caso oggetto della sentenza della Corte d’appello
di Roma impugnata in questa sede si colloca – come appunto si
diceva – in una sorta di zona grigia antecedente l’intervento
del legislatore.
Risulta peraltro dagli atti di causa – ai quali la Corte ha
accesso in considerazione del tipo di censura prospettata – che
sono anche in parte riportati dalla Santucci nel ricorso, che
effettivamente l’odierna ricorrente prospettò, in particolar
modo alla Corte d’appello con il proprio atto di appello
incidentale, la questione della necessità di un’approvazione
esplicita, o almeno di una preventiva negoziazione, dei servizi
144 e 800, forniti dal gestore di propria iniziativa e
potenzialmente in grado di far crescere a dismisura i consumi e
le conseguenti bollette.
Questo aspetto della vicenda – di grande rilievo proprio
per il particolare periodo storico nel quale si colloca la
contestazione delle bollette – non è stato affrontato in alcun
8

codici internazionali, decreto che fu poi emanato solo molto

modo dalla Corte d’appello, la quale si è soffermata sul
corretto funzionamento della linea, sulla mancanza di prova
degli abusi da parte della Telecom, sull’assenza di vigilanza
da parte della Santucci e su altri aspetti della causa, tutti
rilevanti; ma nulla ha detto del punto contestato, che

dell’odierna ricorrente in termini di indebito arricchimento.
Ed è evidente che questo aspetto poteva, in astratto, assumere
una decisiva importanza perché, ove il giudice di merito fosse
pervenuto alla conclusione per la quale tali servizi a
pagamento – proprio in quanto introdotti

ex novo –

dovevano

essere oggetto di esplicita negoziazione, ciò avrebbe tolto
rilievo alle successive argomentazioni con le quali la Corte
territoriale ha condiviso le ragioni della società di gestione
del servizio telefonico.
3. Il secondo motivo di ricorso è pertanto accolto, con
assorbimento di tutti gli altri, e la sentenza è cassata.
Il giudizio è rinviato alla medesima Corte d’appello di
Roma, in diversa composizione, la quale provvederà a decidere
il punto preliminare oggetto del secondo motivo di ricorso,
così come evidenziato in motivazione.
Al giudice di rinvio è demandata anche la liquidazione
delle spese del presente giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI

9

costituiva anche il fondamento della domanda prospettata

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti
gli altri,

cassa

la sentenza impugnata e rinvia alla Corte

d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la
liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza

Sezione Civile della Corte di cassazione, il 10 luglio 2013.

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