Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19874 del 26/07/2018


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Civile Ord. Sez. U Num. 19874 Anno 2018
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: TRIA LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 15149-2017 proposto da:
ATAC S.P.A. – AZIENDA PER LA MOBILITA’, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PARIGI 11, presso lo STUDIO CARNELUTTI, rappresentata e difesa
dall’avvocato MAURIZIO D’ALBORA;
– ricorrente contro
ROMA TPL – SOCIETA’ CONSORTILE A R.L., in persona del Presidente
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.P. DA
PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato RINALDO GEREMIA,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO
COLAPINTO;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 26/07/2018

nonchè contro
ROMA CAPITALE;
– intimata per revocazione della sentenza n. 11375/2016 della CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE, depositata il 31/05/2016.

05/06/2018 dal Consigliere LUCIA TRIA.
RILEVATO
che la Corte d’appello di Roma (con sentenza depositata il 31
gennaio 2014) ha respinto l’impugnazione dell’ATAC s.p.a. – Azienda
per la Mobilità – del lodo arbitrale che ha deciso la controversia tra
l’Azienda e Tevere TPL soc. cons. a r.l. (poi incorporata in Roma TPL
soc. cons. a r.I.), lamentandone la nullità ex art. 828 cod. proc. civ.,
in ragione del difetto di giurisdizione del collegio arbitrale e
chiedendo, in subordine, che fosse dichiarata la nullità del lodo ex art.
829 cod. proc. civ.;
che alla suddetta conclusione la Corte territoriale è pervenuta
ritenendo che, con l’art. 17 del capitolato d’appalto, le parti avevano
preventivamente e di comune accordo inteso rinunciare
all’impugnazione della pronuncia arbitrale e comunque non ricorreva
alcuna delle ipotesi d’impugnabilità inderogabile del lodo previste
dall’art. 829 cod. proc. civ.;
che, quanto al primo motivo d’impugnazione (difetto di
giurisdizione del collegio arbitrale e giurisdizione del giudice
amministrativo), la Corte d’appello ha affermato che, anche se in
ipotesi si volesse ritenere che si controverte di revisione prezzi e che
ricorre la giurisdizione del giudice amministrativo, comunque il
giudice naturale dell’impugnazione del lodo ha anche il potere-dovere
di decidere il merito della causa (Cass. SU n. 16887/13), tanto più
che le questioni attinenti alla revisione dei prezzi sono devolute alla

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Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giurisdizione del giudice ordinario e non a quella del giudice
amministrativo (Cass. SU n. 397/11);
che, quanto al secondo motivo (nullità del lodo per violazione
delle regole di diritto relative al merito della controversia), il giudice
ne ha ritenuto l’inammissibilità per mancata indicazione delle norme

che per la cassazione di tale sentenza l’ATAC ha proposto ricorso,
illustrato da memoria, per due motivi, cui Roma TPL ha resistito con
controricorso;
che con il primo motivo l’Azienda ricorrente aveva denunciato
nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360, n.
4, cod. proc. civ., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 807
e 808 cod. proc. civ., nonché dell’art. 829 cod. proc. civ. anche in
relazione agli artt. 1362 cod. civ. e segg. Sostenendo – attraverso il
richiamo della propria eccezione di inammissibilità, improponibilità e
nullità del procedimento arbitrale attivato – che nel contratto
stipulato tra le parti il 22 dicembre 2005 (per l’affidamento della
gestione della rete di trasporto pubblico urbano di linea della città di
Roma) era stato fatto riferimento al capitolato d’appalto
esclusivamente per disciplinare le modalità dell’espletamento del
servizio da parte dell’affidatario, ma non con riguardo alla clausola
compromissoria prevista dallo stesso capitolato, tanto più che il
contratto prevedeva espressamente ed inequivocabilmente l’esclusiva
competenza del foro di Roma;
che la ricorrente aveva aggiunto che la clausola arbitrale
contenuta nel capitolato era stata predisposta da uno solo dei
contraenti, non era stata sottoscritta dalla controparte contrattuale e
non era stata specificamente approvata ex art. 1341 cod. civ.;
pertanto del tutto erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto non
solo che le parti avessero inteso preventivamente rinunciare
all’impugnazione della pronuncia arbitrale, ma anche che nel caso di

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violate e la generica doglianza circa il merito della controversia;

specie non ricorreva alcuna delle ipotesi di cui all’art. 829 cod. proc.
civ.;
che, nel secondo motivo, l’Azienda aveva denunciato ex art. 360,
n. 1, cod. proc. civ. violazione di norme di legge sul riparto di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo,

compromettibilità in arbitrato della controversia (siccome relativa ad
interessi legittimi) – il punto della sentenza in cui era stato sostenuto
che la Corte d’appello aveva comunque il potere-dovere di decidere
nel merito la controversia ai sensi dell’art. 830, secondo comma, cod.
proc. civ., anche se in ipotesi si fosse voluta affermare la sussistenza
della giurisdizione del giudice amministrativo;
che, in considerazione della suddetta questione di giurisdizione, il
ricorso è stato esaminato – e respinto – da queste Sezioni Unite, con
sentenza 31 maggio 2016, n. 11375, nella quale i motivi,
congiuntamente esaminati, sono stati dichiarati in parte inammissibili
e in parte infondati, pur correggendosi la motivazione della sentenza
impugnata sul punto in cui era stata esclusa l’ammissibilità
dell’impugnazione del lodo per nullità ai sensi dell’art. 829 cod. proc.
civ. / nonché sul punto riguardante la configurazione della Corte
d’appello come “giudice naturale” dell’impugnazione del lodo;
che, preliminarmente, nella sentenza n. 11375 del 2016 cit. è
stato precisato che “tutte le questioni attinenti all’esistenza ed alla
validità della clausola arbitrale sono affatto nuove. Di queste non
tratta la sentenza impugnata, né la ricorrente lamenta l’omessa
pronuncia riguardo ad un’eventuale, relativa eccezione”;
che, quindi, è stato sottolineato come la sentenza della Corte
d’appello impugnata si fondava su due ragioni, ciascuna
autonomamente capace di sorreggere la decisione;
che la prima ratio decidendi, concerneva la dichiarazione di
inammissibilità sia dell’impugnazione per preventiva rinuncia delle

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censurando – riportandosi alle proprie deduzioni di non

parti (desumibile dall’art. 17 del capitolato d’appalto), sia delle
censure riferite all’art. 829 cod. proc. civ. ed era basata sull’assunto
secondo cui nella specie non ricorreva alcuna delle ipotesi di
impugnabilità inderogabile del lodo, essendo state denunciate
violazioni di regole di diritto attinenti il merito della controversia e

che tale ultima statuizione è stata corretta dalle Sezioni Unite
perché si è ritenuto indiscusso che l’ATAC avesse impugnato il lodo
sotto un primo profilo attinente il difetto di giurisdizione degli arbitri
circa questioni che, viceversa, la società riteneva appartenere alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sicché tale
questione, sia in base al principio giurisprudenziale invocato dalla
Corte d’appello, sia in base alla lettura dell’art. 829 cod. proc. civ.,
rendeva ammissibile la censura, nonostante qualunque preventiva
rinuncia;
che, in merito alla seconda ratio decidendi espressa dalla
sentenza impugnata per respingere la tesi dell’ATAC di “nullità del
lodo in ragione del difetto di giurisdizione del collegio arbitrale in
favore del giudice amministrativo”, le Sezioni Unite hanno considerato
assorbente e corretta l’affermazione secondo cui le questioni attinenti
alla revisione dei prezzi in materia di trasporti pubblici non sono
attratte nella giurisdizione del giudice amministrativo, nella
considerazione che la posizione giuridica soggettiva astrattamente
azionata è qualificabile come diritto soggettivo ad ottenere
l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria e che nel procedimento
amministrativo di accertamento del quantum non sono ravvisabili
momenti di valutazione comparativa degli interessi pubblici in gioco,
ma esclusivamente l’applicazione di un parametro di natura
normativa, del quale è contestata la corretta applicazione;
che, è stato, infine, precisato che effettivamente quest’ultimo è
l’ambito in cui rientra la controversia in oggetto, come deducibile

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non errores in procedendo;

dallo stesso ricorso dell’ATAC ove si spiegava che le richieste della
Tevere TPL erano riferite alla revisione dei prezzi (nel presupposto
dell’operatività del disposto dell’art. 6, comma 4, della legge n. 537
del 1993, nonché dell’art. 115 del successivo d.lgs. n. 163 del 2006)
ed al pagamento del corrispettivo delle prestazioni accessorie

contratto d’affidamento;
che, per tutte le suesposte ragioni, il ricorso è stato respinto;
che con il presente ricorso l’ATAC chiede la revocazione della
decisione delle Sezioni Unite n. 11375 del 2016 cit. assumendo che la
Corte sarebbe incorsa in errore di fatto, laddove in via preliminare ha
affermato che “tutte le questioni attinenti all’esistenza ed alla validità
della clausola arbitrale sono affatto nuove”, essendo tale
affermazione smentita dagli atti e documenti di causa che dimostrano
che l’Azienda aveva ritualmente sollevato e ribadito la questione
dell’inesistenza giuridica e della nullità della clausola arbitrale;
che Roma TPL soc. cons. a r.l. resiste con controricorso.

CONSIDERATO
che il ricorso per revocazione è manifestamente inammissibile e
la sua inammissibilità va dichiarata con ordinanza camerale;
che, infatti, il rito camerale (non partecipato) dell’ammissibilità
della revocazione, pur disegnato sul calco delle regole per la Sezione
prevista dall’art. 376, primo comma, cod. proc. civ., nella sua
interazione con le Sezioni semplici e non essendo prevista una
relazione tra essa e le Sezioni unite, non osta a che, su sentenze e
ordinanze pronunziate da queste ultime, possano validamente essere,
per evidenti ragioni di coerenza logica e sistematica, chiamate a
decidere le medesime Sezioni unite, sia pure col rito camerale
previsto per l’ammissibilità della revocazione, di cui al combinato
disposto del novellato art. 380-bis e dell’art. 391-bis cod. proc. civ.
(vedi, tra le altre: Cass. SU 14 marzo 2018, n. 6336, per la

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(sorveglianza delle corsie riservate) di cui al capitolato speciale ed al

correzione di errori materiali nelle sentenze delle Sezioni Unite e
Cass. SU 11 aprile 2018, n. 8984, per la revocazione di sentenze
delle Sezioni Unite);
che, per costante orientamento di questa Corte, l’istanza di
revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai

ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, cod.
proc. civ., che consiste in un errore di percezione oppure in una mera
svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o
l’inesistenza) di un “fatto decisivo”, che risulti, invece, in modo
incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di
causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto
controverso, su cui il giudice si sia pronunciato;
che, quindi, l’errore in questione presuppone il contrasto fra due
diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge
dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché
la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di
giudizio, formatosi sulla base di una valutazione (vedi, per tutte:
Cass. 11 gennaio 2018, n. 442; Cass. SU 12 marzo 2012, n. 3856);
che, nella specie, la contestata affermazione preliminare
contenuta nella sentenza revocanda circa la novità di “tutte le
questioni attinenti all’esistenza ed alla validità della clausola
arbitrale”, non è certamente configurabile come derivante da un
errore percettivo nel senso suindicato, in quanto è piuttosto il frutto
di una valutazione giuridica basata sul duplice rilievo della mancata
trattazione di tali questioni nella sentenza della Corte d’appello
impugnata e dell’assenza di censure da parte della società ricorrente
in merito all’omessa pronuncia in ordine ad un’eventuale eccezione al
riguardo;

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sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ., implica ai fini della sua

che tale valutazione riguarda, infatti, l’interpretazione delle
censure proposte e trova riscontro in costanti indirizzi di questa Corte
secondo cui:
a) nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione
della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle

diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di
merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o,
nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi
nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (vedi, per
tutte: Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787;
Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass.
5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020);
b)

pertanto, se il ricorrente per cassazione proponga una

determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto
e non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, al fine
di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura,
deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto
del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, onde dar
modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale
asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (tra le
tante: Cass. 29 gennaio 2003, n. 1273; Cass. 2 aprile 2004 n. 6542,
Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518;
Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 23 settembre 2016, n. 18719);
che, inoltre, la stessa società ATAC nel presente ricorso per
revocazione configura la suddetta affermazione preliminare su cui si
incentra la richiesta di revocazione come un obiter dictum inidoneo ad
assurgere al rango di res judicata (vedi p. 8 del ricorso);
che ciò significa che il contenuto della suddetta affermazione è
considerato dalla stessa ricorrente privo di decisività e quindi di

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questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di

rilevanza per il giudizio, in quanto eccedente rispetto alla necessità
logico-giuridica della decisione e come tale non vincolante (vedi per
tutte: Cass. 8 febbraio 2012, n. 1815);
che questo rende di per sé palesemente inammissibile
‘dil oria-1 l’istanza di revocazione dell’ATAC, che risulta in contrasto

che, in applicazione del criterio della soccombenza, la società
ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese
processuali liquidate in dispositivo, dandosi atto della sussistenza dei
presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il ricorso inammissibile e
condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, euro
10.000 (diecimila/00) per compensi professionali, oltre spese
forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.
228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

con i principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.;

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