Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19867 del 29/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19867 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: VINCENTI ENZO

Data pubblicazione: 29/08/2013

SENTENZA

sul ricorso 28060-2007 proposto da:
SANITAS FISIOKINESITERAPIA DI PROVENZI GIAN FRANCO
& C. S.A.S. 00682020193 in persona del socio
accomandatario e legale rappresentante pro tempore
Sig. GIAN FRANCO PROVENZI, PROVENZI GIAN FRANCO
PRVGFR49P161827T, elettivamente domiciliati in
2013
1481

ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 23, presso lo studio
dell’avvocato NATALE MICHELA, rappresentati e
difesi dagli avvocati TAVORMINA VALERIO, TANZARELLA
GIANCARLO giusta delega in atti;
ricorrenti

(

1

v

contro

REGIONE LOMBARDIA 80050050154 in persona del
Presidente pro tempore della Giunta regionale Dott.
ROBERTO FORMIGONI, elettivamente domiciliata in
ROMA, LARGO MESSICO 7, presso lo studio

rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ORLANDI MARINELLA giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

GESTIONE

LIQUIDATORIA

DELL’AZIENDA

SANITARIA

USSL/24 DI CREMA;
– intimata –

sul ricorso 32162-2007 proposto da:
GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA SOPPRESSA USSL/24 DI
CREMA 01151550199 in persona del Direttore
sanitario p.t. dell’Azienda Ospedaliera di CREMA,
elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO BACONE 9,
presso lo studio dell’avvocato AVOLIO ANTONIETTA,
rappresentato e difeso dall’avvocato AVOLIO
VINCENZO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

SANITAS FISIOKINESITERAPIA DI PROVENZI GIAN FRANCO
& C. S.A.S. in persona del socio accomandatario e
legale rappresentante pro tempore Signor GIAN

2

dell’avvocato TEDESCHINI FEDERICO, che la

FRANCO

PROVENZI,

PROVENZI

GIAN

FRANCO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO
MIRABELLO 23, presso lo studio dell’avvocato NATALE
MICHELA, rappresentati e difesi dagli avvocati
TAVORMINA VALERIO, TANZANELLA GIANCARLO giusta

– controricorrente nonchè contro

TORCHIO SILVANO, REGIONE LOMBARDIA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 2240/2006 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, • depositata il 19/09/2006,
R.G.N. 252/2000;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 25/06/2013 dal Consigliere
Dott. ENZO VINCENTI;
udito l’Avvocato MIRIAM BOSURGI per delega;
udito l’Avvocato PAOLA CONTICIANI per delega;
udito l’Avvocato VITTORIA LUCIANO per delega;

delega in atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale, assorbito il
ricorso incidentale;

3

é

RITENUTO IN FATTO
l. – Il dottor Torchio, titolare in Cremona, già prima
del 1980, di ambulatorio medico specialistico di
fisiokinesiterapia convenzionato con la Regione Lombardia,

convenzionale venisse trasferito a seguito di
trasformazione della propria attività da gestione individuale
in societaria – alla Sanitas Fisiokinesiterapia di Provenzi &
C. s.a.s. e poi, con ulteriore istanza del 15 settembre 1981,
di poter trasferire l’esercizio dell’attività convenzionata
da Cremona nel Comune di Soncino.
La Regione Lombardia, accolta la prima istanza, aveva
rigettato la seconda, in forza del parere negativo espresso
dal comitato di gestione della USSL n. 53 di Crema, nel cui
territorio si trovava il Comune di Soncino; anche una
successiva analoga istanza di trasferimento dell’attività
convenzionata veniva rigettata dalla Regione.
Entrambi detti provvedimenti negativi venivano impugnati
dinanzi al giudice amministrativo ed annullati con sentenze
definitive del Consiglio di Stato. Sicché, con delibera del
21 settembre 1995, la USSL n. 24 di Crema (succeduta alla
precedente USSL), su specifica disposizione regionale,
autorizzava il trasferimento di detta attività dalla data di
esecutività del provvedimento; tuttavia, a seguito di ricorso
per l’esecuzione del giudicato proposto dagli interessati, il
TAR per la Lombardia disponeva l’efficacia

ex tunc

del

trasferimento medesimo.
Alla luce di quanto evidenziato, nel luglio 1996, la
Sanitas Fisiokinesiterapia di Provenzi & C. s.a.s., Silvano
Torchio e Gianfranco Provenzi convenivano in giudizio,
dinanzi al Tribunale di Milano, la Regione Lombardia e
l’Azienda Sanitaria USSL n. 24 di Crema per
4

sentirle

chiedeva, il 3 novembre 1980, che detto rapporto

condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni
ì patiti.
2. – Nel contraddittorio delle parti, il Tribunale adito
rigettava la domanda attorea e la sentenza veniva impugnata
dai soccombenti Sanitas s.a.s., Torchio e Provenzi dinanzi
alla Corte di appello di Milano, la quale, a sua volta,

settembre 2006.
2.1. – La Corte territoriale, disattesa l’eccezione di
carenza di giurisdizione del giudice ordinario proposta dalla
USSL n. 24 di Crema, osservava che gli appellanti erano
titolari di un interesse legittimo pretensivo al
trasferimento dell’attività convenzionata di
fisiokinesiterapia da Cremona a Soncino, essendo la relativa
istanza volta ad ottenere “un provvedimento favorevole, di
sviluppo della sfera giuridica, personale e patrimoniale, del
soggetto istante”. Ciò in considerazione anche del fatto che
l’art. l dell’accordo collettivo nazionale del 22 febbraio
1980, reso esecutivo con d.P.R. 16 maggio 1980, “non
prevedeva che il rapporto convenzionale già esistente con i
soppressi enti mutualistici, venisse esteso a livello
regionale”, sicché la localizzazione dei medici convenzionati
in base all’elenco predisposto dalla Regione aveva una
funzione non solo di pubblicità, ma caratterizzante del
rapporto, tale che, in base all’art. 6 del d.P.R. citato,
l’instaurazione di nuovi rapporti convenzionali doveva
rispettare la programmazione regionale. In definitiva, non
poteva sostenersi che il medico o la struttura convenzionata
avessero diritto ad esercitare l’attività ovunque lo
richiedessero; né, del resto, gli appellanti avevano indicato
quale fosse la normativa, anche convenzionale, che prevedesse
un siffatto diritto.
Peraltro, non poteva rilevare la circostanza che la
struttura Sanitas fosse già convenzionata, giacché il
convenzionamento era stato rilasciato per l’esercizio della
5

respingeva l’appello con sentenza resa pubblica il 19

relativa attività in Cremona, per cui l’istanza per poter
esercitare la medesima attività in Soncino era da
qualificarsi come “nuova richiesta di convenzionamento, in
relazione alla quale la Regione deve esercitare il proprio
potere discrezionale per valutare l’esistenza di un bisogno
da soddisfare in tale località”. Infine, che gli interessi

confermato sia dagli atti amministrativi annullati, che dagli
stessi provvedimenti giurisdizionali di annullamento, dai
quali tutti emergeva che oggetto di esame era “unicamente
l’interesse pubblico”.
2.2. – La Corte di appello escludeva, altresì, che la
pretesa risarcitoria potesse fondarsi sulla dedotta esistenza
di un reato di abuso d’ufficio nel comportamento dei
funzionari della P.A., ritenendo anzitutto che la fattispecie
incriminatrice – poiché i provvedimenti rilevanti al riguardo
erano del 20 aprile 1980 (nota dell’assessorato regionale
emessa su parere negativo della USSL di Crema) e del 10
febbraio 1989 (nota regionale emessa ancora su parere
negativo della USSL di Crema) – era da assumersi, ai sensi
dell’art. 2 cod. pen., in base all’art. 323 nella
formulazione antecedente alla modifica introdotta dalla legge
n. 86 del 1990.
Il giudice del gravame reputava, pertanto, insussistente
l’elemento materiale del reato, posto che i provvedimenti
amministrativi erano stati adottati “sulla base di
valutazioni discrezionali che intendevano conseguire solo
l’interesse pubblico”. Inoltre, lo stesso giudice rilevava
che la motivazione della sentenza n. 1577 del 1993 del
Consiglio di Stato – “unico elemento indicato a prova degli
asseriti delitti” – non ipotizzava in alcun modo che la
volontà della P.A. fosse diretta ad avvantaggiare le
strutture già convenzionate, “ma solo un possibile vantaggio
a queste derivante da una azione posta in essere, in ogni
caso, nell’intento di non pregiudicare il pubblico interesse,
6

fatti valere in giudizio avessero natura pretensiva era

intento incompatibile con l’elemento soggettivo previsto
dalla norma penale astrattamente applicabile ai provvedimenti
amministrativi in esame”.
2.3. – Quanto infine alla postulata risarcibilità degli
interessi legittimi lesi dalla P.A., la Corte territoriale
ribadiva che quelli fatti valere in giudizio avevano

ante,

ex

con giudizio prognostico in riferimento alla posizione

degli interessati prima dell’adozione dell’atto poi
dichiarato illegittimo, “se si era in presenza di una
situazione suscettibile di determinare un oggettivo
affidamento circa la sua conclusione positiva”.
Nella

specie,

dunque,

occorreva verificare la

compatibilità del trasferimento richiesto “rispetto ai
bisogni di assistenza sanitaria dell’ambito territoriale nel
quale il trasferimento era richiesto” ed in relazione a ciò
era assente, nella normativa di settore, “qualsiasi elemento
che potesse far ritenere l’istanza accoglibile o non
accoglibile”, rimanendo in capo alla P.A. competente piena
discrezionalità, tanto che essa, solo “con autonomo
provvedimento, delibera del 21 settembre 1995 … ha
autorizzato il trasferimento della attività convenzionata”.
In ogni caso, la Corte di appello escludeva che potesse
ravvisarsi il dolo o la colpa dell’Amministrazione, posto che
non era provato “il perseguimento e l’intenzionalità … di
avvantaggiare le strutture convenzionate già operanti in
Soncino”, essendo le determinazioni assunte dalla Regione
“dettate e motivate dall’intento di perseguire il pubblico
interesse” e cioè l’inopportunità di attivare nuovi rapporti
convenzionali nel territorio di Soncino per non esservi
carenza di offerta di prestazioni di fisiokinesiterapia.
Sicché, “la circostanza che nei provvedimenti di annullamento
tale intento sia stato ritenuto espresso in modo non valido,
per la contradditorietà dei provvedimenti stessi, non può
costituire colpa, né, tanto meno, dolo”.
7

carattere pretensivo e, pertanto, era necessario valutare,

3. – Per la cassazione di tale sentenza congiuntamente
ricorrono Sanitas Fisiokinesiterapia di Provenzi & C. s.a.s.,
Silvano Torchio e Gianfranco Provenzi, affidando le sorti
dell’impugnazione a dieci motivi.
Resistono con controricorso la Regione Lombardia e la
Gestione liquidatoria della soppressa USSL n. 24 di Crema, la

un unico motivo, cui i ricorrenti principali hanno resistito
con controricorso.
I ricorrenti e la Gestione liquidatoria della USSL 24 di
Crema hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – I ricorsi, principale ed incidentale, in quanto
proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti
ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.
2.

– Con il primo mezzo del ricorso principale,

assistito da quesito di diritto, è denunciata “violazione e
falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per aver la Corte
ritenuto che la posizione giuridica in capo al soggetto che
sia stato leso dall’adozione di un provvedimento sfavorevole
illegittimo da parte della pubblica amministrazione debba
essere qualificata come interesse legittimo oppositivo solo
se il provvedimento sfavorevole non sia stato adottato a
seguito di richiesta di provvedimento favorevole da parte
dell’interessato”.
I ricorrenti evidenziano di aver agito per ottenere il
risarcimento del danno nei confronti delle amministrazioni
convenute per aver esse adottato provvedimenti amministrativi
illegittimi, come tali annullati dal giudice amministrativo,
che hanno impedito per tredici anni alla s.a.s. Sanitas “di
erogare presso il proprio laboratorio medico in Soncino
prestazioni sanitarie di fisiokinesiterapia in regime di
convenzionamento con il servizio sanitario nazionale”.
Per contro, la Corte territoriale avrebbe errato
nell’escludere che la domanda fosse sostanziata da un
8

quale ha, altresì, proposto ricorso incidentale sulla base di

interesse amministrativo oppositivo e ciò soltanto per il
“fatto che il provvedimento sfavorevole illegittimo sia
preceduto da un’istanza di provvedimento favorevole la
posizione dell’istante sarebbe necessariamente diretta a
conseguire un’utilità che ancora non fa parte del suo
patrimonio”, così valutando soltanto “sotto il profilo
formale” – e non già sostanziale come sarebbe giuridicamente

amministrazione, per cui ove il privato, quand’anche agendo
per la conservazione della propria sfera giuridica, abbia
avuto la malaugurata idea di proporre un’istanza qualsiasi
all’amministrazione, per ciò solo la sua posizione verrebbe
ad essere degradata a quella di interesse legittimo
pretensivo”. Invero, il giudice di appello avrebbe dovuto
“considerare se l’oggetto dell’istanza (la possibilità di
trasferire l’esercizio della convenzione da Cremona a
Soncino) appartenesse già o meno alla sfera giuridica
dell’istante” e nel far ciò avrebbe dovuto “considerare se,
alla luce della complessiva normativa anche di settore …
l’esistenza del rapporto di convenzionamento in capo a
Sanitas conferisse o meno a quest’ultima il diritto al
trasferimento da Cremona a Soncino, quanto meno a seguito del
riconoscimento da parte della pubblica amministrazione – in
assenza dell’adozione degli strumenti di programmazione
previsti dalla normativa regionale – dell’insufficienza delle
strutture pubbliche a coprire il fabbisogno di dette
prestazioni sanitarie in Soncino, o quanto meno a seguito già
della prima sentenza definitiva di annullamento del diniego
di trasferimento”.
3. – Con il secondo mezzo, assistito da quesito di
diritto, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art.
2043 cod. civ., degli artt. l, 3, 5 e 6 dell’accordo
collettivo nazionale 22 febbraio 1980, reso esecutivo con
d.P.R. 16 maggio 1980, degli artt. 25 e 48 della legge n. 833
del 1978, degli artt. 16, 18, 19 e 20 della legge della
9

corretto rapporti tra privato e pubblica

Regione Lombardia n. 39 del 1980, nonché dell’art. 2909 cod.
civ. e dell’art. 37 della legge n. 1034 del 1971 e delle
sentenze del Consiglio di Stato n. 238/87 e n. 1157/93 e del
Tar Lombardia n. 601/91, n. 930/95 e n. 1409/95, “per aver la
Corte escluso che in forza della normativa anche di settore
vigente all’epoca dei fatti di cui è causa Sanitas avesse

(e che quindi la sua posizione rispetto al diniego era di
interesse legittimo oppositivo)”.
I ricorrenti sostengono che, con la riforma del

S.S.N.

ad opera della legge n. 833 del 1978, le competenze già in
capo ai disciolti enti mutualistici erano passate alle
Regioni, con l’estensione dunque all’ambito regionale delle
convenzioni sanitarie già in essere, come evincentesi dal
combinato disposto dell’art. l dell’accordo nazionale
recepito con d.P.R. 16 maggio 1980 e dell’art. 48 della legge
n. 833 del 1978, sicché il professionista o la struttura
convenzionati (il primo potendo anche trasferire il rapporto
convenzionale alla seconda, ai sensi dell’art. 2 del citato
d.P.R.) potevano erogare prestazioni sanitarie anche ad
utenti iscritti in aziende sanitarie operanti in ambiti
territoriale diversi da quelli in cui operava la struttura
(art. 3 d.P.R. del 1980), in armonia con il principio,
garantito anche dall’art. 25 della legge n. 833, della libera
scelta del medico specialista. In tale contesto, differente
da quello delineato per i medici generici, la previsione,
nello stesso citato d.P.R. del 1980, di un elenco su base
regionale di soggetti convenzionati svolgeva soltanto una
funzione di pubblicità dei nominativi dei medici titolari del
rapporto convenzionato, ma non ne limitava l’operatività. Di
qui, il silenzio della normativa, anche regionale, su un
controllo preventivo della Regione in ordine alla ubicazione
del luogo di attività dello specialista convenzionato, in
linea con l’assetto complessivo che, ai sensi dell’art. 48
della legge n. 833 del 1978, aveva indotto la giurisprudenza
10

diritto al trasferimento dell’attività da Cremona a Soncino

di legittimità ad inquadrare nel rapporto di collaborazione
di diritto privato quello tra medici specialisti
convenzionati e USSL, con conseguente posizione di diritto
soggettivo non affievolibile in capo ai primi. Il potere
organizzatorio della Regione era dunque circoscritto,
dall’art. 6 del d.P.R. del 1980, solo alla “instaurazione di
nuovi rapporti convenzionali” e non per quelli già esistenti,

limitazione del campo di operatività della convenzione al
luogo di localizzazione di cui ai richiamati elenchi
regionali, non potendo la Regione valutare “caso per caso”,
ma soltanto in forza della generale predisposizione di piani
sanitari regionali e locali, che, nella specie, era assente,
mentre sussisteva il riconoscimento, da parte della stessa
Amministrazione, “di un fabbisogno di prestazioni sanitaria
in Soncino”. Peraltro, l’art. 16 della legge regionale
lombarda n. 39 del 1980, nel conferire alla Regione il potere
di determinare le istituzioni private da convenzionare,
attribuiva priorità a quelle già convenzionate e tale
preferenza la stessa giurisprudenza di legittimità aveva
considerato – ad es. per la copertura delle zone carenti come un vero diritto soggettivo al trasferimento dalla
giurisprudenza di legittimità. Infine, ulteriore vincolo ai
poteri dell’Amministrazione regionale, quand’anche
discrezionali, derivava dalle decisioni del Consiglio di
Stato passate in giudicato, con la conseguenza che
l’Amministrazione stessa non avrebbe dovuto reiterare, in
sede di adozione dei provvedimenti, i vizi già accertati dal
giudice amministrativo, ma, già a seguito della sentenza del
1987, avrebbe dovuto adottare senz’altro il provvedimento
richiesto dall’interessato.
La Corte territoriale avrebbe, dunque, “completamente
stravolti e disattesi” i principi sopra illustrati.

11

là dove, in ogni caso, detto potere non riguardava la

3.1. – I primi due motivi, che possono essere
congiuntamente esaminati in quanto strettamente connessi,
sono infondati.
3.2.1. – Invero, la sostanza della censura che viene
veicolata dal secondo motivo dà contezza, di per sé, della
inconsistenza del primo mezzo, posto che detta censura

forza della quale, all’esito di un articolato percorso
argomentativo (del quale si è fornita la sintesi al punto
2.1. del “Ritenuto in fatto”), si era escluso che il medico o
la struttura convenzionata avessero diritto ad esercitare
l’attività ovunque lo richiedessero. Di qui, pertanto,
l’assenza di valutazioni formalistiche, scisse dalla sostanza
dell’interesse vantato dagli originari attori, bensì la
conseguenziale e coerente qualificazione, ad opera del
giudice di appello, della situazione fatta valere dai
predetti in termini di interesse legittimo pretensivo, in
quanto intesa ad ampliare la loro sfera giuridica.
3.2.2. – Sulla doglianza, poi, che investe direttamente
la anzidetta qualificazione, si osserva quanto segue.
La Corte territoriale – come già evidenziato (punto 2.1.
del “Ritenuto in fatto”) – ha ritenuto che l’accordo
collettivo nazionale del 22 febbraio 1980, reso esecutivo con
d.P.R. 16 maggio 1980, non prevedesse l’estensione a livello
regionale del rapporto medico convenzionale già esistente
presso i soppressi enti mutualistici, con la conseguenza che
la localizzazione dei medici convenzionati in base all’elenco
predisposto dalla Regione ne caratterizzasse il rapporto
stesso, tale che, in base all’art. 6 del d.P.R. citato,
l’instaurazione di nuovi rapporti convenzionali doveva
rispettare la programmazione regionale. Di qui anche la
qualificazione come “nuova richiesta di convenzionamento”
della istanza presentata dalla Sanitas s.a.s. di poter
esercitare in Soncino la medesima attività per cui era
convenzionata in Cremona, in relazione alla quale la Regione
12

riguarda proprio la statuizione della Corte territoriale in

disponeva del “potere discrezionale per valutare l’esistenza
di un bisogno da soddisfare in tale località”.
Un siffatto approdo ermeneutico – con le precisazioni ed
integrazioni consentite a questa Corte dall’art. 384 cod.
proc. civ., in ragione della natura del vizio dedotto
(violazione di norme di diritto) – si sottrae alla denuncia

Va, anzitutto, escluso che la normativa primaria
statale, applicabile

ratione temporis –

legge 23 dicembre

1978, n. 833 – contempli un diritto ad esercitare l’attività
medico specialistica convenzionata con il Servizio Sanitario
Nazionale

(SSN)

là dove il medico (o la struttura) meglio

ritenga e ciò anche in riferimento all’ambito territoriale
infraregionale. Non solo l’art. 25 della citata legge n. 833
del 1978, in tema di prestazioni specialistiche, nulla
positivamente afferma al riguardo, ma esso si innesta,
comunque, in un complesso disegno organizzatorio che, tra
l’altro (artt. 11, 12 e 14), affida alle Regioni la
competenza a predisporre piani sanitari ed a delimitare, in
base a criteri determinati, gli ambiti territoriali delle
unità sanitarie locali. In un siffatto contesto è, quindi,
assicurato (artt. 19 e 48) il diritto alla libera scelta del
medico e del luogo di cura nei limiti oggettivi
dell’organizzazione dei servizi sanitari in capo agli utenti
del

SSN,

iscritti in appositi elenchi periodicamente

aggiornati presso l’unità sanitaria locale nel cui territorio
hanno la residenza. Diritto, questo alla libera scelta del
medico, che, per l’appunto, riguarda il paziente e non già
chi fornisce la prestazione sanitaria convenzionata, anche
quanto alla scelta della sua localizzazione territoriale.
Né il diritto invocato dai ricorrenti è desumibile ;
dall’art. 48 della stessa legge del 1978 – recante la
disciplina di principio concernente il personale a rapporto
convenzionale con il SSN – e ciò anche alla luce degli stessi
13

dei ricorrenti.

orientamenti espressi in materia da questa Corte, seppure in
fattispecie non sovrapponibili a quella in esame.
Invero, l’affermata natura privatistica del rapporto di
cui al citato art. 48 si fonda, per l’appunto, sull’esistenza
di una convenzione stipulata tra USL e medico, la quale mutua
i contenuti di fondo dall’accordo collettivo recepito in
apposito decreto presidenziale (nel nostro caso, il d.P.R. 16

della convenzione, riferendosi all’esercizio di un potere
discrezionale della Pubblica Amministrazione – potere che
deve essere esercitato nel rispetto della normativa che
disciplina tale attività amministrativa – gli aspiranti
vengono a trovarsi in una posizione di interesse legittimo
(Cass., sez. un., 22 novembre 1996, n. 10324).
In particolare, ciò è stato ritenuto in relazione alla
procedura per il conferimento degli incarichi ai medici
generici convenzionati, la quale presuppone che siano
individuate le c.d. zone carenti (e che l’amministrazione
ritenga di dover ricoprire) e che siano predisposte apposite
graduatorie, secondo le regole previste dalla normativa di
settore, per la formulazione delle quali vi possono essere
anche spazi per una valutazione discrezionale dei titoli
fatti valere dai singoli candidati (Cass., sez. un., 25
maggio 1998, n. 5202). Orbene, soltanto una volta che la
graduatoria sia stata definita, l’amministrazione deve
procedere alle convenzioni di diritto privato sulla base
dell’ordine progressivo di questa e delle preferenze
formulate dai medici interessati, per cui non vi è più spazio
per l’ esercizio di un potere discrezionale, che si ponga in
deroga alla graduatoria stessa (Cass., sez. un., 21 febbraio
2002, n. 2512;; Cass., sez. un., 2 aprile 2007, n. 8087;
analogamente si è ritenuto per il cd. trasferimento nella
zona carente: Cass., sez. un., 13 gennaio 2003, n. 330).
Al di là dei connotati singolari delle fattispecie, è
significativo il principio per cui solo il rapporto
14

maggio 1980). Tuttavia, nella fase che precede la stipula

convenzionale in atto dà sicuramente luogo a situazioni di
diritto soggettivo e non altrettanto la fase che ne precede
l’instaurazione. Sicché, è altrettanto significativo che, nel
caso in esame, l’azione risarcitoria degli originari attori
muova da una istanza alla Regione Lombardia di poter
esercitare nel Comune di Soncino l’attività medicospecialistica la cui convenzione riguardava l’ambito

evocata, o esibita nei suoi contenuti disciplinatori, la
convenzione stessa.
Inoltre, neppure dalla legislazione regionale si
traggono elementi di sostegno alla tesi dei ricorrenti.
Essi invocano, in particolare, l’art. 16, comma sesto,
della legge della Regione Lombardia 11 aprile 1980, n. 39, il
quale dispone che: “La regione, nell’ambito dei piani
sanitari e socio-assistenziali, determina le istituzioni
private da convenzionare, tenendo conto prioritariamente di
quelle già convenzionate”. Tuttavia, la disposizione non può
riguardare il rapporto di convenzionamento sul quale fanno
leva le pretese attoree, in quanto assunto e qualificato ai
sensi e per gli effetti di cui all’art. 48 della legge n.
883 del 1978, giacché essa si riferisce alle istituzioni
private e cioè alle strutture convenzionate ai sensi
dell’art. 44 delle medesima

legge

n. 833 e cioè alle

convenzioni fra le unità sanitarie locali e le case di cura o
le minori strutture private (ambulatori, centri di
diagnostica strumentale, laboratori, gabinetti specialistici)
che hanno natura di contratti di diritto pubblico che danno
vita a rapporti qualificabili come concessioni amministrative
(tra le altre, Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28501).
Invero, dalla legge regionale n. 39 del 1980 si evince
che l’erogazione delle prestazioni specialistiche è
individuata a livello zonale (art. 8) e che alla Regione è
affidata (art. 19) la programmazione generale sanitaria e, in
base a questa, ai responsabili zonali è demandata la
15

territoriale del Comune di Cremona, senza che sia stata

programmazione locale anche dei servizi e presidi
convenzionati (art. 20), là dove tra i servizi sono incluse
le prestazioni specialistiche (art. 3). Dunque, proprio in
ragione di un siffatto potere programmatorio sanitario in
capo alla P.A. – organizzato per ambiti di competenza – non
poteva, in forza della legislazione regionale di settore,

struttura convenzionata in Cremona di trasferire la propria
attività medico-specialisitica in Soncino.
Né un tale diritto era affermato dal d.P.R. 16 maggio
1980, giacché, in base all’art. l, alla conferma del rapporto
convenzionale con enti preesistenti al

SSN,

“ed esteso a

tutti gli enti erogatori con effetto dal l ° gennaio 1980”,
seguiva la predisposizione, da parte era dalla Regione, di un
“elenco dei professionisti e dei presidi confermati nel
rapporto convenzionale, distinti per branca e per provincia o
diverso ambito territoriale”; e ciò aveva effetto anche in
relazione all’ipotesi in cui il convenzionamento, ai sensi
dell’art. 2, transitava da una gestione individuale ad una
societaria (come avvenuto nella specie).
Del resto, un tale assetto, che

come visto –

contemplava la presenza di competenze programmatorie
regionali (e non solo), era confermato dalla disposizione
(art. 6) che stabiliva per l’instaurazione di nuovi rapporti
convenzionali il rispetto delle “linee di programmazione
sanitaria” e la subordinazione “alla preventiva
autorizzazione regionale”.
Peraltro,

la previsione

stessa di un potere

programmatorio generale in materia sanitaria da parte della
Regione – seppure non esercitato in concreto – non poteva, di
per sé, far sì che la posizione di interesse legittimo
pretensivo degli istanti mutasse in diritto soggettivo,
giacché l’Amministrazione manteneva il correlativo potere
discrezionale, da esercitarsi in forza di una ponderazione
più stretta e cioè non arbitrariamente caso per caso “con un
16

assumersi l’esistenza di un diritto soggettivo in capo alla

non meglio definito fabbisogno sanitario della zona” (così il
precedente richiamato nello stesso ricorso, Cons. Stato, sez.
V, 11 febbraio 1999, n. 158).
Emerge, dunque, dal complesso degli elementi innanzi
evidenziati un principio di non automaticità dell’ampliamento
o della modificazione della convenzione quanto alle sedi in
cui il servizio viene erogato, tenuto conto che la

della P.A. competente deve precedere la scelta di
convenzionarsi, le modalità del convenzionamento, le modalità
di prestazione del servizio e la dislocazione territoriale
delle strutture erogatrici. Ciò in quanto spetta all’ente,
che presta l’assistenza sanitaria (sia pure tramite di
soggetti esterni) e ne sopporta i costi, la gestione
economica e funzionale del servizio, anche con riferimento
alla opportuna dislocazione territoriale del medesimo in
relazione alla domanda dell’utenza. E trattasi di un assetto,
questo, che ha trovato conferma, ed anzi implementazione, nel
successivo svolgersi della legislazione sanitaria, attraverso
l’introduzione del cd. sistema di “accreditamento” da parte
del d.lgs. n. 502 del 1992, poi novellato dal d.lgs. n. 229
del 1999, esaltandosi la funzione autorizzatoria regionale,
nell’ambito della programmazione sanitaria (segnatamente,
art. 8-ter).
Nella delineata ottica trova, quindi, giustificazione la
stessa affermazione della Corte territoriale per cui la
richiesta della Sanitas s.a.s. di esercitare attività medica
specialistica in Soncino equivaleva alla richiesta di una
nuova convenzione, ai sensi del citato art. 6 del d.P.R. 16
maggio 1980, soggetta all’autorizzazione regionale.
Nondimeno, risulta coerente con quanto complessivamente
evidenziato anche l’argomentazione, fatta propria dalla Corte
di appello, secondo cui la consistenza di interesse legittimo
della posizione vantata dalla Sanitas s.a.s. sarebbe
confortata dalle stesse pronunce dei giudici amministrativi
17

valutazione dell’utilità degli interessi sanitari da parte

che si sono occupati della vicenda che ha originato la
presente controversia, nelle quali viene posto in rilievo che
ad essere oggetto di valutazione “è unicamente l’interesse
pubblico” (circostanza, questa, che non trova smentita, posto
che i ricorrenti, contravvenendo al principio di
autosufficienza, non hanno provveduto a riportare il
contenuto integrale delle sentenze stesse, così da porre in

del merito).
4. – Con il terzo mezzo, assistito da quesito di
diritto, è prospettata violazione e falsa applicazione
dell’art. 323 cod. pen. “per avere la Corte escluso la
configurabilità del reato di abuso d’ufficio in relazione a
provvedimenti assunti sulla base di valutazioni
discrezionali”.
La Corte di appello avrebbe erroneamente sostenuto che,
là dove il pubblico funzionario assuma i provvedimenti
amministrativi “sulla base di valutazioni discrezionali”,
andrebbe in ogni caso esclusa la sussistenza della
fattispecie incriminatrice di cui all’art. 323 cod. pen.
Invero, il giudice di appello non si sarebbe dovuto limitare
a siffatto formale rilievo, ma avrebbe dovuto valutare se
“nei provvedimenti amministrativi denunciati … fossero
ravvisabili gli estremi dell’uso improprio del potere
amministrativo”.
4.1. – Il motivo è inammissibile, giacché esso si astrae
dalla effettiva portata della ratio decidendl della sentenza
impugnata, la quale non esprime affatto quanto denunciato dai
ricorrenti.
La Corte territoriale, infatti, ha operato una
ricostruzione della portata del reato di abuso di ufficio,
nel testo antecedente alla riforma del 1990 (posto che la
condotta a tal fine rilevante si sarebbe verificata con il
provvedimento dell’assessorato regionale alla sanità del 20
aprile 1982 e con la nota regionale del 10 febbraio 1989),
18

evidenza una realtà diversa da quella affermata dal giudice

tale da mettere in evidenza che l’elemento oggettivo della
fattispecie incriminatrice “consisteva nell’abuso di potere,
che si ha quando il pubblico ufficiale eccede i limiti della
sua competenza, agendo fuori dei casi stabiliti da leggi e
regolamenti; quando non osservi le norme prescritte e quando
faccia uso dei suoi poteri per uno scopo diverso da quello
per cui i poteri gli sono conferiti”.

sussiste nei provvedimenti in esame assunti sulla base di
valutazioni discrezionali che intendevano conseguire solo
l’interesse pubblico, come risulta dall’esame degli stessi”,
con ciò avendo il giudice del merito – in armonia con la
nozione di “abuso” fatta propria dal “diritto vivente” (tra
le tante, Cass. pen. n. 400 del 1990 e Cass. pen. n. 461 del
1971) – escluso che sussistesse proprio l’esercizio deviato
dei poteri amministrativi attribuiti al pubblico funzionario,
operando, dunque, proprio quell’accertamento che i ricorrenti
deducono invece esser stato pretermesso.
5. – Con il quarto mezzo, assistito da quesito di fatto,
è denunciata omessa o insufficiente motivazione
“sull’insussistenza di abuso d’ufficio da parte delle
amministrazioni convenute”.
La Corte milanese avrebbe mancato di motivare, in modo
sufficiente ed adeguato, “sulla sussistenza di abuso dei
poteri inerenti alle pubbliche funzioni da parte delle
amministrazioni convenute”, essendo a tal fine inconferente
l’argomento per cui i provvedimenti amministrativi adottati
dalla Regione, e poi annullati dal giudice amministrativo,
sarebbero stati assunti “sulla base di valutazioni
discrezionali”, ciò non escludendo che detti atti possano
essere stati affetti “dai vizi nei quali si sostanzia il
reato stesso” di cui all’art. 323 cod. pen. Peraltro, non
potrebbero trarsi elementi a sostegno della carente
motivazione sull’elemento oggettivo del reato di abuso
d’ufficio dal diverso piano argomentativo, adottato dal
19

Donde, la conclusione per cui “nulla di tutto ciò

giudice di appello, concernente la ritenuta insussistenza
dell’elemento psicologico della medesima fattispecie
incriminatrice.
Inoltre, la Corte territoriale avrebbe omesso del tutto
“di considerare che invece gli appellanti hanno sempre
denunciato l’illegittimità (anche) penale del complessivo

anche gli elementi evidenziati nel corso del giudizio al fine
di fornire la prova della sussistenza dell’abuso dei poteri
da parte delle amministrazioni convenute, quanto sotto il
profilo dell’eccesso di potere.
In definitiva, il giudice di appello: non avrebbe
compreso che la sussistenza di poteri amministrativi
discrezionali non esclude la sussistenza del reato di abuso
d’ufficio; non avrebbe esteso la valutazione al complessivo
comportamento tenuto dalla P.A., estrinsecatosi più in
generale nel rifiuto di consentire alla Sanitas s.a.s.
l’esercizio dell’attività convenzionata in Soncino, anche
tramite la reiterazione di atti illegittimi e
l’inottemperanza al giudicato; avrebbe ignorato che tutti gli
elementi desumibili dalla normativa di settore e dalla
concreta fattispecie erano idonei a fondare un giudizio sulla
sussistenza del reato ex art. 323 cod. pen.
6. – Con il quinto mezzo, assistito da quesito di fatto,
è dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
“sull’insussistenza della consapevolezza dell’abuso in capo
alle amministrazioni convenute”.
La Corte territoriale, nell’escludere la consapevolezza
dell’abuso in capo all’Amministrazione pubblica, avrebbe
mancato di valutare la rappresentazione e la volontà in capo
all’agente, là dove la sussistenza o meno di poteri
discrezionali era circostanza inconferente rispetto a
siffatta indagine.
Inoltre, il giudice del gravame non avrebbe considerato
che l’aver il giudice amministrativo riconosciuto lo
20

comportamento delle amministrazioni convenute”, obliterando

sviamento del potere confermava la sussistenza della
consapevolezza dell’abuso, mancando altresì di valutare tutti
gli elementi di giudizio posti alla sua attenzione dagli
istanti (mancata adozione da parte della Regione degli
strumenti di organizzazione generale, riconoscimento
dell’incapacità delle strutture pubbliche di assicurare da
sole la copertura del fabbisogno di fisiokinesiterapia in

7. – Con il sesto mezzo, assistito da quesito di fatto,
è dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
“sull’insussistenza in capo alle amministrazioni convenute
dell’intento di arrecare ad altri un danno o procurare ad
altri un vantaggio”.
La Corte territoriale, nell’escludere il dolo specifico
in capo alle Amministrazioni convenute, avrebbe dato rilievo
alla circostanza, del tutto inconferente, che i provvedimenti
illegittimi sarebbero stati assunti “sulla base di
valutazioni discrezionali che intendevano conseguire solo
l’interesse pubblico, come risulta dall’esame degli stessi”,
senza peraltro chiarire in che termini siffatto esame
conducesse alla conclusione raggiunta. Sarebbe poi
contraddittoria ed illogica la motivazione sulla assenza in
capo della P.A. di una volontà di avvantaggiare le strutture
già convenzionate, siccome asseritamente tratta dalla
sentenza del Consiglio di stato del 1993, che invece era di
opposto tenore; ciò, inoltre, senza considerare tutti gli
altri elementi sottoposti al suo apprezzamento dagli istanti,
come già rilevato nel motivo che precede.
7.1. – I motivi – che incentrano tutti le rispettive
doglianze sulla motivazione della sentenza impugnata in
relazione al mancato riconoscimento della sussistenza del
reato di cui all’art. 323 cod. pen. e che, quindi, sono da
esaminare congiuntamente – non possono trovare accoglimento.
7.1.2. – Occorre, anzitutto, rammentare che il ricorso
per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il
21

Soncino, l’obbligo della P.A. di conformarsi al giudicato).

potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda
processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito,
al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare
le fonti del proprio convincimento, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le

maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad
essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o
all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge (tra le tante, Cass., 16
dicembre 2011, n. 27197).
In siffatti limiti è, dunque, apprezzabile sia il vizio
di omessa o insufficiente motivazione (configurabile soltanto
quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del
merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga
la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre
ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile
l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza
medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto
giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo
convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità
rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente
sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito
agli elementi delibati: Cass., 2 febbraio 2007, n. 2272), sia
quello di contraddittorietà della motivazione stessa (che
ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e
tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che
sorregge il

decisum

adottato, per cui non sussiste

motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della
sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è
stata la volontà del giudice: Cass., sez. un., 22 dicembre
2010, n. 25984).

22

complessive risultanze del processo, quelle ritenute

Con l’ulteriore precisazione che, per poter considerare
la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e
sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese
in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le
argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il
giudice indichi le ragioni del proprio convincimento,

le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass.
n. 2272 del 2007, citata).
7.1.3. – Alla luce di quanto premesso, la motivazione
della sentenza impugnata resiste a tutte le critiche mosse
dai ricorrenti.
Come già messo in rilievo nello scrutinio del terzo
motivo, il giudice di appello non ha affatto circoscritto il
proprio apprezzamento in ordine alla (in)sussistenza
dell’elemento oggettivo del reato di abuso di ufficio alla
ricorrenza di provvedimenti discrezionali della P.A., ma ne
ha valutato la (in)consistenza in ragione della deviazione (o
meno) dei provvedimenti medesimi rispetto allo scopo per cui
i relativi poteri amministrativi erano stati esercitati.
La Corte territoriale si è poi soffermata anche
sull’elemento psicologico di detto reato, evidenziando che
esso doveva connotarsi sia della consapevolezza dell’abuso,
sia del dolo specifico e cioè “che il fatto sia commesso per
recare ad altri un danno o procurargli un vantaggio”.
Siffatta ricognizione è stata operata sotto il profilo
oggettivo in relazione alla nota dell’assessorato regionale
alla sanità del 20 aprile 1982, n. 7152, emessa sulla scorta
del parere negativo di cui alla delibera 960/1981 del
comitato di gestione della USSL 53 di Crema, e in relazione
alla nota regionale del 10 febbraio 1989, n. 1503, emessa
sulla scorta del parere negativo di cui alla delibera
1625/1988 della medesima USSL 53.
Quanto al profilo dell’elemento soggettivo, la Corte
territoriale ha evidenziato che l'”unico elemento indicato a
23

dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte

prova degli asseriti delitti” era la sentenza del Consiglio
di Stato n. 1157/1993, dalla cui motivazione non era “neanche
ipotizzata una volontà diretta ad avvantaggiare le strutture
convenzionate, ma solo un possibile vantaggio a queste
derivante da una azione posta in essere in ogni caso
nell’intento di non pregiudicare il pubblico interesse,
intento incompatibile con lì elemento soggettivo previsto

amministrativi in esame”.
Né, dunque, è riscontrabile un vizio di omessa o
insufficiente motivazione, posto che questa si fonda
sull’apprezzamento delle allegazioni fattuali ritenute dagli
stessi appellanti elementi integranti la supposta sussistenza
del delitto di cui all’art. 323 cod. pen., là dove la
censurata omessa considerazione di elementi ulteriori non
solo sconta la mancanza di effettiva decisività delle
circostanze addotte rispetto alla concreta delibazione
sull’esistenza della fattispecie incriminatrice, ma,
soprattutto, contraddice quanto il giudice del gravame ha
evidenziato in punto di allegazioni delle parti a sostegno
dei motivi di gravame, senza che la contraria realtà
dell’impianto allegatorio, addotta nel ricorso, sia
confortata dalla indicazione esaustiva del contenuto
dell’atto di appello (di cui è riportato solo qualche
stralcio decontestualizzato, soffermandosi la difesa dei
ricorrenti piuttosto sulle successive memorie), in modo tale
da consentire a questa Corte di poter valutare pienamente,
nella loro coerenza, le deduzioni che sorreggevano i motivi
di gravame, da formularsi in modo specifico ai sensi
dell’art. 342 cod. proc. civ..
La motivazione adottata dalla Corte territoriale è, poi,
congrua e non già contraddittoria, snodandosi lungo un
percorso argomentativo, privo di errori giuridici, che
approda ad una soluzione logicamente coerente con le
premesse. Né ad essa può imputarsi di sorreggersi su un
24

dalla norma penale astrattamente applicabile ai provvedimenti

travisamento del corredo probatorio sulla quale si impernia,
giacché il significato che è stato ascritto sia ai
provvedimenti amministrativi implicati (di cui i ricorrenti
hanno prodotto copia in questa sede), sia alla citata
sentenza del giudice amministrativo (della quale, nel
ricorso, è riportato solo uno stralcio), risulta plausibile e
coerente con il rispettivo contenuto, inteso nel senso di

pubblico interesse.
Peraltro, una volta comunque acclarata (come innanzi)
l’inconsistenza del vizio di motivazione in ordine alla
delibazione sulla mancanza del dolo specifico effettuata dal
giudice del merito, rimangono travolte anche le ulteriori
doglianze,

ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,

che gravitano intorno alla esistenza del delitto di cui
all’art. 323 cod. pen., posto che questa sarebbe in ogni caso
esclusa in ragione della essenzialità di detto dolo nella
configurazione della fattispecie delittuosa (tra le altre,
Cass. pen. n. 8043 del 1983).
8. – Con il settimo mezzo, assistito da quesito di
diritto, è prospettata la violazione e falsa applicazione
dell’art. 2043 cod. civ. “per avere la Corte ritenuto che la
lesione degli interessi pretensivi sia risarcibile solo nel
caso in cui raccoglimento dell’istanza del privato, dopo
l’annullamento dell’atto illegittimo, sia un atto dovuto da
parte della pubblica amministrazione”.
La Corte territoriale, dopo aver correttamente
richiamato gli enunciati della sentenza n. 500 del 1999 delle
Sezioni Unite di questa Corte in punto di risarcibilità del
danno da lesione di interesse legittimo pretensivo – per cui
sarebbe sempre necessario un giudizio prognostico

ex

ante

sull’accoglimento dell’istanza del privato – avrebbe
erroneamente affermato che “la sussistenza del danno
patrimoniale in materia di interessi legittimi pretensivi non
può che misurarsi sullo spazio residuo di potere
25

ravvisare l’intento dei funzionari regionali di perseguire il

amministrativo

conseguente

all’annullamento

dell’atto

illegittimo, a seconda che, a seguito di questo,
l’accoglimento dell’istanza si configuri come atto dovuto
oppure permangano profili di riesame della situazione
giuridica, in funzione di un nuovo apprezzamento
dell’interesse privato e degli interessi pubblici”. Con ciò,
il giudice di appello avrebbe fondato il rigetto della

correli soltanto all’assenza di discrezionalità da parte
della P.A. nell’accogliere l’istanza del privato a seguito di
annullamento dell’atto illegittimo di diniego.
9. – Con l’ottavo mezzo, assistito da quesito di fatto,
è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione “sull’inesistenza di un oggettivo affidamento in
capo ai ricorrenti circa l’ottenimento da parte di Sanitas
del provvedimento di trasferimento da Cremona a Soncino”.
La Corte territoriale avrebbe mancato di motivare sulla
concreta sussistenza di un affidamento in capo ai ricorrenti
circa l’ottenimento da parte della Sanitas s.a.s. del
provvedimento di trasferimento della convenzione da Cremona a
Soncino, oltre ad aver contraddittoriamente affermato di aver
raggiunto un giudizio prognostico al riguardo, per poi negare
la possibilità stessa di un siffatto giudizio. Ciò mancando,
inoltre, di valutare tutti gli elementi desumibili dalla
normativa di settore, senza arrestarsi alla considerazione
che non ve ne fossero di utili, là dove invece gli istanti
avevano posto in rilievo quali essi fossero (principio di
preferenzialità dei soggetti già convenzionati in base alla
legge regionale; mancanza di una programmazione generale
sanitaria in base alla normativa regionale; esistenza di un
fabbisogno sanitario nell’area di Soncino da soddisfare
tramite le strutture convenzionate; decisioni favorevoli rese
• dal giudice amministrativo; la rilevanza, in ogni caso, di
una danno da ritardo, siccome evidenziato in comparsa
conclusionale e di replica).
26

domanda attorea sul presupposto che detta risarcibilità si

9.1. – I motivi, il cui scrutinio può essere
congiuntamente effettuato, non sono fondati.
9.1.1. – La

ratio decidendi

che assiste la sentenza

impugnata risulta, invero, frutto di una delibazione, in
ordine alla risarcibilità dell’interesse pretensivo degli
allora appellanti, che muove dai criteri elaborati in materia

fattispecie materiale il principio di diritto al quale ha
ritenuto di doversi attenere.
Difatti, il giudice del gravame ha dapprima richiamato
l’orientamento espresso dalla nota sentenza n. 500 del 1999
delle Sezioni Unite civili di questa Corte (indirizzo anche
successivamente confermato: tra le tante, cfr. Cass., 23
febbraio 2010, n. 4326 e Cass., 13 ottobre 2011, n. 21170),
ponendo, anzitutto, in rilievo la necessità di un giudizio
prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile,
sulla fondatezza o meno della richiesta della parte, onde
stabilire se la medesima fosse titolare di una mera
aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione
che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un
esito favorevole e ciò in quanto l’illegittimità
dell’esercizio della funzione pubblica non è elemento da solo
sufficiente a far scattare la responsabilità risarcitoria
della P.A.
Su tali basi la Corte territoriale ha, poi, effettuato
l’accertamento in concreto, escludendo che, in forza della
normativa di settore, potesse reputarsi “che il procedimento
si sarebbe concluso, certamente o con elevata probabilità, in
senso favorevole agli interessati”, posto che “non si
trattava di verificare la fondatezza o meno dell’istanza di
trasferimento” (come visto, non assistita da un diritto in
tal senso), “ma la compatibilità di questo rispetto ai
bisogni di assistenza sanitaria dell’ambito territoriale nel
quale il trasferimento era richiesto” e, dunque, di
verificare l’interesse pubblico al dislocamento del

27

dal “diritto vivente”, per poi calare nel concreto della

convenzionamento in altro ambito territoriale. Ed è in tale
ottica che il giudice di appello – richiamando l’assenza
“nella normativa di settore” di “qualsiasi elemento che
potesse far ritenere l’istanza accoglibile o non accoglibile”
– ha, in sostanza, inteso valorizzare le conseguenti
determinazioni della P.A. come valutazioni connotate da ampia

stesse decisioni della giurisdizione amministrativa” e
pertinente anche al trasferimento dell’attività convenzionata
disposto, infine, nel settembre del 1995 “con autonomo
provvedimento”), per giungere ad escludere l’esistenza di un
affidamento sull’accoglimento dell’istanza (in base ad un
criterio di normalità e, dunque, alla stregua di un giudizio
causale di carattere probabilistico che, in ambito
risarcitorio civile, è correlato alla regola del “più
probabile che non”), ma non già negandolo in radice perché
non rapportato ad attività amministrativa vincolata.
Solo all’esito di siffatta ricostruzione, in linea con i
principi giuridici della materia, la Corte di appello di
Milano ha, dunque, chiosato con l’affermazione censurata dai
ricorrenti (con il settimo motivo), ma che – a prescindere
dal fatto stesso di come essa debba essere propriamente
intesa (là dove, peraltro, il richiamo alla misura del
residuo spazio di potere amministrativo appare comunque
orientato a non elidere la risarcibilità del danno da lesione

discrezionalità (“natura discrezionale non negata dalle

dell’interesse pretensivo dinanzi al permanere della
discrezionalità nel provvedere, dovendo il giudizio al
riguardo semmai essere calibrato in funzione dei margini, più
o meno stretti, entro cui la medesima discrezionalità
sussista e vada esercitata in tutto il corso del procedimento
amministrativo) – rimane soltanto un obiter dictum, che, di
per sé, non incide sull’anzidetto fondamento della decisione
assunta.
9.1.2. – Posti, poi, i criteri di delibazione del vizio
di motivazione ed i limiti entro i quali lo stesso è
28

é

denunciabile dinanzi a questa Corte di legittimità (in
precedenza ricordati), il ragionamento al riguardo espresso
dal giudice del merito – che, come sopra evidenziato, non è
affetto dai denunciati vizi giuridici – si sottrae anche alle
ulteriori censure dei ricorrenti. Esso, infatti, non palesa
alcuna contraddittorietà, né insufficienza, giacché il
giudizio prognostico al cui esito la Corte territoriale ha

interessati sull’accoglimento dell’istanza di trasferimento
territoriale dell’attività medico-specialistica convenzionata
trae anzitutto linfa, in modo logico e coerente con le
premesse, dal presupposto accertamento negativo correttamente formulato in diritto (come posto in luce nello
scrutinio del secondo motivo) – in ordine alla sussistenza di
una posizione giuridica di diritto soggettivo al
trasferimento territoriale di detta attività e ciò per
l’assenza di pertinenti e congruenti elementi disciplinatori
in tal senso desumibili dal quadro normativo di riferimento.
Di qui, pertanto, l’orientarsi della motivazione, in forza
del materiale probatorio acquisito agli atti, sulla natura
discrezionale delle valutazioni rimesse alla P.A.
(riconosciuta dalle stesse sentenze dei giudici
amministrativi intervenute nella vicenda in esame e posta in
risalto dai provvedimenti di diniego assunti dalla Regione),
le quali, rivolte alla ponderazione di plurimi e
diversificati interessi pubblici (che, come in precedenza
evidenziato, si sarebbero dovuti comporre non solo in base
all’efficacia della prestazione sanitaria sul territorio, nel
concorso di tutti i centri erogatori, pubblici e privati, ma
anche in ragione della gestione più economica della relativa
spesa), non potevano, nello specifico, ingenerare
l’affidamento nel probabile accoglimento dell’istanza. Si
tratta, pertanto, di un convincimento che non trascura
affatto gli elementi di giudizio acquisiti al processo e che
di essi dà una lettura plausibile e non contraddittoria,
29

ritenuto che non sussistesse un legittimo affidamento negli

risultando, dunque, frutto di un esercizio corretto dei
poteri riservati al giudice del merito, come tale non
censurabile in questa sede, ed al quale non può, del resto,
sostituirsi il diverso apprezzamento della parte.
Quanto poi alla censura che investe specificamente la
mancata valutazione del “danno da ritardo”, non solo questa

che, come messo in rilievo dalla giurisprudenza di questa
Corte (tra le altre, Cass., 30 gennaio 2009, n. 2529), il
danno aquiliano da lesione dell’interesse pretensivo per
ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo è
risarcibile nella ricorrenza degli stessi presupposti che
operano nel caso di diniego dell’atto, sicché la delibazione
della Corte territoriale è tale, nella sua portata, da
escluderne comunque la sussistenza. Ma va altresì soggiunto
che la questione – ove implicante una diversa prospettazione
della consistenza e misura del pregiudizio patito ed oggetto
della originaria pretesa risarcitoria azionata – non può
essere comunque scrutinata in questa sede, giacché gli stessi
ricorrenti (sebbene, senza neppure riportare il contenuto
degli atti processuali rilevanti) hanno dedotto che essa era
stata posta con le comparse conclusionali e, dunque, non era
stata oggetto dei motivi di gravame (come, invece, avrebbe
dovuto essere per non incorrere in preclusioni o, semmai
fosse già stata fatta ritualmente valere in primo grado, nel
giudicato interno).
10. – Con il nono mezzo, assistito da quesito di
diritto, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art.
2043 cod. civ. “per avere la Corte d’appello ritenuto
l’insussistenza della colpevolezza (dolo o colpa) della
pubblica amministrazione laddove gli atti amministrativi
illegittimi siano stati adottati per perseguire il pubblico
interesse e non con l’intento di arrecare un vantaggio a
terzi”.
30

rimane priva di consistenza in forza della considerazione

La Corte territoriale, sostenendo la rilevanza, ai fini
della valutazione della colpa, dell’intento perseguito
dall’amministrazione, avrebbe applicato un principio erroneo,
in luogo di quello – enunciato dalle Sezioni Unite con la
sentenza n. 500 del 1999 – per cui l’apprezzamento sulla
colpa della P.A. deve essere effettuato in base al riscontro,
oltre che dell’illegittimità dell’agire, della violazione

amministrazione; violazione che ben poteva sussistere anche
in assenza dell’intento della P.A. di voler avvantaggiare le
strutture convenzionate già operanti in Soncino e ravvisarsi
negli elementi evidenziati dagli istanti, già ricordati nei
precedenti motivi.
11. – Con il decimo motivo, assistito da quesito di
fatto, è prospettata omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione “sull’inesistenza della colpevolezza delle
amministrazioni convenute”.
La Corte avrebbe mancato di operare una penetrante
indagine sulla violazione delle regole di imparzialità,
correttezza e buona amministrazione, che sostanziano la colpa
della P.A., incentrando la propria motivazione, in modo
dunque contraddittorio e illogico, sulla intenzionalità della
condotta dell’Amministrazione. Peraltro, illogiche sarebbero
le conclusioni che il giudice di appello ha tratto dai
provvedimenti di diniego sui quali ha assunto di fondare il
proprio convincimento, giacché da questi emergeva che in
Soncino vi erano carenze nell’erogazione delle prestazioni
sanitarie di fisiokinesiterapia, che le ragioni del diniego
si radicavano nella difficoltà del potenziamento delle
strutture pubbliche e nella più accesa concorrenza tra
strutture convenzionate. Peraltro, si trattava di risultanze
prese in esame anche dal giudice amministrativo, il quale era
giunto all’annullamento dei provvedimenti di diniego per
eccesso e sviamento di potere, difetto, perplessità e
contraddittorietà della motivazione, di ciò non avendo tenuto
31

delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona

conto il giudice del gravame nella motivazione carente della
sentenza impugnata.
11.1. – I motivi, che possono essere congiuntamente
esaminati, rimangono comunque assorbiti nel rigetto
dell’ottavo mezzo, con il quale, respinta la doglianza dei
ricorrenti, è stata definitivamente confermata la statuizione
della sentenza impugnata in ordine all’insussistenza

difatti, evidente che, vertendo entrambi i mezzi sul profilo
soggettivo della colpa della P.A., anche se, in ipotesi, la
sentenza impugnata fosse viziata sul punto, non si potrebbe
però giungere alla sua cassazione, in quanto nessuna utilità
ne verrebbe ai ricorrenti, posto che il dedotto illecito non
sarebbe in ogni caso configurabile.
Ciò a prescindere, quindi, da ogni considerazione in
ordine all’infondatezza stessa dei motivi, giacché la Corte
territoriale, nell’orientare il proprio convincimento sulla
affermata sussistenza dell’intento della P.A. di perseguire
l’interesse pubblico (e, al tempo stesso, escludendo anche
che vi fosse intenzione di avvantaggiare soggetti
controinteressati), non essendo all’Amministrazione medesima
imputabili violazioni di legge (bensì una contraddittoria
motivazione delle scelte operate), ha valutato l’aspetto
della colpa nell’ottica, giuridicamente corretta, della
violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona
amministrazione, quali limiti esterni alla discrezionalità
(tra le altre, la già citata Cass. n. 4326 del 2010) e tale
valutazione (negativa) ha effettuato in base ad una
plausibile lettura delle stesse emergenze probatorie su cui i
ricorrenti fondano le proprie doglianze, i quali, però,
attribuisco alle medesime risultanze una portata diversa e ad
essi favorevole, così sostituendosi, inammissibilmente,
all’apprezzamento riservato al giudice del merito.
12. – Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la
Gestione Liquidatoria della soppressa Ussl n. 24 di Crema ha
32

dell’elemento oggettivo del presunto illecito civile. E’,

e

riproposto l’eccezione di difetto di giurisdizione del
giudice ordinario, già avanzata in appello soltanto con la
comparsa conclusionale ed esaminata dalla Corte territoriale
d’ufficio, per essere la stessa rilevabile dal giudice in
ogni stato e grado del processo.
12.1. – Il ricorso incidentale è assorbito dal rigetto
di quello principale.

di diritto – di recente ribadito da Cass., sez. un., 25 marzo
2013, n. 7381 – per cui, in tema di giudizio di cassazione,
il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente
vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni
preliminari di merito o pregiudiziali di rito, ha natura di
ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale,
indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte,
sicché, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o
preliminari di merito siano state oggetto di decisione
esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale
ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza
dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi
della fondatezza del ricorso principale.
13. – Va, dunque, rigettato il ricorso principale e
dichiarato assorbito quello incidentale ed i ricorrenti, in
quanto soccombenti, condannati, in solido tra loro, al
pagamento della spese del presente giudizio di legittimità,
come liquidate in dispositivo, in favore di ciascuna parte
controricorrente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
riunisce i ricorsi;
rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il
ricorso incidentale;
condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che
liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in
33

Trova, infatti, nella specie applicazione il principio


complessivi euro 15.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in

data 25 giugno 2013.

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