Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19870 del 29/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19870 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: DE STEFANO FRANCO

SENTENZA

sul ricorso 28261-2007 proposto da:
STUFFI DANIELA STFDNL46E71L736Z titolare dell’omonima
impresa individuale, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE G. MAZZINI 11, presso lo studio
dell’avvocato TOBIA RENATO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato BARONCINI CARLO
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

FRANCHI LUCIANO, domiciliato ex lege in ROMA, presso
la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, presso lo

1

Data pubblicazione: 29/08/2013

studio dell’avvocato

FERRI

FERDINANDO,

che

lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FARAON
ALBERTA giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

– intimati –

avverso la sentenza n.
D’APPELLO di VENEZIA,

1740/2006 della CORTE

depositata il 03/11/2006,

R.G.N. 858/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. FRANCO
DE STEFANO;
udito l’Avvocato RENATO TOBIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;

2

LAZZARIS PATRIZIA, ZUDDAS ENRICA;

Svolgimento del processo

1. Alle esecuzioni mobiliari riunite intentate da
Luciano Franchi e Patrizia Lazzaris in danno di Enrica
Zuddas si oppose Daniela Stuffi, ai sensi dell’art. 619
cod. proc. civ. e con ricorso dep. il 4.9.00 al tribunale

alcuni dei beni pignorati, cioè due trespoli di legno
(cc.dd. “guéridons”) ed un cassettone intarsiato del ‘600.
In particolare, ella addusse che, quale commerciante di
oggetti d’arte e di antiquariato, aveva consegnato, in data
7.5.99 ed alla Zuddas quale titolare di una galleria
d’arte, “in conto visione” i detti beni, in uno a numerosi
altri, ma che solo i primi non le erano stati restituiti.
Il procedente Franchi si costituì, negando fosse stato
assolto l’onere dell’opponente di provare la proprietà dei
beni e l’affidamento al debitore con atto di data certa
anteriore al pignoramento, neppure potendo controparte
giovarsi dell’eccezionale facoltà di provare per testi la
proprietà ai sensi dell’art. 621 cod. proc. civ., vista la
professione svolta.
Il tribunale di Treviso, con sentenza n. 1321 del
29.3.02, respinse l’opposizione e condannò l’opponente alle
spese di lite: affermando che la lettera di richiesta della
restituzione dei beni neppure rilevava, siccome successiva
al pignoramento, mentre la bolla di accompagnamento non
provava la proprietà dei medesimi e mancava la prova
dell’affidamento al debitore dei beni per un titolo diverso
dalla proprietà, conclusivamente rilevando la genericità e
l’irrilevanza dei capitoli di prova articolati.
3

di Treviso, sostenendo di essere proprietaria esclusiva di

Interpose gravame la Stuffi, che però la corte di
appello di Venezia respinse, con sentenza n. 1740 del
3.11.06: per la cassazione della quale ella ricorre ora,
affidandosi a cinque motivi, mentre degli intimati il solo
Franchi resiste con controricorso. E, per la pubblica

Corte al controricorrente l’avviso di fissazione di udienza
al superstite suo difensore, siccome nominato con pari
facoltà con l’altro, mancato ai vivi), la ricorrente
deposita memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione

2. Va premesso che, essendo la sentenza impugnata stata
pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla fattispecie
continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione (ed
in virtù della disciplina transitoria di cui all’art. 58,
comma quinto, della legge 18 giugno 2009, n. 69) l’art.
366-bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la rigorosa
interpretazione elaborata da questa Corte (Cass. 27 gennaio
2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887; Cass. 8
febbraio 2013, n. 3079). Pertanto:
2.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell’art. 360
cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità,
da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice
di merito; b) la sintetica indicazione della regola di
diritto applicata dg quel giudice; c) la diversa regola di
diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta
applicare al caso di specie (tra le molte, v.: Cass. Sez.
Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio
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udienza del 26.6.13 (notificato nella cancelleria di questa

2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8
novembre 2010, n. 22704); d) questioni pertinenti alla

ratio decidendi,

perché, in contrario, difetterebbero di

decisività (sulla necessità della pertinenza del quesito,
per tutte, v.: Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347;
Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre

2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
2.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno
formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono
consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo
del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente
ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo,
chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n.
16002; Cass. Sez. Un., 1 ° ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30
dicembre 2009, ord. n. 27680);
2.3. infine, è consentita la contemporanea formulazione,
nel medesimo quesito, di doglianze di violazione di norme
di diritto e di vizio motivazionale, ma soltanto a
condizione che ciascuna sia accompagnata dai rispettivi
quesiti e momenti di sintesi (per tutte: Cass. sez. un., 31
marzo 2009, n. 7770; Cass. 20 dicembre 2011, n. 27649).
/
(

Vanno ora singolarmente esaminati i motivi di doglianza.
3. Col primo motivo la ricorrente lamenta omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, quale la portata
5

f

probatoria della bolla di consegna circa il titolo per cui
i beni di proprietà dell’opponente si trovavano presso la
debitrice al momento del pignoramento.
Il controricorrente evidenzia come la corte territoriale
abbia rimarcato il carattere decisivo di altre circostanze

proprietà del consegnante, mentre la condotta della
ricevente, che aveva restituito soltanto i beni “non di suo
interesse” escludeva che i beni non restituiti potessero
ancora trovarsi presso la debitrice a titolo di “mera
detenzione”.
3.1. La doglianza è inammissibile: in violazione di
quanto ricordato sopra, al paragrafo 2.2, essa non è
assistita da alcun momento di sintesi o di riepilogo, tanto
meno dai rigorosi requisiti ivi indicati.
3.2. La medesima doglianza non coglierebbe, però,
neppure la ratio decidendi e sarebbe quindi non pertinente
o comunque irrilevante ai fini della decisione del ricorso:
la corte territoriale ha espressamente motivato nel senso
che, quand’anche fosse stata dotata di data certa,
circostanza che comunque in concreto esclude, la bolla di
accompagnamento non avrebbe dato la prova della proprietà
dei beni in capo all’opponente al momento della consegna,
né tanto meno quella della persistenza della detta
proprietà al momento del pignoramento, “avvenuto a distanza
di più di un anno dalla consegna dei mobili senza che nel
frattempo alcuna richiesta di restituzione” fosse mai stata
formulata (essendo la prima richiesta successiva al
pignoramento).
6

e rileva che comunque la consegna non dava prova della

4. I motivi dal secondo al quarto, per la loro
connessione, vanno esaminati congiuntamente.
4.1. Con il secondo motivo la ricorrente si duole, ad un
tempo, di “omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il

consegna circa il titolo di proprietà in capo all’opponente
dei beni pignorati” e di “violazione e falsa applicazione
del combinato disposto degli artt. 1141 e 1147 c.c. e
dell’art. 2728 c.c.”; e conclude col seguente quesito: Dica
la Suprema Corte adita se, in caso di procedimento di
opposizione di terzo all’esecuzione mobiliare, la prova
della proprietà del terzo sul bene pignorato possa essere
raggiunta pure con l’ausilio di mezzi presuntivi forniti
dalle caratteristiche del rapporto tra l’opponente e
l’esecutato, che dimostrino movendo dal disposto
dell’art. 1141 c.c. – il possesso del bene in capo al primo
e la mera detenzione del bene da parte del secondo, e ciò
nel caso in cui tale rapporto sia idoneo ad evidenziare che
l’opponente abbia la proprietà della cosa mobile sottoposta
ad esecuzione in guanto possessore della stessa in buona
fede, buona fede da presumersi fino a prova contrarla
secondo il disposto dell’art. 1147 c.c.
Al riguardo, il controricorrente analizza minutamente la
fattispecie decisa da Cass. 6492/86, invocata da
controparte, per escludere la ricorrenza dell’eccezione al
divieto di prova testimoniale in relazione alla professione
o commercio delle parti, come pure la rilevanza del
richiamo agli artt. 1141 e 1147 o 2728 cod. civ., per il
7

giudizio, quale la portata probatoria della bolla di

maggior rigore del regime probatorio richiesto nelle
opposizioni di terzo all’esecuzione.
4.2. Col terzo motivo la ricorrente si duole, in unico
contesto, di “omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il

testimoniale nei giudizi di opposizione di terzo
all’esecuzione” e di “violazione e falsa applicazione
dell’art. 621 c.p.c.”; e conclude col seguente quesito:
Dica la Suprema Corte adita se, in caso di procedimento di
opposizione di terzo all’esecuzione mobiliare, 11 canone di
verosimiglianza, che consente il ricorso alla prova
testimoniale del titolo dominicale in capo al terzo
opponente secondo la disposizione dell’art. 621 c.p.c.,
postuli come sufficiente un’indagine sulla professione o il
commercio del terzo o del debitore, oppure implichi una
vera e propria comparazione tra la professione/commercio
del terzo e del debitore, restando escluso in tutte le
ipotesi di identità di tali attività.
Il controricorrente ribatte condividendo la valutazione
della corte di appello, sull’impossibilità di superare la
necessità di una prova scritta mediante l’applicazione
dell’art. 621 cod. proc. civ.: in quanto, svolgendo sia il
terzo che il debitore la medesima attività, non poteva
apparire verosimile che i beni si trovassero presso il
secondo a titolo precario; sostiene che anche a fini
fiscali la cessione in proprietà dei beni alla destinataria
doveva ritenersi perfezionata; e ritiene significativa la
circostanza della protrazione dell’inerzia della
8

giudizio, quale la possibilità di ricorrere alla prova

consegnante per un tempo rilevante, cioè circa un anno,
anche dopo la restituzione di una buona parte dei beni
complessivamente e in origine consegnati in conto visione.
4.3. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, ad un
tempo, “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione

quale la valutazione come generiche, irrilevanti o
superflue delle istanze istruttorie ritualmente dedotte e
non ammesse” e di “violazione e falsa applicazione
dell’art. 244 c.p.c.”; e conclude col seguente quesito:
Dica la Suprema Corte adita se, in caso di richiesta di
prova testimoniale in ordine alla proprietà di un bene
mobile a seguito di un suo acquisto a titolo derivativo,
per il quale la legge non preveda il rispetto di alcuna
forma ad substantiam,

sia sufficiente ai sensi e per gli

effetti dell’art. 244 c.p.c. indicare la circostanza
dell’avvenuta conclusione del contratto ed i nominativi dei
soggetti contraenti.
Il controricorrente eccepisce, in via preliminare, la
non conformità del quesito di diritto alla previsione
dell’art. 366-bis cod. proc. civ., per poi ribadire
l’inammissibilità delle prove orali, in quanto in almeno un
caso involgenti un giudizio di natura giuridica ed in altro
caso relative a fatti pacifici: con conseguente inutilità
della chiesta consulenza tecnica di ufficio.
4.4. Va, preliminarmente, rilevato come le doglianze di
vizio motivazionale, sia pure in astratto ammissibilmente
proposte in uno a quelle di violazione di norme di diritto
(per quanto detto al punto 2.3), sono inammissibili, perché
9

circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,

invece prive di separato ed autonomo momento di sintesi o
di riepilogo, secondo quanto ricordato al punto 2.2.
4.5. Ciò posto, argomento dirimente è che la corte
territoriale, a pag. 15 della sentenza, rileva che in ogni
caso – e quindi con argomento ulteriore rispetto agli altri
della proprietà della

Stuffi sui beni a fronte dell’incontroversa presenza dei
beni medesimi presso l’azienda della debitrice al momento
del pignoramento (oltre, cioè, la mancanza di opponibile
prova di un titolo, avente data certa anteriore al
pignoramento, che documenti la presenza dei beni presso il
debitore per un titolo diverso dal diritto di proprietà).
Se tale è una delle tesi su cui si fonda la

ratio

decidendi del rigetto dell’opposizione, è evidente che essa
avrebbe di per sé sola considerata efficacia determinante
ai fini della decisione: ed allora diventa irrilevante ogni
indagine sull’originaria sussistenza o meno della proprietà
dei beni mobili al momento della consegna, di circa un anno
anteriore al pignoramento, come pure della prova o meno di
un titolo diverso da quello di proprietà.
4.6. E tutto ciò a tacere del fatto che la prova
testimoniale – se ammissibile (ai fini della proprietà sui
beni, ma non anche della detenzione da parte del debitore a
titolo diverso dalla proprietà) ai sensi dell’art. 621 cod.
proc. civ., questione che si lascia impregiudicata – non
sarebbe neppure, nella capitolazione riportata in ricorso
(pag. 4), idonea a suffragare la tesi della proprietà in
capo alla Stuffi al momento della consegna e, soprattutto,
della persistenza di quella fino al pignoramento.

10

– non vi è prova della persistenza

Tale prova, come correttamente rilevato dalla corte
territoriale (pag. 16 della sentenza), si fonderebbe su
inammissibili qualificazioni giuridiche, sempre vietate ai
testi; infatti, costoro potrebbero dare conto soltanto di
fatti storici da loro materialmente percepiti, ma mai

ad oggetto la sussistenza di una “proprietà” su beni,
ovvero relative al fatto che essi erano stati “ceduti” alla
consegnante, senza alcuna altra specificazione su causali e
tempi della cessione, ovvero ancora al fatto che essi erano
rimasti “nella disponibilità” di quella.
Le doglianze complessivamente agitate coi tre motivi in
esame non sono quindi pertinenti alla

ratio decidendi

appena indicata e, così, vanno qualificate inammissibili.
5. Con il quinto motivo, infine, la ricorrente si duole,
ad un sol tempo, di “violazione e falsa applicazione
dell’art. 89 c.p.c.” e di “omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione”, concludendo col seguente
quesito:

Dica la Suprema Corte se, nell’ambito

dell’istituto della cancellazione di espressioni
sconvenienti od offensive contenute negli atti delle
controparti, previsto dall’art. 89 c.p.c., rientrino sempre
quelle parole che – secondo la loro mera disamina sotto il
profilo lessicale – abbiano una connotazione dispregiativa
secondo i più autorevoli dizionari della lingua italiana, e
ciò a prescindere da ogni ulteriore indagine circa
l’intento offensivo della parte che le ha profferite

[sic],

soprattutto qualora le stesse rivestano una portata

11

validamente formulare, ad alcun titolo, asserzioni aventi

astrattamente

calunniosa

e

non involgano

le questioni

oggetto della controversia.

Il controricorrente, dal canto suo, condivide la
motivazione della corte di appello sull’assenza, nelle
espressioni indicate (che, dall’esame del ricorso, si

tra il terzo e la debitrice in danno della creditrice”,
“eludere la normativa fiscale”), di qualunque carattere
offensivo, intendendo egli, con quelle, soltanto inquadrare
la condotta di controparte, sia pure connotandola
negativamente.
5.1. Anche quanto a questa complessa doglianza va
rilevata la mancanza di un autonomo momento di sintesi o
riepilogo, tanto meno dotato dei rigorosi requisiti di cui
al punto 2.2, sicché la doglianza di vizio motivazionale che in astratto avrebbe potuto essere formulata in uno a
quella di violazione di norme di diritto, secondo quanto
indicato al punto 2.3, ma appunto ove assistita da quanto
previsto dal capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ.

è inammissibile.
5.2. Quanto alla residua doglianza di violazione di
norme di diritto, essa – se non per la mancata
riproduzione, nel quesito di diritto, delle peculiarità del
caso di specie e, soprattutto, per l’indicazione delle
espressioni ritenute dispregiativamente connotate secondo i
più autorevoli dizionari della lingua italiana – è
inammissibile: il provvedimento di rigetto dell’istanza di
cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive
contenute nella sentenza impugnata ha carattere ordinatorio
12

individuano in: “sedicente mercante d’arte”, “collusione

e non incide sul merito della causa, al quale è anzi
estraneo (o

perfino dal quale è avulso) e, pertanto, non è
2
/
suscettibile d’impugnazione con ricorso per cassazione
(Cass. 16 gennaio 2009, n. 1018; Cass. 15 maggio 2001, n.

6660; Cass. 9 giugno 1998, n. 5710).

valutazione discrezionale del giudice del merito
l’apprezzamento della continenza delle espressioni
adoperate in rapporto alle esigenze del diritto di difesa
(Cass. 29 marzo 2007, n. 7731; Cass. 26 marzo 2004, n.
6077; Cass. 30 marzo 2001, n. 4742; relative, però, al caso
di ordine di cancellazione effettivamente impartito).
6. Il ricorso, inammissibili tutti i motivi, va quindi
rigettato e la soccombente ricorrente condannata al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore
della controparte.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna Daniela Stuffi al
pagamento, in favore di Luciano Franchi, delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in C 3.200,00, di cui C
200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
terza sezione civile della Corte suprema di cassazione,
addì 26 giugno 2013.

E tanto a prescindere dal fatto che rientrerebbe nella

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