Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19872 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. I, 23/07/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 23/07/2019), n.19872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28243/2018 proposto da:

C.N., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato

ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta e difende giusta procura

speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI GENOVA n. 318/2018,

depositata il 22.2.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

2.7.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

C.N. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di Appello di Genova aveva respinto l’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Genova emessa in data 6.2.2017 in rigetto della sua domanda di riconoscimento di protezione internazionale (sussidiaria ed umanitaria);

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Mali) dovuti al suo vissuto personale, narrando di aver avuto un dissidio con il padre, che lo aveva minacciato di morte, e di aver raggiunto la madre presso la città di Gao, ove vi erano stati attentati terroristici ed era scoppiata la guerra, motivo per il quale era fuggito raggiungendo dapprima l’Algeria e la Libia per poi giungere in Italia;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia ” omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio…. oggetto di discussione tra le parti: la condizione di pericolosità e le situazioni di violenza generalizzata esistenti in Mali”;

1.2. con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, per avere il Giudice territoriale negato la concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente avrebbe avuto diritto in ragione delle condizioni socio politiche del Paese d’origine con grave pericolo per la sicurezza individuale all’interno del Mali;

1.4. con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendosi rifiutare un permesso di soggiorno allo straniero in caso di seri motivi di carattere umanitario, e dell’art. 19 D.Lgs. cit. che vieta l’espulsione, per il principio di non refoulement, dello straniero che possa essere perseguitato nel paese d’origine o ivi correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. 14 luglio 2017, n. 110, che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost., ed all’art. 3 CEDU, risultando accertato che il ricorrente ove costretto al rientro nel Paese di origine rimarrebbe esposto a grave pericolo a causa della presenza di atti terroristici diffusi e di una situazione di conflitto armato;

1.5. i primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, attengono alla configurabilità del diritto alla protezione internazionale sub specie di quella sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 51 del 2007, art. 14, lett. c), in caso di una situazione di violenza generalizzata nel Paese di provenienza del richiedente la protezione internazionale e sulla prevalenza giocata dall’estremo indicato, nella valutazione delle situazioni individuali di pericolo sofferte dal singolo in caso di suo rientro;

1.6. l’affermazione di principio, pure operata da questa Corte di legittimità, per la quale “in tema di protezione internazionale sussidiaria, il requisito della individualità della minaccia grave alla vita o alla persona di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non è subordinato, in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009, in C465/07), vincolante per il giudice di merito, alla condizione che il richiedente “fornisca ufficiale la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale”, in quanto la sua esistenza può desumersi anche dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente (Cass. 30/07/2015 n. 16202; Cass. 31/05/2018 n. 13858), va preliminarmente coniugata nella sua applicazione con altre e strumentali regole, di cui pure è portatore il complesso sistema normativo di introduzione e disciplina della protezione internazionale;

1.7. ciò è destinato a valere, segnatamente, per i principi affermati da questa stessa Corte sull’onere della prova in una materia che, pur connotata da espresse deroghe all’applicazione del principio dispositivo, chiama comunque il giudice del merito ad attivarsi ufficiosamente là dove, e quando, il cittadino straniero, che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto;

1.8. come ancora rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la “cooperazione istruttoria” è destinata da inserirsi, non opera sul versante dell’allegazione, ma, esclusivamente, da quello della prova, fermo restando il correlato principio che l’allegazione difensiva debba essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, ivi compresi i motivi della sua domanda di protezione internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), nella precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima sul piano probatorio;

1.9. poste tali premesse, il carattere del ricorso, in cui articolato è il richiamo a norme nazionali e convenzionali, ai principi affermati da questa Corte di legittimità e ad altre fonti (sito web Viaggiare Sicuri del Ministero degli Esteri) per sostenere l’esistenza in Mali di uno stato di violenza generalizzato di pervasività tale da prescindere dal rischio individualizzato D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), si presta ad una valutazione di inammissibilità per la non specificità dei motivi nel giudizio di cassazione, nei termini di seguito indicati;

1.10. i motivi in esame non illustrano quali siano stati i contenuti di allegazione curati in appello e diretti a sollecitare l’esercizio ufficioso, in materia di prova, dei poteri integrativi nel giudizio di impugnazione;

1.11. ritiene questo Collegio che il principio destinato a valere possa compendiarsi nell’affermazione, in diritto, che in materia di protezione internazionale, quando se ne invochi l’applicazione nella forma sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – laddove riferita all’esistenza di uno stato di diffusa ed indiscriminata violenza, di grado tale da attingere colui che richieda protezione per il solo fatto che egli faccia rientro nel suo paese di origine senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato – gli oneri di allegazione gravanti sul richiedente che impugni in appello devono, in quella fase, conformarsi a natura e struttura del giudizio, destinato a veicolare attraverso i motivi la censura alla decisione di primo grado;

1.12. la specificità della critica difensiva in appello, imposta dall’art. 342 c.p.c., a cui deve correlarsi la risposta del giudice, non consente al ricorrente, che della decisione di secondo grado censuri l’illegittimità, di far valere per la prima volta nel giudizio di cassazione deduzioni ed allegazioni mancate nella fase impugnatoria di merito, in quanto colui che impugni in cassazione la decisione del giudice di appello in materia di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), non può mancare di allegare il motivo che, coltivato in appello, abbia in tesi ricevuto risposta erronea nella sentenza, diversamente restando precluso l’esercizio del controllo demandato al giudice di legittimità sulla correttezza dell’interpretazione e dell’applicazione della norma e sulla rispondenza della motivazione a canoni di logica e di valutazione dei fatti decisivi per la decisione del giudizio, come operata dal precedente giudice di merito, anche in ordine alla mancata sua attivazione dei poteri istruttori ufficiosi;

1.13. va peraltro evidenziato che il Giudice di merito, in riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, ha correttamente ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, corredata anche di richiami a fonti internazionali, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona originaria di provenienza del ricorrente (regione di Kayes), escludendo così il diritto alla protezione sussidiaria;

1.14. la censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014);

1.15. occorre peraltro evidenziare che secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel dare attuazione alla direttiva 2004/83/Ce con il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 25, il legislatore si è avvalso della facoltà, prevista dall’art. 8 di essa, di non escludere la protezione dello straniero, che ne abbia fatto domanda, per il solo fatto della ragionevole possibilità di trasferimento in altra parte del paese di origine, nella quale non abbia fondato motivo di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire gravi danni, non potendo quindi essere rigettata la domanda di protezione per il solo fatto della ravvisata possibilità di trasferimento (Sez. 6, 16/02/2012, n. 2294; Sez. 6, 9/4/2014 n. 8399; Sez. 1, 27/10/2015 n. 21903);

1.16. per la giurisprudenza della Corte la settorialità della situazione di rischio di danno grave nella regione o area di provenienza interna dello stato di origine del richiedente asilo di origine non preclude quindi l’accesso alla protezione per la sola possibilità di trasferirsi in altra area o regione del Paese, priva di rischi analoghi;

1.17. nella fattispecie, la sentenza impugnata non afferma che lo straniero, tornato in patria, deve trasferirsi in zona diversa da quella di provenienza ma, al contrario, che proprio nella zona di provenienza del ricorrente – la zona di Kayes, ove aveva trascorso la maggior parte della propria vita, essendosi trasferito nella città di Gao solo per effettuare uno stage presso una banca – non sussistono situazioni di violenza e pericolo in caso di rimpatrio e pertanto la censura avanzata non coglie nel segno;

1.18. in ordine al terzo motivo di ricorso sulla protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 2, ed al principio di non refoulement, inerente alle situazioni di vulnerabilità riguardanti i diritti umani fondamentali, la Corte osserva che, in merito alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine;

1.19. nella specie, la Corte territoriale non ha violato il suddetto principio nè è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali;

2. sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

3. nulla sulle spese stante la mancata costituzione del Ministero;

4. deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, statuizione che la Corte è tenuta ad emettere in base al solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia (di inammissibilità, improcedibilità o rigetto del ricorso, principale o incidentale), senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte, come l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. n. 9660/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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