Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19871 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. I, 23/07/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 23/07/2019), n.19871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28146/2018 proposto da:

S.H., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato

ANTONIA DI MAGGIO, che lo rappresenta e difende giusta procura

speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ANCONA n. 242/2018,

depositata il 22.2.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

2.7.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

S.H. propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di Appello di Ancona aveva respinto l’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona emessa in data 8.9.2016 in rigetto della sua domanda di protezione internazionale;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Pakistan, regione del Punjab) dovuti al suo vissuto personale, narrando egli, musulmano, appartenente al gruppo etnico grai, di essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine essendo stato minacciato di morte da terroristi talebani, dei quali aveva sventato un attentato dinamitardo, che avevano ucciso tutti i componenti della sua famiglia, essendosi egli salvato solo per mera casualità, motivo per il quale era fuggito raggiungendo l’Italia;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo di ricorso si fa valere violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, lamentando motivazione contraddittoria ed incomprensibile poichè la Corte di appello avrebbe basato la decisione di rigetto esclusivamente sulla ritenuta non credibilità del ricorrente senza tener conto dei criteri normativamente previsti, così come chiariti dalla CEDU, pure menzionati nella sentenza stessa, circa la valutazione della domanda del richiedente protezione internazionale;

1.2. con il secondo motivo di ricorso si fa valere violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7,8 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, lamentando che la Corte di Appello abbia reso motivazione erronea in diritto in tema di onere della prova, non avendo fondato il giudizio di non credibilità su contraddizioni, palesi errori o invenzioni ma, esclusivamente, sulla genericità del narrato, pur avendo il ricorrente compiuto ogni sforzo al fine di documentare la condizione del paese di provenienza per rafforzare e contestualizzare la storia narrata;

1.3. con il terzo motivo di ricorso si fa valere violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7, 8, 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, lamentando che la Corte di Appello abbia erroneamente paragonato atti persecutori terroristici ad un atto avente natura privatistica;

1.4. con il quarto motivo di ricorso si fa valere violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,avendo i Giudici di merito violato il dovere di cooperazione nella ricerca della prova, ritenendolo subordinato alla valutazione sulla credibilità del narrato;

1.5. con il quinto motivo di ricorso si fa valere violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, per avere la Corte di appello omesso di valutare tanto le argomentazioni di cui all’appello quanto le relative allegazioni in materia di protezione internazionale umanitaria, in violazione del dettato normativo che imponeva una valutazione autonoma, sul punto, non direttamente discendente dal rigetto delle forme di protezione superiore;

1.6. va premesso che in materia di protezione internazionale questa Corte di legittimità si è da tempo espressa nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al Giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c);

1.7. l’apprezzamento, di fatto risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340/2019);

1.8. va poi evidenziato che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h), conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), definisce “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può, o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”;

1.9. la definizione di “danno grave” è fornita dal successivo art. 14 il quale lo identifica: a) nella condanna a morte; b) nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; c) nella minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

1.10. questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 3016/2019) è già reiteratamente intervenuta a chiarire quale sia, nell’ambito della domanda di protezione sussidiaria, il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in particolare comma 5;

1.11. in primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non dal versante dell’allegazione, ma esclusivamente da quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerati veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 5);

1.12. ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino l’fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda nella fattispecie anche in questo caso oggettivamente dedotta, ossia ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (cfr. Cass. n. 17069/2018);

1.13. per converso, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in applicazione del principio secondo cui la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il Giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197/2015);

1.14. è opportuno inoltre osservare che, una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del Giudice di cooperazione istruttoria – i.e. di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari – è circoscritto alla verifica della situazione obiettiva del paese di origine, e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente; in particolare (cfr. Cass. n. 14006/2018, 13858/2018), in tema di protezione sussidiaria dello straniero, prevista nella già citata fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica, alternativamente: una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale; ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza su quel territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia;

1.15. ne consegue che, mentre il Giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare – elettivamente, ma non esclusivamente, attraverso lo scrutinio dei c.d. c.o.i., country of origin informations – se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato art. 3;

1.16. poste tali premesse, la valutazione sul punto svolta dai Giudici di appello si sottrae a sindacato di questa Corte di legittimità, avendo la Corte di merito, con riguardo alla richiesta di protezione sussidiaria, di cui alle lett. a) e b) art. 14 cit. fondato la sua decisione sfavorevole alla tesi del ricorrente sulla scarsa credibilità del racconto del richiedente valorizzando, oltre alla sua genericità, anche l’inverosimiglianza del manifestato “timore di pericolo di vita, neppure essendo stata spiegata la ragione per la quale il ricorrente non avesse denunciato le minacce alla Polizia, già a conoscenza dell’intera vicenda”, senza peraltro fornire alcuna documentazione idonea a dimostrare la credibilità del racconto, privo peraltro di dettagli e tale da indurre i Giudici di merito a ritenere trattarsi di “vicenda inventata e non vissuta effettivamente dal richiedente”, dovendo quindi escludersi la sussistenza delle ipotesi di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

1.17. la doglianza per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è quindi inammissibile, in quanto si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni;

1.18. il vizio di motivazione rappresentato (travisamento di fatti decisivi) non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la motivazione posta a base della decisione del Giudice di merito non è meramente apparente o contraddittoria, come lamentato dal ricorrente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso;

1.19. il ricorrente ha sollevato censura anche con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sempre con riferimento alla credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente protezione ed anche tale profilo di doglianza è inammissibile, avendo dedotto in modo del tutto generico la violazione delle nome di legge sopra indicate, attraverso il richiamo delle disposizioni asseritamente disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dalla Corte di Appello e dal Tribunale, sebbene questa Corte abbia più volte affermato il principio, secondo il quale “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” se non nei limiti del vizio di motivazione come indicato dall’art. 360 c.p.c., comma, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. 24155/2017; 195/2016; 26110/2015), censura nella fattispecie in alcun modo formulata, ed “il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (cfr. Cass. 7394/2010);

1.20. il Tribunale ha dunque espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente, circa la situazione personale dello stesso, sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;

1.21. si tratta di un accertamento di fatto che non può essere in questa sede messo in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, che nella specie è stato malamente formulato;

1.22. in relazione alla doglianza di mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza il Collegio rileva che la censura si presta parimenti ad una valutazione di inammissibilità per la non specificità dei motivi proposti nel giudizio di cassazione, che non si fanno carico invero di segnalare quali siano stati i contenuti di allegazione dedotti in prime cure, curati in appello e diretti a sollecitare il dovere di cooperazione, non di sostituzione, istruttoria del Giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale;

1.23. la Corte territoriale ha infatti confermato sul punto la decisione di primo grado circa l’insussistenza di una situazione di conflitto armato nella regione di provenienza del richiedente, rilevando che ciò non era stato evidenziato neppure dalle stesse fonti menzionate da quest’ultimo, e le censure in fatto sulla situazione di pericolo, in cui invece verserebbe la Regione di provenienza per rischio terrorismo, sono state svolte del tutto genericamente ed in violazione del principio di specificità del ricorso, non avendo parte ricorrente precisato le circostanze dedotte in sede di appello, riportandone il contenuto nel ricorso per cassazione o indicando gli atti e i documenti attraverso cui sarebbero state prospettate;

1.24. anche la censura relativa alla protezione umanitaria è inammissibile, difettando parimenti nell’osservata tecnica di stesura del motivo ogni deduzione specifica sui contenuti del motivo di appello in forza di un percorso che è, piuttosto, quello di una diretta rivisitazione di norme e principi destinati a valere nella specie, tanto più che il ricorrente omette, pure di enunciare quali siano le sue specifiche vulnerabilità;

2. nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva dell’intimato;

3. deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, statuizione che la Corte è tenuta ad emettere in base al solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia (di inammissibilità, improcedibilità o rigetto del ricorso, principale o incidentale), senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte, come l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. n. 9660/2019)

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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