Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19881 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. I, 23/07/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 23/07/2019), n.19881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 9472/2014 r.g. proposto da:

La Curatela del Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, in

persona del Curatore Avvocato P.C., elettivamente

domiciliata in Roma, Via Vicenza n. 26, presso lo studio

dell’avvocato Fabio Giuseppe, rappresentata e difesa dall’avvocato

Cottone Alfonsa, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del fallimento “(OMISSIS) S.r.l.”, in persona del Curatore

Avvocato M.F., domiciliata in Roma, P.zza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato Troja Giovanni, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto n. 1489/2014 del TRIBUNALE di PALERMO, depositato

il 14/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

2/7/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, che ha

chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso, con assorbimento del

ricorso incidentale condizionato;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Alfonsa Cottone, che ha chiesto

accogliersi il proprio ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Palermo – decidendo sull’opposizione allo stato passivo avanzata, ai sensi della L. Fall., art. 98, dalla curatela del fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione nei confronti della curatela del fallimento della (OMISSIS) s.r.l. – ha rigettato la predetta opposizione, confermando il provvedimento di diniego emesso dal g.d. avverso la domanda presentata ai sensi della L. Fall., art. 103 e con la quale, in virtù della contestuale istanza revocatoria di due atti dispositivi posti in essere dalla società opposta in bonis, si chiedeva la restituzione a quest’ultima (ora in fallimento) del compendio aziendale oggetto di cessione.

Il tribunale di merito ha ritenuto assorbente il profilo dedotto dalla curatela opposta dell’inammissibilità di un’azione revocatoria proposta nei confronti di un fallimento dopo l’apertura del concorso e, in virtù del principio della cristallizzazione del passivo fallimentare sancito dalla L. Fall., art. 52, ha confermato il diniego alla richiesta di restituzione dei beni aziendali del cui trasferimento si assumeva l’inefficacia per la contestuale domanda revocatoria avanzata dalla curatela opponente.

2. Il decreto, pubblicato il 14 marzo 2014, è stato impugnato dalla curatela della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la curatela della (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso, con il quale è stato chiesto il rigetto del ricorso principale e, in via condizionata e subordinata, la declaratoria di infondatezza della pretesa ex adverso azionata per la dedotta inammissibilità ed improcedibilità della domanda revocatoria avanzata con l’istanza L. Fall., ex art. 103.

La Procura Generale, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Stanislao De Matteis, ha depositato, nella fase camerale, requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

3. Con ordinanza interlocutoria del 6.2.2019, la Corte ha ritenuto, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, che la questione della proponibilità dell’azione revocatoria nei confronti di un fallimento e del principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso assuma particolare rilevanza, anche alla luce del recente intervento della giurisprudenza di vertice di questa Corte (Cass. Sez. Un. sentenza n. 30416 del 23/11/2018), tale, cioè, da richiederne la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente, lamentando la violazione della L. Fall., artt. 52 e 66, nonchè degli artt. 2740 e 2901 c.c., si duole dell’erronea interpretazione fornita dal tribunale impugnato in relazione al principio di cristallizzazione del passivo fallimentare come sancito dalla L. Fall., art. 52. Sostiene la parte ricorrente che, per stessa ammissione della giurisprudenza di legittimità, il predetto principio soffre diverse deroghe, espressamente previste dalla L. Fall., artt. 70,56,74 e 80 e che la dichiarazione di inefficacia contenuta nella sentenza di accoglimento di una domanda revocatoria si limita a confermare l’inefficacia originaria dell’atto dispositivo di cui si chiede la revoca. Ne consegue che – secondo la prospettiva della ricorrente – non sarebbe condivisibile il principio affermato anche da questa Corte di legittimità secondo cui la domanda revocatoria presentata nei confronti di un fallimento determinerebbe il sorgere di un effetto favorevole per chi chiede la revoca dopo l’apertura del concorso e dunque violerebbe il predetto principio di cristallizzazione del passivo fallimentare.

2. Con il secondo motivo la parte ricorrente – dolendosi della violazione della L. Fall., artt. 52 e 66 e, comunque, dell’art. 2901 c.c. – contesta l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato secondo cui l’effetto costitutivo dell’azione revocatoria determinerebbe il sorgere di effetti positivi in favore della parte attrice solo al momento dell’accoglimento della domanda e non già al momento del compimento dell’atto dispositivo del quale si chiede la revoca. Evidenzia che è la stessa giurisprudenza di legittimità ad ammettere la proponibilità dell’azione revocatoria nei confronti di una curatela fallimentare allorquando la stessa sia iniziata prima della dichiarazione di fallimento e che l’ulteriore principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (e secondo il quale sarebbe inammissibile una domanda revocatoria avanzata nei confronti di un fallimento dopo l’apertura del concorso) determinerebbe effetti distorsivi e inaccettabili in relazione a quelle ipotesi in cui il fallimento attore in revocatoria sia stato dichiarato dopo il fallimento dell’impresa convenuta nel giudizio di revocatoria.

3. Con il terzo motivo di doglianza si denunzia violazione della L. Fall., artt. 66 e 216, in riferimento alla lamentata conservazione di effetti pregiudizievoli degli atti dispositivi e distrattivi se commessi da soggetto fallito nonostante l’inevitabile configurabilità di conseguenze penali derivanti dalla commissione dei predetti atti.

4. Ritiene il Collegio come sia necessario rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite in ordine alla questione dell’ammissibilità dell’azione revocatoria (ordinaria e fallimentare) nei confronti di un fallimento, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 3.

4.1.2 I motivi di doglianza del ricorso investono, invero, la medesima questione giuridica, e cioè proprio il profilo dell’ammissibilità dell’azione revocatoria avanzata nei confronti di una curatela fallimentare.

4.1.3 Occorre ripercorrere la giurisprudenza espressa da questa Corte nella materia in esame.

4.1.3.1 Orbene, secondo un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, non è ammissibile un’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo della predetta azione (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 10486 del 12/05/2011; Sez. 6, Ordinanza n. 3672 del 08/03/2012). Invero, il patrimonio del fallito è insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poichè l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura stessa. Nè sarebbe possibile richiamare, secondo la impostazione interpretativa tradizionale, quanto affermato in Cass. 7583/1994, giacchè quest’ultima si è limita a confermare il principio, già enunciato da Cass. 2746/1963, secondo cui, se nelle more del giudizio di revoca sopraggiunge il fallimento del convenuto, il giudizio prosegue davanti allo stesso giudice quanto alla domanda di revoca, mentre le domande restitutorie conseguenti devono essere verificate nel fallimento della parte convenuta, ai sensi della L. Fall., art. 52 e art. 93 e segg.. L’ipotesi, pertanto, sarebbe quella che si tratti di azione revocatoria iniziata prima del fallimento della parte convenuta; azione la cui proseguibilità potrebbe spiegarsi con la considerazione (cfr., tra le altre, Cass. 3657/1984, 1001/1987, nonchè Cass. 5443/1996 e 437/2000, rese a sezioni unite) che gli effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda, per il generale principio che la durata del processo non deve recar danno a chi ha ragione.

Nè il principio di cristallizzazione del passivo fallimentare al momento della declaratoria di fallimento subirebbe – secondo tale impostazione esegetica deroghe di sorta. E così, il credito di regresso azionato dal fideiussore non troverebbe il suo fatto genetico nel pagamento intervenuto dopo la dichiarazione di fallimento, ma dovrebbe essere pur sempre ricondotto alla fattispecie negoziale da cui discende l’obbligazione di garanzia che è precedente il fallimento stesso. Ma anche l’insinuazione al passivo del credito discendente dal positivo accoglimento della domanda revocatoria, per come prevista dalla L. Fall., art. 70, comma 2, si fonderebbe non già su un fatto genetico posteriore all’apertura della procedura concorsuale, quanto piuttosto sulla reviviscenza del credito originario il cui titolo genetico sarebbe, anche in tal caso, anteriore alla dichiarazione di fallimento e all’apertura del concorso. Ed ancora, le richiamate deroghe al principio di cristallizzazione del passivo prospettate in riferimento agli istituti regolati dalla L. Fall., artt. 72,74 e 80, non terrebbero in considerazione la circostanza che le eventuali pretese creditorie fatte valere nei confronti del fallimento traggono fondamento in titoli contrattuali anteriori alla dichiarazione di fallimento. Del pari non sarebbe in alcun modo condivisibile la convinzione secondo cui, nel caso di revocatoria promossa da un fallimento nei confronti di altro fallimento, il presupposto giuridico da cui deriva la pretesa restitutoria (e derivante dall’accoglimento della domanda di revoca) sarebbe preesistente al fallimento della parte convenuta, atteso che – proprio in ragione della sopra ricordata natura costitutiva dell’azione revocatoria – l’atto contro il quale l’azione esperita è originariamente valido ed efficace e, solo a seguito dell’accoglimento della revocatoria, diviene privo di effetti giuridici. Così anche l’effetto distorsivo causato dall’applicazione del principio di cristallizzazione del passivo sarebbe privo di fondamento giuridico, atteso che, per un verso, la prosecuzione dell’azione revocatoria nei confronti del fallimento (già avviata prima della dichiarazione di fallimento) si legittima perchè si fonda sul fatto che l’azione riguarda pretese già facenti parte del patrimonio del convenuto poi fallito e che, per altro verso e per converso, nella diversa ipotesi in cui l’azione revocatoria sia intrapresa dopo la dichiarazione di fallimento della parte convenuta il curatore della parte attrice fa valere nei confronti della curatela convenuta pretese aggiuntive ed ulteriori rispetto a quelle facenti parte del patrimonio del fallito al momento della dichiarazione di fallimento.

4.1.3.2 Da ultimo, deve essere ricordato che la soluzione tradizionale ha avuto il recente ed autorevole conforto da parte delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza n. 30416 del 23/11/2018), le quali hanno chiarito, verbatim, che “la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o fallimentare, al di là delle differenze esistenti tra le due azioni ed in considerazione dell’elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, ha natura costitutiva in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, privando di effetti atti che avevano già conseguito piena efficacia e determinando la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto dispositivo”. Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile l’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, esperita nei confronti di un fallimento, trattandosi di un’azione costitutiva che modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente ed operando il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso in funzione di tutela della massa dei creditori (cfr. sempre sentenza n. 30416 del 23/11/2018, cit. supra).

4.1.3.3 Dunque, con il pronunciamento da ultimo menzionato espresso dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte, è stato confermato l’orientamento esegetico, secondo il quale – a tutela della stabilità dell’asse fallimentare – non è ammissibile un’azione revocatoria, non solo fallimentare ma neppure ordinaria, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni (orientamento inaugurato da Cass. 12 maggio 2011, n. 10486 e confermato da Cass. 8 marzo 2012, n. 3672, cit. supra).

Orbene, il presupposto su cui riposa tale affermazione è duplice: da un lato, si richiama il principio (sotteso alla previsione di cui alla L. Fall., artt. 51 e 45, corrispondenti, ora, alla D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, artt. 150 e 145, “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”), secondo cui l’asse concorsuale è insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento; dall’altro lato, si invoca la natura costituiva della pronunzia di revocatoria, nel senso che l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento (rectius: del suo passaggio in giudicato), e non può essere invocato contro la massa dei creditori, ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura fallimentare.

Sotteso ai due principi da ultimo ricordati, come pilastri fondanti la regola dell’inammissibilità dell’azione revocatoria, ordinaria e fallimentare, nei confronti di un fallimento, è l’altro principio, secondo il quale, se l’azione revocatoria sia esperita prima della dichiarazione di fallimento, essa non incappa nella sanzione dell’improcedibilità sopravvenuta, giacchè la proseguibilità giudiziale dell’istanza di tutela “può spiegarsi con la considerazione che gli effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda, per il generale principio che la durata del processo non deve recar danno a chi ha ragione” (cfr., tra le altre: Cass. 3657/1984, 1001/1987, nonchè Cass. 5443/1996 e 437/2000, rese a sezioni unite, cit. supra). Detto altrimenti, “il divieto di azioni esecutive individuali posto dalla L. Fall., art. 51, non osta alla procedibilità della revocatoria ordinaria già promossa dal creditore dell’alienante, ove la domanda ex art. 2901 c.c., sia stata trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’acquirente; diversamente, il creditore dell’alienante, pur trovandosi nella condizione di opponibilità alla massa, ai sensi della L. Fall., art. 45, dell’azione proposta, resterebbe privo della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. e l’atto fraudolento gioverebbe ai creditori dell’acquirente fallito (per la sola sostituzione a questi del curatore); l’azione revocatoria, infatti, pur se preordinata al soddisfacimento esecutivo del creditore, non può considerarsi un’azione esecutiva, volta com’è a rendere inopponibile al creditore l’atto dispositivo compiuto dal debitore” (così, Cass. 2 dicembre 2011, n. 25850).

4.2 Tale ultimo orientamento, pur autorevolmente e recentemente espresso dalla giurisprudenza di vertice, merita, tuttavia, un ulteriore momento di riflessione e un meditato ripensamento, soprattutto alla luce delle novità introdotte dal “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, la cui disciplina (sebbene, qui, non direttamente applicabile ratione temporis) viene qui richiamata a fini interpretativi e ricostruttivi, perchè, da un lato, la stessa fa ora parte integrante dell’ordinamento positivo (nonostante la lunga vacatio legis prevista) e perchè, dall’altro, segna un’evidente incrinatura nelle argomentazioni spese dalle Sezioni Unite nel precedente arresto.

4.2.1 Sotto questo preliminare (e fondamentale) profilo di riflessione, non può essere sottovalutata proprio la novità legislativa introdotta dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 290, comma 3 (“Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) che ha, ora, fissato la regola espressa secondo la quale “Il curatore della procedura di liquidazione giudiziaria aperta nei confronti delle altre società del gruppo può esercitare, nei confronti delle altre società del gruppo, l’azione revocatoria prevista dall’art. 166, degli atti compiuti dopo il deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o, nei casi di cui all’art. 166, comma 1, lett. a) e b), nei due anni anteriori al deposito della domanda o nell’anno anteriore, nei casi di cui all’art. 166, comma 1, lett. c) e d)”.

L’introduzione della norma – che supera anche l’argomento letterale della “specialità” della procedura utilizzato dalla sentenza resa a Sez. Un. sopra ricordata (cfr. sent. 30416/20189) per marginalizzare il riferimento già contenuto nel D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 91, della c.d. revocatoria aggravata alle sole procedure di amministrazione straordinaria – consiglia, oggi, un ripensamento dei principi già affermati nel precedente autorevole arresto giurisprudenziale, sia in ragione della notevole valenza sistematica rivestita dalla norma sopra citata sia per l’applicazione generalizzata di quest’ultima a tutte le ipotesi di revocatorie infragruppo nelle procedure di liquidazione.

4.2.1.1 Sul punto, non può essere neanche dimenticato che la predetta norma (introdotta dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 290, comma 3, per come sopra ricordata), non contiene deroghe esplicite al principio dell’inammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti della procedura di liquidazione giudiziale, già in precedenza affermato in via interpretativa, di talchè deve ritenersi generalizzata, per converso, l’applicazione, ora, del contrario principio di ammissibilità dell’azione revocatoria, ordinaria e fallimentare, nei confronti della procedura concorsuale.

4.2.1.2 Del resto, laddove il legislatore ha introdotto deroghe a principi normativi (o interpretativi) già in precedenza affermati, lo ha fatto esplicitamente nel tessuto normativo delle nuove disposizioni legislative, prevedendole verbatim. Ed invero, l’art. 182 quater, comma 3, per come novellato dal D.L. 22 giugno, n. 83, art. 33, comma 1, lett. e bis, n. 3), (convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134), nell’introdurre la regola della prededuzione in relazione ai finanziamenti dei soci fino alla concorrenza dell’ottanta per cento del loro ammontare, ha esplicitamente previsto l’affermazione del nuovo principio normativo, in deroga a quanto già disposto dagli artt. 2467 e 2497 quinques c.c..

Ciò conferma la natura generalizzatante del principio dell’ammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti di altre procedure di liquidazione giudiziale, anche al di là dei ristretti ed angusti limiti delle azioni esercitate “infragruppo”.

4.3 Peraltro, la soluzione prospettata dalle Sez. Un. nel noto arresto sopra citato lascia insoddisfatti sia sul piano dogmatico che su quello più strettamente pratico-applicativo.

In realtà, la soluzione predicata dalle Sez. Un. si risolve nel diniego della tutela assicurata dalla legge al creditore – ovvero a un intero ceto creditorio, quando ad agire in revocatoria ordinaria sia un fallimento – per un evento che colpisce un terzo ed arricchisce i creditori di quest’ultimo a suo danno.

4.4 Inoltre, si può anche ragionevolmente dubitare che la materia del contendere dei riferimenti giurisprudenziali contenuti nella sentenza da ultimo citata sia riconducibile alla peculiarità del caso deciso, cioè alla revocatoria ordinaria proposta contro il fallimento del terzo acquirente. La giurisprudenza esposta in sentenza si occupa, invece, di revocatorie fallimentari aventi a oggetto pagamenti del fallito e, lungi dal confrontarsi con il fallimento dell’accipiens, è chiamata a risolvere problemi quali la decorrenza della prescrizione dell’azione e la natura “di valore” o “di valuta” dell’obbligazione restitutoria del terzo in bonis. Se si considera ciò, ben si comprendono il senso ed i limiti della valenza costitutiva che la giurisprudenza attribuisce alla azione revocatoria. Il quadro di tale giurisprudenza è caratterizzato: a) dal fallimento del debitore, e b) dal ruolo che proprio il fallimento assume quale fattispecie legale della revoca. Si tratta di un quadro nettamente diverso da quello in cui: a) il fallimento riguarda (non il debitore ma) il terzo acquirente, e in cui b) la fattispecie legale della revoca è indipendente dal fallimento, consistendo essa nella originaria qualificazione di inefficacia dell’atto.

4.5.1 In realtà, sostenere che il fallimento del terzo impedisce la possibilità di agire in revocatoria contro la procedura significa creare una fattispecie di irrevocabilità sopravvenuta dell’acquisto: il fallimento “ripulisce” l’acquisto che viene a sanarsi per una vicenda propria del terzo avente causa (magari provocata proprio dal debitore, società controllante che trasferisce il cespite e fa fallire la controllata).

4.6 Va, poi, aggiunto un ulteriore profilo di riflessione.

Ricorrendo al concetto di cristallizzazione del patrimonio, le S.U. dichiarano di operare in continuità con la soluzione già adottata da Cass. n. 10486/2011 e Cass. n. 3672/2012, cit. supra. Cristallizzazione significa fissazione della massa passiva al momento della dichiarazione, nel senso di irrilevanza di nuove obbligazioni, o di aggravio di preesistenti, in capo al fallito, cioè di sopravvenienze: sopravvenienza non può, tuttavia, considerarsi la soggezione a revoca di preesistenti acquisti.

Non è spiegato, cioè, come l’intervenuta dichiarazione possa cancellare la qualità intrinseca di tali acquisti, tanto più che essa non è stabilita a favore del creditore del fallito (che subisce le limitazioni della responsabilità del proprio debitore), bensì a tutela di un terzo. Si tratta, cioè, di un minus patrimoniale la cui causa preesiste al fallimento, successiva al fallimento essendo, infatti, solo la sua realizzazione.

La revocabilità non viene meno alla regola dell’insensibilità del patrimonio alle nuove obbligazioni perchè l’obbligazione è qui connessa ad una illiceità e ad una inopponibilità preesistenti.

4.7 Si evidenzia, poi, nell’arresto sopra ricordato, che l’effetto revocatorio retroagisca alla data della domanda, onde esso non potrebbe incidere sulla massa passiva già formatasi quando la domanda sia portata direttamente contro un fallimento. Non è tuttavia vero che la sentenza d’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria limiti la sua retroattività alla data della domanda, perchè la revoca ha innegabilmente ad oggetto l’atto alla data del suo compimento.

Come è stato osservato anche in dottrina, è sufficiente considerare che la prescrizione dell’art. 2652 c.c., n. 5 (che sottrae all’effetto revocatorio l’acquisto dei subacquirenti di buona fede) ha senso solo quale eccezione alla regola per cui il successivo acquirente dall’avente causa acquista cum onere, evenienza quest’ultima che, a sua volta, postula che l’accoglimento della revocatoria sia retroagito all’acquisto del suo dante causa.

In realtà, la retroattività non è affatto limitata al momento della domanda (come è postulato nel precedente delle S.U., per salvare la domanda di revoca presentata prima del fallimento): la retroattività alla domanda riguarda infatti il tema specifico della successione in corso di causa, fenomeno affatto diverso dai limiti temporali della fattispecie sostanziale accertata in sentenza.

Non è casuale che la dottrina classica abbia sempre mostrato una decisa riluttanza alla classificazione della revocatoria codicistica quale azione costitutiva, ed abbia sempre preferito parlare di azione e sentenza di accertamento. Tuttavia, anche la “costitutività” dell’azione non giustificherebbe l’irretroattività della sentenza di accoglimento: l’effetto revocatorio (sintesi verbale della vicenda contemplata dagli artt. 2901 c.c. e segg., art. 2910 c.c. e artt. 602 c.p.c. e segg.), altro non è che il limite posto dalla legge all’acquisto al tempo del compimento dell’atto acquisitivo.

4.8 Occorre valutare, pertanto, un ripensamento della soluzione delle S.U. giacchè quest’ultima ha l’effetto di cancellare tout court la tutela assicurata al creditore (a un intero ceto creditorio, quando ad agire in revocatoria ordinaria è un fallimento) per atti anteriori al fallimento del terzo revocando. Certo è che occorre accordare l’azione con la natura collettiva dell’esecuzione praticabile.

Sul punto la sentenza resa dal Supremo Consesso obietta che la natura cognitiva della azione revocatoria la rende inconfondibile con l’azione esecutiva di cui alla L. Fall., art. 51. Si può tuttavia osservare che il momento dichiarativo della revoca è stato sempre concepito come strettamente strumentale ad un’azione intrinsecamente esecutiva e che ci sia uno spunto di ragione nell’opporre alla sua praticabilità il divieto di azioni esecutive individuali. D’altronde l’art. 2929-bis c.c., sta proprio a mostrare come una revocatoria possa presentarsi in veste di azione esecutiva non mediata da alcun preventivo accertamento, un’azione che rimette la ricognizione dei suoi presupposti ad un momento successivo ed eventuale.

4.9 Va, peraltro, aggiunto che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’esercizio vittorioso dell’azione revocatoria ha effetto retroattivo: pur intrinsecamente valido, l’atto – che sia stato revocato manca ab imo di efficacia nei confronti del fallimento che l’ha esperita (cfr., di recente, Cass., 24 aprile 2012, n. 6270). Secondo quanto comunemente si ritiene, d’altro canto, il debito restitutorio del soggetto, che la revoca ha subito, è debito di valore (cfr. già Cass. SS. UU., 28 aprile 1973, n. 1169); gli interessi sulla somma da restituire, poi, vengono a correre anche prima della domanda giudiziale, se vi è stato atto di costituzione in mora (Cass., 25 giugno 2009, n. 14896).

Non sembra, di conseguenza, che l’azione in esame sia destinata a incidere sul c.d. principio di cristallizzazione della massa passiva. Non pare, per altro verso, che la azione revocatoria possa essere ricondotta al divieto “di inizio” e “di proseguimento” delle azioni esecutive e cautelari disposto dalla L. Fall., art. 51. Secondo una convincente opinione, emersa in dottrina, l’azione revocatoria si manifesta piuttosto come azione di accertamento con effetti costitutivi: rispetto alla quale chi la propone non chiede l’accertamento nè di un diritto di credito, nè di un diritto reale o personale di godimento; chiede, per contro, una pronuncia che ricostituisca la garanzia patrimoniale del proprio debitore. Secondo quanto, del resto è compito precipuo delle procedure concorsuali di fare (cfr., per tutte, Cass., n. 21810/2015).

4.10 Occorre tuttavia proporre un ulteriore piano di riflessione.

4.10.1 Come sopra di è accennato, le Sezioni Unite, cit. sopra, precisano che alcun problema sorge nell’ipotesi in cui la domanda di revocatoria sia stata trascritta anteriormente alla trascrizione della sentenza che ha aperto la liquidazione giudiziale, e la giurisprudenza adopera sovente il termine “quesita(o)” per indicare il diritto a conseguire l’effetto della pronunzia costitutiva sorto (attraverso la trascrizione della sottostante domanda giudiziale) prima di tale sentenza.

In questa ipotesi, il tribunale originariamente adito dall’attore (ai sensi dell’art. 2901 c.c., se si tratta di un quisque de populo, oppure ai sensi della L. Fall., artt. 66 e 67, se si tratta di una procedura di liquidazione giudiziale) resta competente a decidere l’inefficacia dell’atto, nel mentre le pronunzie di pagamento o di restituzione, consequenziali alla dichiarazione d’inefficacia, competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento dell’altra parte, secondo le modalità stabilite per l’accertamento del passivo e dei diritti dei terzi.

4.10.2 Come è stato osservato anche in dottrina, va, tuttavia, ricordato che non tutte le domande giudiziali sono trascrivibili, laddove tutti gli atti dispositivi (a prescindere dal loro oggetto) sono astrattamente revocabili, ai sensi dell’art. 2901 c.c., L. Fall., artt. 66 e 67. Orbene, ciò significa che per i beni – in relazione ai quali non è prevista la trascrizione della domanda giudiziale in pubblici registri (fosse anche il registro delle imprese) – mancherebbe la possibilità di rendere opponibile al fallimento dell’acquirente una domanda revocatoria.

Ciò potrebbe comportare anche l’insorgere di una evidente questione di incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., prospettabile, in ipotesi, in riferimento alle domande di revocatoria dei pagamenti ovvero degli atti dispositivi di beni mobili, per i quali si evidenzierebbe l’improcedibilità per il solo fatto dell’apertura della liquidazione giudiziale del debitore.

4.11 La soluzione a tali aporie interpretative va, tuttavia, trovata nel raccordo processuale tra tutela costitutiva e l’accertamento del passivo concorsuale.

4.11.1 In primo luogo, vanno considerate le conseguenze della tutela revocatoria ed il conseguente interesse del creditore a coltivarla.

Secondo il diritto vivente, infatti, l’interesse del creditore ad agire in revocatoria sussiste anche quando il bene oggetto dell’atto di cui si chiede la revoca non sia più nella disponibilità dell’acquirente, per essere stato da questo alienato a terzi con atto trascritto anteriormente alla trascrizione dell’atto di citazione in revocatoria: in questo caso, l’eventuale accoglimento della domanda di revocatoria consente all’attore di promuovere nei confronti del convenuto le azioni di risarcimento del danno o di restituzione del prezzo dell’acquisto, e ciò anche nell’ipotesi in cui le relative domande non siano state formulate congiuntamente alla domanda revocatoria, ma successivamente (cfr. Cass. 6 agosto 2010, n. 18369. V. anche Cass. 20 aprile 2012, n. 6270). Ciò vale anche per la revocatoria fallimentare, che ha ad oggetto non il bene in sè, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante la sua assoggettabilità ad esecuzione e, dunque, la liquidazione di un bene che, rispetto all’interesse dei creditori, viene in considerazione soltanto per il suo valore.

4.11.2 Il secondo aspetto da considerare è che la domanda di revocatoria non dà luogo all’esercizio di un’azione esecutiva, rispetto alla quale “chi la propone non chiede l’accertamento nè di un diritto di credito, nè di un diritto reale o personale di godimento; chiede, per contro, una pronuncia che ricostituisca la garanzia patrimoniale del proprio debitore” (così, verbatim, l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, Cass.25 gennaio 2018, n. 1894). Detto altrimenti, la domanda di revocatoria non è destinata al recupero di un bene all’attivo del fallimento, ma a procurare il soddisfacimento dei creditori: non si tratta di un’azione esecutiva, ma di una declaratoria d’inopponibilità al creditore dell’atto dispositivo del debitore.

Così, la L. Fall., art. 51, “riguarda l’azione esecutiva e non quella di cognizione che caratterizza invece la domanda di revoca”.

4.11.3 Il terzo profilo da valorizzare riguarda, invece, le finalità della L. Fall., art. 45, che, ad avviso delle Sezioni Unite, cit. supra, preclude la trascrizione di domande di revocatoria successive all’apertura della liquidazione giudiziale, ma fa salvi gli effetti delle trascrizioni già effettuate a quella data.

Come prospettato da attenta dottrina ed affermato anche dalla giurisprudenza di questa Corte, la finalità della L. Fall., art. 45, è di “assicurare la completa cristallizzazione del patrimonio del fallito, allo scopo di porre detto patrimonio al riparo dalle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca successiva alla dichiarazione del fallimento, e quindi impedire che siano fatti valere, nel concorso fallimentare, pretese aggiuntive rispetto a quelle facenti parte del patrimonio del fallito alla data della sentenza di fallimento” (così Cass. 8 agosto 2013, n. 19025, in motivazione).

Ciò detto, andrebbe rivisitata l’affermazione secondo cui con la domanda di revocatoria si facciano valere pretese aggiuntive rispetto a quelle facenti parte del patrimonio del debitore alla data dell’apertura della liquidazione concorsuale. Ed invero, se è vero che la pronunzia di revocatoria ha natura costituiva, è altrettanto vero che essa non ha ad oggetto l’apprensione o la consegna di un bene (immobile o mobile che sia), bensì la reintegrazione ab ovo di una garanzia patrimoniale, che, a suo tempo, il debitore fallito aveva concorso a vulnerare.

Il punto di riflessione qui oggi di nuovo proposto era stato colto, peraltro, proprio dall’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, cit. supra, laddove si era rilevato che “nel caso di convenuto in revocatoria che sia fallito, le azioni esecutive – successive all’esito vittorioso di questa non risulteranno comunque esercitabili, giusta appunto il divieto di cui alla L. Fall., art. 51: lo sbocco naturale e proprio dell’esito vittorioso consistendo – come si è già visto essere insegnamento tradizionale di questa Corte nell’insinuazione del credito da restituzione (come in sostanza relativo al valore del bene di cui alla revoca) nel passivo fallimentare del convenuto perdente”.

Come è stato osservato in dottrina, a venire qui in rilievo non è tanto la L. Fall., art. 51 (non vulnerato dall’esercizio di una pretesa di revocatoria), bensì una ragionata applicazione della L. Fall., successivo art. 52 (corrispondente all’art. 151, “Codice della crisi di impresa”), ossia della regola del concorso.

4.11.4 Se ne potrebbero trarre, dunque, le seguenti conclusioni applicative: a) qualora la domanda di revocatoria sia stata introdotta prima dell’apertura della liquidazione concorsuale e sia stata trascritta, essa prosegue davanti al giudice ordinario: le statuizioni di condanna derivanti dalla decisione di quest’ultimo vincolano la massa concorsuale;

b) qualora la domanda di revocatoria sia stata introdotta prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, ma non sia stata trascritta o non sia trascrivibile, essa è improcedibile, stanti le barriere erette dalla L. Fall., artt. 45 e 52;

c) nei casi sub b), e nell’ipotesi in cui la domanda di revocatoria non sia stata introdotta prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, sarebbe possibile formulare, comunque, una domanda di ammissione al passivo per il corrispondente valore del pagamento o del bene oggetto dell’atto dispositivo astrattamente revocabile.

4.11.5 Ma in questa ipotesi il giudice delegato (nonchè il giudice delle eventuali impugnazioni dello stato passivo) dovrà delibare la pregiudiziale pretesa costitutiva (avente ad oggetto i presupposti dell’azione revocatoria, che rappresenta il presupposto per l’ammissione al passivo del suddetto credito restitutorio) incidenter tantum (ossia, senza efficacia di giudicato): la L. Fall., art. 93, (corrispondente all’art. 201 CCII) non ammette, infatti, domande di ammissione al passivo diverse (ed ulteriori) rispetto a quelle aventi ad oggetto il riconoscimento di un credito, ovvero la restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili nei riguardi della curatela.

Naturalmente anche tale “soluzione mediana” richiede l’interpello delle Sezioni Unite perchè involge, pur sempre, la questione dell’ammissibilità della delibazione incidentale sulla sussistenza dei presupposti applicativi dell’azione revocatoria nei confronti di un fallimento o comunque di una procedura giudiziale di liquidazione.

4.12 Va aggiunto, sotto il profilo sistematico (e come già sopra accennato), che vi è anche la norma dettata del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 91, dedicato alla regolamentazione della procedura di amministrazione straordinaria, ad ammettere la c.d. revocatoria aggravata nei confronti degli appartenenti al medesimo gruppo di quella dichiarata insolvente, parallelamente a quanto ora disposto dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 290, comma 3.

4.12 Occorre rimettere di nuovo al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite la questione dell’ammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria e fallimentare nei confronti di un fallimento, nei termini prospettati in motivazione.

P.Q.M.

rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA