Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19866 del 22/09/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19866 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

convalida –

Composta dagli Ill.rni Sigg.ri Magistrati:

Art. 1456

Dott. ANTONIO SEGRETO

– Presidente –

Dott. GIOVANNI CARLEO

– Consigliere –

Cassazione e
decisione

– Rel. Consigliere – R.G.N. 30064/2008

Dott. RAFFAELE FRASCA
Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO

– Consigli e re

Dott. LINA RUBINO

– Consigliere –

sul ricorso 30064-2008 proposto da:
SRL

11343470156

in

persona

dell’Amministratore Delegato legale rappresentante
Dr. BIRGER STROM, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA MAZZINI 8, presso lo studio dell’avvocato
GIORGIO DELLA VALLE, che la rappresenta e difende
2014
1326

Rep.

PU

SENTENZA

ITALIA

c r onAgg

Ud. 23/05/2014

ha pronunciato la seguente

LSGI

nel merito

Data pubblicazione: 22/09/2014

unitamente all’avvocato MARIA TERESA GIANOTTI giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

e

NEW TEAM DI LEANDRIN BRUNO & LEANDRIN ANDREA & C SNC;

- Intimata avverso la sentenza n.

1662/2007 della CORTE

D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/12/2007,
R.G.N. 319/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FRASCA;
udito l’Avvocato GIORGIO DELLA VALLE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

udienza del 23/05/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§L La s.r.l. L.G.S. Italia (già incorporante la Italco s.p.a. il 9 luglio 1999) ha
proposto ricorso per cassazione contro la New Team s.n.c. di Leandrin Bruno e Leandrin
Andrea & C. avverso la sentenza del 5 dicembre 2007, con la quale la Corte d’Appello di
Venezia, dopo aver ritenuto ammissibile l’appello proposto dall’intimata avverso
l’ordinanza di convalida di sfratto del 19 gennaio 2005 pronunciata dal Tribunale di

Venezia, Sezione Distaccata di Portogruaro, in accoglimento dell’intimazione di sfratto per
morosità, notificata il 10 dicembre 2004 da essa ricorrente in relazione alla locazione ad
uso commerciale di un locale di mq. 58, sito nel Centro Commerciale Adriatico, in
Portogruaro, alla via Pratiguori n. 29, ha riformato l’ordinanza de qua ritenendola
pronunciata al di fuori dei presupposti previsti dalla legge e, quindi, pronunciando sulla
domanda di risoluzione del contratto locativo della qui ricorrente, l’ha rigettata nel merito.
§2. In particolare, la Corte lagunare ha ritenuto di non potere accogliere la domanda
di risoluzione per inadempimento in quanto fondata su una clausola risolutiva espressa
prevista nel contratto, state la sua genericità e “perplessità” ed ha, quindi, negato
accoglimento anche alla domanda ai sensi dell’art. 1453 c.c. perché l’inadempimento
dedotto, avendo riguardato una sola rata trimestrale del canone scaduta il 10 ottobre del
2004, non avrebbe rivestito i caratteri dell’inadempimento di non scarsa importanza.
§3. Al ricorso, che prospetta otto motivi, non v’è stata resistenza dell’intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione o falsa applicazione
dell’art. 663 c.p.c. anche in rapporto con l’art. 668 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)”.
Vi si censura la sentenza impugnata per avere considerato l’appello proposto dalla
New Team s.n.c. contro l’ordinanza di convalida ammissibile sulla base dell’assunto che
all’udienza di convalida il procuratore della medesima si era limitato a “dimettere conteggi
e prospetto riepilogativo del credito, senza però attestare formalmente che la morosità
persisteva” e che tanto evidenziava che l’ordinanza era stata emessa in mancanza della
condizione della persistenza della morosità, prevista dall’art. 663, terzo comma, c.p.c.,
consistente nell’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità
del conduttore persiste.

3
Est. Cons. R L as
ca

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

§1.1. Secondo la ricorrente la Corte territoriale, nel considerare che la detta
:-.
,

deduzione del procuratore della ricorrente non era stata accompagnata dalla formale
attestazione della persistenza della morosità, avrebbe errato, tenuto contro che quella
deduzione era significativa della persistenza della morosità, dato che la New Team aveva
chiesto termine per sanare la morosità ai sensi dell’art. 55 della 1. n. 392 del 1978, che era
stato negato nella motivazione dell’ordinanza di convalida dal Tribunale a motivo della
natura commerciale della locazione e, quindi, del’inapplicabilità della norma.

Si sostiene, inoltre, invocando Cass. n. 19772 del 2003 e n. 1290 del 1993 che
l’attestazione di persistenza della morosità non richiede formule sacramentali.
Si prospetta, dunque, che l’ordinanza di convalida non avrebbe potuto considerarsi
appellabile in quanto emessa in violazione dell’art. 663 c.p.c. e, pertanto, al di fuori dei
presupposti di legge.
, §1.2. H motivo sarebbe fondato, ma non può portare alla cassazione della decisione
impugnata, atteso che, reggendosi la decisione impugnata quanto alla valutazione di
ammissibilità dell’appello sulla ragione criticata dal secondo motivo, che, come si vedrà
non è fondato, come pure non lo sono il terzo, il quarto ed il quinto, la sentenza impugnata
non può essere cassata in parte qua essendo il suo dispositivo, là dove ha, decidendo nel
merito l’appello, considerato ammissibile lo stesso, conforme a diritto. La fondatezza nella
specie del primo motivo giustifica, in sostanza, solo la correzione della motivazione della
sentenza a norma dell’ultimo comma dell’art. 384 c.p.c. nella parte che ha espresso la
valutazione di ammissibilità dell’appello appunto criticata dal motivo in esame.
§1.2.1. Ciò precisato, si rileva che la doglianza esposta con tale motivo sarebbe
fondata sulla base del semplice rilievo che, essendo comparsa all’udienza la società
intimata ed avendo chiesto il termine di cui all’art. 55 della I. n. 392 del 1978,
l’attestazione di persistenza della morosità, di cui all’ultimo comma dell’art. 663 c.p.c. non
era in alcun modo necessaria, atteso che, secondo la dottrina ed anche due remoti
precedenti di questa Corte (Cass. 7 marzo 1949, n. 430 e 17 aprile 1950 n. 1010, non
presenti su Italgiureweb, ma le cui massime sono riportate sui maggiori Repertori di
Giurisprudenza dell’epoca), il legislatore ha richiesto che la parte intimante attesti la
persistenza della morosità volendo alludere alla sua rilevanza allorquando non
compaia l’intimato, giacché, se l’intimato compare, resta affidata alla sua difesa la
deduzione della cessazione della morosità (che può comunque impedire la pronuncia

della convalida, ancorché eventualmente non quella della risoluzione del contratto
all’esito della cognizione piena, ove il locatore insista nell’azione e la cessazione sia
4
Est. Cons.Eaffae1e Frasca

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

avvenuta in modo irrilevante ai fini di impedire la verificazione dei presupposti della
risoluzione o sub specie

di importanza di inadempimento o sub specie di

inadempimento rilevate per una fattispecie di c.d. risoluzione di diritto).
Quello che rileva, una volta che l’intimato sia comparso, è il suo atteggiamento di
opposizione. Se l’intimato compare e non si oppone, tale suo atteggiamento elide ogni
necessità di attestazione della persistenza della morosità, potendo semmai residuare
solo il problema, ma non è questa la sede per discuterne, del se si configuri e, in caso

positivo in che limiti, un potere di valutazione in iure della fondatezza della domanda
di convalida in capo al giudice. Siffatta normale elisione è mera conseguenza della
circostanza che, se lo stesso intimato, che è il soggetto interessato, non evidenzia che
manca la condizione di emanazione dell’ordinanza di convalida, siccome è implicato dal
suo atteggiamento di non opposizione, l’esito del procedimento è direttamente ricollegato
dalla legge (salvo l’approfondimento dell’indicato problema, che qui non rileva in
relazione alla fattispecie che si esamina) a tale atteggiamento.
Se l’intimato compare e si oppone o comunque tiene un atteggiamento che rivela
l’opposizione, è palese che, non potendo aver luogo la convalida, ma dovendosi
evolvere il procedimento nella cognizione piena, previa eventuale pronuncia
dell’ordinanza di rilascio convalida, la necessità dell’attestazione della persistenza
della morosità diventa irrilevante come condizione ostativa della pronuncia della
convalida.
La circostanza che la morosità sia cessata, nel caso di opposizione dell’intimato,
dev’essere invece considerata semmai una ragione giustificativa dell’esistenza di
ragioni ostative all’emanazione dell’ordinanza di rilascio ai sensi dell’art. 665 c.p.c.
(in termini Cass. n. 13248 del 2010), atteso che sarebbe contradditorio che, mentre in
mancanza di comparizione dell’intimato la cessazione della permanenza della morosità
impedisca comunque la definizione del procedimento con la convalida e, quindi, imponga
il passaggio alla cognizione piena senza che sia disposto lo sfratto dell’intimato, viceversa,
se l’intimato compaia e si opponga alla convalida, possa, non persistendo la morosità,
pronunciarsi un provvedimento, sia pure provvisorio, che lo sfratti.
§1.2.2. Sulla base delle esposte considerazioni, consegue che la Corte territoriale, là
dove, pur in presenza di comparizione dell’intimata, ha ritenuto che fosse necessaria
l’attestazione di persistenza della morosità e ne ha tratto — in astratto, cioè a prescindere
dal ragionamento fatto riguardo allo svolgimento dell’udienza e dell’atteggiamento delle
parti, segnatamente quello dell’intimate – la conseguenza che la mancanza di essa sarebbe
5
Est. Cons.Riffee1e Frasca

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

stata ragione impediente la convalida ha errato, atteso che il principio di diritto che veniva
e

in rilievo è che, nel procedimento per convalida di sfratto per morosità, in caso di
comparizione dell’intimato, restando affidata alla sua eventuale attività difensiva
mediante l’opposizione la deduzione della cessazione della persistenza della morosità,
l’attestazione di cui all’ultimo comma dell’art. 663 c.p.c. non è necessaria, potendo,
pertanto, nel caso di mancanza di opposizione dell’intimato pronunciarsi (se
ricorrono le altre condizioni di legge) la convalida, senza che occorra tale

attestazione, mentre, nel caso di opposizione, fermo che detta attestazione diventa
irrilevante, la circostanza che la morosità sia in ipotesi cessata diviene rilevante solo
come presupposto che esclude l’emanazione dell’ordinanza di rilascio ai sensi dell’art.
665 c.p.c.
Ebbene, va considerato che nel caso di specie la parte intimata, comparendo e
chiedendo di sanare la morosità aveva formulato una richiesta che, in quanto contestata
dalla parte locatrice qui ricorrente, era incompatibile con un atteggiamento di non
opposizione.
Ne segue che l’attestazione di persistenza della morosità diveniva del tutto superflua,
giusta le considerazioni svolte.
Diventa, pertanto, del tutto inutile evocare, come ha fatto parte ricorrente il principio
di diritto secondo cui «L’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore circa
la persistenza della morosità del conduttore, cui l’art. 663 ultimo comma cod. proc. civ.
subordina la convalida dello sfratto, è sostanzialmente un’ulteriore conferma
dell’intimazione di sfratto per morosità richiesta all’intimato, nell’ambito del procedimento
sommario, al fine di certificare (occorrendo, anche con una cauzione) la mancata
purgazione della mora fino al momento della pronuncia del relativo provvedimento. Tale
attestazione non richiede l’adozione di formule sacramentali, ma [nen} può essere desunta
da una dichiarazione equipollente del locatore o del suo procuratore, valutato, se del caso,
anche il contegno processuale del conduttore. Pertanto, può ritenersi soddisfatta la
condizione di cui all’art. 663 ultimo comma cod. proc. civ. qualora il procuratore del
locatore, pur omettendo una formale attestazione di persistenza della morosità del
conduttore, abbia all’udienza di convalida, insistito nell’intimazione di sfratto, facendo
espresso riferimento all’atto introduttivo, e così confermando, implicitamente, la morosità
ivi introduttivo, e così confermando, implicitamente, la morosità ivi non contestata.»
e

(Cass. n. 1290 del 1993, fra l’altro massimato con un “non” di troppo nella massima
dell’ Italgiureweb).
6
Est. Cons.

Frasca

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

§2. Con un secondo motivo si prospetta “violazione o falsa applicazione dell’art. 112
,

c.p.c. e dell’art. 342 c.p.c. (art. 360, comma I, n. 3 c.p.c.)” e vi si deduce che la Corte
territoriale, per affermare 1′ ammissibilità dell’appello, avrebbe enunciato un’ulteriore

,

ragione in violazione dei limiti di quanto le era stato devoluto con l’appello dalla
conduttrice. Ciò, là dove ha ritenuto che l’ordinanza di convalida era stata emessa al di
fuori dei presupposti di legge per il fatto che, avendo la conduttrice chiesto di sanare la

Tribunale avrebbe potuto emettere solo l’ordinanza di rilascio ai sensi dell’art. 665 c.p.c. e
non quella di convalida.
Si sostiene che con l’appello la conduttrice non aveva prospettato tale ragione di
illegittimità dell’ordinanza, onde, ponendola a base della sua decisione di considerare
ammissibile l’appello, la Corte lagunare avrebbe violato sia l’art. 112 sia l’art. 345 c.p.c.,
sicché sarebbe stato leso «il diritto di difesa della società appellata, impedendo alla stessa
di svolgere compiutamente le proprie difese in merito».
§2.1. Il motivo è privo di fondamento, là dove evoca un’ultrapetizione della Corte
territoriale rispetto a quanto le era stato devoluto con l’appello.
Invero, una volta investita dell’appello contro un provvedimento qualificato, nella
prospettazione dell’appellante come sentenza appellabile, nonostante la sua forma di
ordinanza di convalida, sull’assunto che quest’ultima fosse stata pronunciata
illegittimamente al di fuori dei presupposti di legge, la Corte veneziana si è venuta a
trovare nella condizione in cui versa il giudice investito di un’impugnazione con la
prospettazione che il provvedimento impugnato sarebbe soggetto al mezzo di
impugnazione esperito: tale condizione, al contrario di quanto suppone il motivo in esame,
non vede quel giudice, nella valutazione delle condizioni di ammissibilità della stessa, in
alcun modo vincolato a quanto dedotto dalla parte, ma, come si impone per
l’apprezzamento della condizioni di ammissibilità di ogni mezzo di impugnazione,
investito della valutazione di ammissibilità sulla base di un potere di apprezzamento delle
stesse esercitabile d’ufficio, al di là, dunque, di quello che ha potuto argomentare
l’impugnante.
E’, pertanto, del tutto fuor di luogo l’evocazione della violazione del principio della
corrispondenza fra chiesto e pronunciato che si fa nel motivo.
Una volta introdotto l’appello, la Corte territoriale non era affatto vincolata a
e

valutarne l’ammissibilità solo sulla base delle ragioni in proposito indicate dall’appellante,
ma doveva, come ha fatto, scrutinare l’ammissibilità sulla base dei suoi poteri ufficiosi e,

.,.
Est. Cons. 1ffde Frasca

morosità ed essendo stata contestata l’ammissibilità del rimedio dalla locatrice, il

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

pertanto, bene poteva d’ufficio ravvisare l’ammissibilità dell’appello per la ragione che,
e essendovi stata richiesta di concessione del termine ai sensi dell’art. 55 1. n. 392 del 1978
ed essendo insorta contestazione sull’applicabilità dell’istituto colà previsto, si era radicata
per ciò solo una sostanziale opposizione dell’intimata alla convalida.
Il principio di diritto che viene in rilievo e che giustifica la reiezione del motivo è il
seguente: «poiché il giudice investito di un’impugnazione deve d’ufficio valutare le
condizioni della sua ammissibilità indipendentemente da ed oltre quanto dedotto da

chi impugna e, dunque, senza che la valutazione di ammissibilità sia ancorata a
quanto da lui argomentato, è motivo di ricorso per cassazione inconferente quello con
cui si lamenta vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 342 c.p.c. di fronte alla
individuazione da parte di un giudice d’appello (nella specie investito di
impugnazione nel presupposto della natura sostanziale di sentenza appellabile di un
provvedimento di convalida di sfratto per morosità) di una ragione di ammissibilità
dell’appello diversa da quella indicata dalla parte appellante.».
§3. Con un terzo motivo si denuncia “violazione o falsa applicazione dell’art. 663
c.p.c. in rapporto all’art. 665 c.p.c., all’art. 55 L. 392/78, all’art. 667 c.p.c. e all’art. 668
c.p.c. (art. 360, comma I, n. 3 c.p.c.)”.
Vi si prospetta che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che la presenza
della richiesta della conduttrice dell’istanza ai sensi dell’art. 55 della 1. n. 392 del 1978, pur
in mancanza di contestazione della morosità, impedisse, una volta non condivisa dal
Tribunale, la pronuncia dell’ordinanza di convalida e consentisse invece solo quella
dell’ordinanza ai sensi dell’art. 665 c.p.c.
A sostegno vengono invocate Cass. n. 19772 del 2003, Cass. n. 270 del 1996 e n.
4646 del 1990, nonché Cass. n. 5113 del 1999 [rectius: 1989].
§4. Con un quarto motivo si fa valere “violazione o falsa applicazione dell’art. 663
c.p.c. in rapporto all’ art. 55 L. 392/78 ed all’art. 668 c.p.c. (art. 360, comma I, n. 3 c.p.c.)”
e si torna a prospettare che l’ordinanza di convalida non aveva avuto natura di sentenza in
ragione della negazione del termine di cui all’art. 55 della 1. n. 392 del 1978, invocando
nuovamente Cass. n. 5113 del 1989, oltre che Cass. n. 1529 del 1994 e sostenendo che il
provvedimento negativo o concessorio del termine di cui all’art. 55 della 1. n. 392 del 1978
non avrebbe carattere decisorio.
§5. Con un quinto motivo si deduce “contraddittoria motivazione su circa [sic] un
fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma I, n. 5 c.p.c.) prospettando

8
Est. Cons.

Frasca

R.g.n. 30064-08 (od. 23.5.2014)

sotto il profilo del vizio motivazionale la questione dell’avere ritenuto la Corte territoriale
impedita la convalida dalla richiesta di termine ai sensi del citato art. 55.
§6. Il terzo, quarto e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto
afferiscono alla questione del se sia da considerare emessa al di fuori dei presupposti di
legge e, quindi, con natura sostanziale di sentenza appellabile, l’ordinanza di convalida
pronunciata nonostante la richiesta dell’intimato di concessione di termine ai sensi dell’art.

applicabilità di tale istituto e, dunque, sulla base di una valutazione del giudice della
convalida di mancanza nell’atteggiamento del conduttore intimato comunque di
un’opposizione alla convalida.
La risposta da dare a tale interrogativo è positiva e giustifica il rigetto dei tre motivi
in questione.
Queste le ragioni.
§6.1. Va premesso che la giurisprudenza evocata nei motivi non è pertinente, in
quanto concerne il caso in cui l’intimato si opponga alla convalida e chieda in subordine
ed ottenga il termine di cui all’art. 55 della I. n. 392 del 1978, ma poi non lo rispetti.
Cass. n. 19772 del 2003, infatti, ha statuito: «In tema di locazione di immobili
urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosità, abbia richiesto
in via subordinata la concessione del cd. “termine di grazia”, manifesta implicitamente una
prevalente volontà solutoria incompatibile con quella di opporsi alla convalida, che
comunque non può più ritenersi condizionata alla mancata proposizione dell’opposizione,
secondo quanto dispone l’art. 665 cod. proc. civ., bensì dl mancato pagamento del dovuto
nel termine – che ha carattere perentorio – all’uopo fissato giusta il disposto dell’art. 55 L.
392/78, sicché, al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice, consegue,
l’emissione, da parte di questi, dell’ordinanza di convalida ex art. 663 cod. proc. civ..
Infatti per effetto del mancato pagamento, il procedimento retrocede alla fase precedente
all’instaurazione del subprocedirnento di sanatoria e il provvedimento da emettere è quello
di convalida, che sarebbe stato emesso se il subprocedimento non fosse stato
instaurato.». Sostanzialmente nello stesso senso, successivamente, Cass. n. 24764 del
2008; si vedano anche Cass. n. 6336 del 2006; n. 5540 del 2012.
Si veda ancora, in precedenza Cass. n. 4646 del 1990, secondo cui: « In tema di
locazione d’immobili urbani, qualora il conduttore cui sia stato intimato lo sfratto per
morosità nel pagamento del canone, pur opponendosi alla convalida per l’eccepita
inesistenza della morosità affermata dal locatore, provveda a corrispondere i canoni dovuti
Est. Cons. Raffaele Frasca
,/\

55 della 1. n. 392 del 1978 ed in presenza di contestazione da parte del locatore della

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

e chieda termine per il pagamento delle spese processuali, previa liquidazione delle stesse
da parte del giudice, dimostra con tale comportamento una volontà incompatibile con
l’opposizione alla convalida, per cui ove egli non adempia al pagamento delle spese nel
termine fissato dal giudice, questi, ai sensi dell’art. 663 cod. proc. civ., deve pronunciare
ordinanza di convalida di sfratto, senza possibilità di rinvio della causa per un’ulteriore
trattazione del merito; detta ordinanza non è impugnabile né con l’appello né con il ricorso
per Cassazione ex art. 111 cost., ma soltanto con l’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 668

cod. proc. civ., tranne nelle ipotesi in cui si sostenga che essa sia stata emessa fuori o
contro le condizioni previste dagli artt. 55 e 56 della legge n. 392 del 1978 e 663 cod. proc.
civ., nel qual caso è impugnabile con l’appello e non direttamente con il ricorso per
Cassazione.».
Poiché nella specie che si giudica non veniva in rilievo una richiesta di sanatoria in
via subordinata, bensì fatta in prima battuta, sebbene con contestazione della sussistenza
dei presupposti della morosità colpevole (dato che si era allegato di avere inutilmente
tentato un’offerta reale) non è necessario discutere se tale giurisprudenza sia condivisibile,
là dove attribuisce alla richiesta subordinata di c.d. termine di grazia, una volta accolta, una
sorta di effetto di consumazione dell’opposizione proposta in via preliminare. Sebbene le
considerazioni che si verranno svolgendo implichino poi elementi che senza dubio
indurrebbero a dissentire da detta giurisprudenza.
§6.2. Invece sarebbe pertinente, fra le decisioni evocate dalla ricorrente, altra non
recente sentenza che così si espresse: «Poiché a norma dell’art. 55 della legge 27 luglio
1978 n. 392, la concessione di un termine per il pagamento dei canoni scaduti rappresenta
non un obbligo ma una facoltà discrezionale di cui il giudice può avvalersi quando, non
essendo stato effettuato il pagamento in udienza, sussistono comprovate condizioni di
difficoltà del conduttore, senza che la sollecitazione da parte dell’intimato di tale facoltà
integri opposizione preclusiva della convalida, legittimamente il giudice, ove non ritenga
di concedere il richiesto termine, convalida lo sfratto con provvedimento che ha natura di
ordinanza non impugnabile – salva l’opposizione ex art. 668 cod. proc. civ. – ove, oltre al
requisito della mancata opposizione dell’intimato, sussista anche l’attestazione in giudizio
del locatore o del suo procuratore della persistenza della morosità>> (Cass. n. 5113 del
1989).
Sarebbe, inoltre, pertinente, ancorché non richiamata dalla ricorrente, la successiva
,

Cass. n. 4031 del 1998, secondo cui «Nel procedimento di convalida di sfratto,
l’ordinanza pretorile che, respingendo l’istanza del convenuto di concessione di un termine
Ì
Est. Cons. R ffaele Frasca
5——–

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R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

di grazia ai sensi dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978 n. 392, sul presupposto della
inapplicabilità di detta disposizione alle locazioni non abitative, dispone la convalida dello
sfratto, risolve una questione di merito di natura decisoria ed è pertanto impugnabile con
l’appello».
§6.3. Il Collegio ritiene che il principio da condividersi sia quello di Cass. n. 4031
del 1998.
La tesi della prima sentenza – già incrinata da Cass. n. 13419 del 2001, secondo cui

«Il diniego del giudice di concedere al conduttore moroso il termine per il pagamento ex
art. 55 della legge n. 392 del 1978 sfugge al sindacato della Corte di Cassazione, ove sia
motivato con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici.» – non appare
condivisibile, perché suppone una costruzione dell’istanza ai sensi dell’art. 55 della 1. n.
392 del 1978 che non è corretta.
In disparte il riferimento alla necessità che sia attestata la persistenza della morosità,
che, come s’è veduto, è in contraddizione con la comparizione dell’intimato e con la
richiesta da parte sua del termine di grazia che implica di solito quella persistenza (salvo
che il termine, essendosi sanata la morosità relativa ai canoni o agli oneri accessori, sia
richiesto per interessi e spese giudiziali, come è possibile), si deve rilevare che non era e
non è concepibile che l’esercizio del potere di concessione del termine di cui all’art. 55,
ancorché subordinato ad una valutazione del giudice, non sia controllabile in iure quanto
all’incidenza del suo erroneo esercizio sulla situazione giuridica del conduttore per effetto
della negazione del temine richiesto, come accadrebbe se il provvedimento adottabile dal
giudice della convalida, quando non ravvisi le comprovate condizioni di difficoltà del
conduttore, dovesse essere l’ordinanza ai sensi dell’art. 663 c.p.c. e non fosse invece
necessario fare luogo alla cognizione piena, nel presupposto dell’esistenza conseguente di
una opposizione del conduttore alla convalida in ragione dell’avviso del giudice. Poiché la
negazione della concessione del termine contrasta con l’atteggiamento del conduttore
intimato, il quale invece postulandola lo ha fatto proprio per evitare la convalida, è palese
che un provvedimento del giudice di adozione dell’ordinanza di convalida in questo caso
assumerebbe i caratteri di un’ordinanza di convalida pronunciata non già a seguito di un
atteggiamento di mancata opposizione, bensì a seguito di un atteggiamento di opposizione,
essendo palese che, chiedendo il termine per la sanatoria il conduttore ha inteso
manifestare anche ed anzi soprattutto l’intento che lo sfratto non sia convalidato, a nulla
rilevando la non contestazione della morosità, dato che i suoi effetti negativi quella
richiesta intende proprio evitare.
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Est. o . Raffaele Frasca

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

Non si comprende, del resto, come, pur in presenza di una pacifica struttura del
procedimento di tutela privilegiata che ricollega l’esigenza della cognizione piena e,
quindi, preclude l’adozione del provvedimento sommario di convalida, alla semplice pur
immotivata manifestazione di un’opposizione alla convalida, possa considerarsi come non
oppositivo un atteggiamento che – per il tramite della richiesta di termine per la sanatoria e,
quindi, della consecuzione proprio di un effetto che è quello di evitare la convalida appare diretto a questo scopo attraverso una istanza intesa ad ottenere il termine e, dunque,

esprime un atteggiamento significativo di una presa di posizione in senso positivo
finalizzata ad impedire la convalida e non di una mera immotivata e di mero contenuto
negativo opposizione ad essa, cioè rivolta solo ad impedire la definizione del procedimento
in via sommaria.
Il provvedimento che il giudice della convalida, il quale non ravvisi le condizioni per
assegnare il temine di cui all’art. 55 della . n. 392 del 1978, può emettere non può essere
allora l’ordinanza ai sensi dell’art. 663 c.p.c., bensì, nel presupposto che la richiesta di
termine esprima comunque un’opposizione alla convalida, il provvedimento di tutela
anticipatoria che la legge prevede per il carattere di forma di tutela privilegiata del
procedimento di convalida, cioè l’ordinanza ai sensi dell’art. 665 c.p.c., cui deve
accompagnarsi l’ordinanza dispositiva della cognizione piena ai sensi dell’art. 667 c.p.c.
Questa ricostruzione, d’altro canto, non è in contraddizione con l’altra per cui, se il
termine viene concesso e non vi sia stata opposizione motivata da altre ragioni, come la
contestazione della morosità o della legittimazione passiva o attiva o la deduzione della
giustificazione della morosità per l’inadempimento del locatore e, comunque, per ragioni
inerenti lo svolgimento del rapporto, ove non venga poi osservato, il giudice debba, di
solito, emettere l’ordinanza di convalida. E’ sufficiente osservare che, avendo la richiesta
del termine senza altre contestazioni integrato un’opposizione alla convalida per la sola sua
concessione, quando il conduttore non osservi il termine, tale inosservanza rende
irrilevante l’opposizione. Peraltro, la dottrina evidenzia che l’emissione dell’ordinanza di
convalida non può nemmeno reputarsi automatica, occorrendo distinguere alcune
situazioni nelle quali comunque è necessaria la cognizione piena e può giustificarsi solo
l’emissione dell’ordinanza di rilascio ai sensi dell’art. 665 e.p.c.: esse sono quelle in cui
comunque si manifesti un’opposizione dell’intimato, il che comporterebbe l’espressione
delle ragioni dell’indicato dissenso dall’orientamento di cui sopra si riferiva e che s’è detto
..

non pertinente nel caso in esame: ma non è questa, per tale ragione, la sede per esprimerle.

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Est. Consi Ra c’e Frasca

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

Interessa, invece, ed è necessario affermare che, in presenza della richiesta di
concessione di termine ai sensi dell’art. 55 della 1. n. 392 del 1978, qualora il giudice
non ritenga sussistenti le condizioni per la sua ammissibilità, o perché non ritenga
comprovate le «condizioni di difficoltà del conduttore» o, ancora prima, perché
non ritenga applicabile l’istituto di cui a tale norma, come nel caso di locazioni ad uso
diverso da quello abitativo, si configura una situazione nella quale, determinando il
contrasto fra la richiesta dell’intimato e l’avviso del giudice un oggettivo

apprezzamento dell’atteggiamento del primo come opposizione alla convalida, il
procedimento per convalida non può definirsi con l’ordinanza di convalida, ma,
sussistendo la necessità della cognizione piena ai sensi dell’art. 667 c.p.c., il giudice
può emettere solo eventualmente l’ordinanza ai sensi dell’art. 665 c.p.c. e disporre la
prosecuzione del giudizio nel merito. Ne consegue che qualora invece il giudice emetta
l’ordinanza di convalida, tale provvedimento risulta emesso al di fuori dei
presupposti di legge e si deve considerare come una sentenza di primo grado
impugnabile con l’appello.».
Ne segue che la Corte territoriale bene ritenne ammissibile l’appello, in quanto, in
presenza di una istanza ai sensi dell’art. 55 della I. n. 392 del 1978, il giudice della
convalida, reputando (sebbene a ragione: si veda l’arresto di cui a Cass. sez. un. n. 272 del
1999) inapplicabile tale istituto alla locazione di cui è processo in quanto ad uso diverso da
quello abitativo, avrebbe potuto emettere solo l’ordinanza ex art. 665 c.p.c. ed avrebbe poi
dovuto disporre la prosecuzione del giudizio con il rito di cui all’art. 447-bis c.p.c. ai sensi
dell’art. 667 c.p.c.
§6.4. 11 terzo, quarto e quinto motivo sono, dunque, rigettati.
Poiché il loro rigetto sorregge la relativa valutazione di ammissibilità dell’appello,
risulta irrilevante l’errore della Corte territoriale censurato con il primo motivo, la cui
valutazione comporta, dunque, solo la correzione della motivazione della sentenza.
§7. Con il sesto motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1456
c.c. (art. 360, comma I, n. 3 c.p.c.)”.
E’ proposto in via subordinata al rigetto dei motivi precedenti.
Vi si lamenta che erroneamente la Corte d’Appello, dopo avere considerato
ammissibile l’appello ed avere esaminata la questione dell’applicabilità del termine ai sensi
dell’art. 55 della 1. n. 392 del 1978, abbia ritenuto di non poter accogliere la domanda di
risoluzione del contratto locativo sulla base della clausola contrattuale, invocata come
clausola risolutiva espressa dalla locatrice, prevista dall’art. 15 del contratto di locazione, a
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Est. Corts. Jaffe1e Frasca

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

motivo della sua genericità e perplessità e precisamente sulla base di tale motivazione:
e «Circa la clausola risolutiva espressa e generica e perplessa. Invero l’art. 15 del contratto
di locazione 21/12/2000 prevede la risoluzione di diritto, fra l’altro, in caso di “mancato o
ritardato pagamento di canoni e spese”. Proprio l’uso del plurale (“canoni”) fa
fondatamente dubitare che il ritardato pagamento di una sola rata di canone, come
avvenuto nel caso di specie, sia sufficiente ad integrare l’ipotesi prevista nella clausola
risolutiva espressa. Sul punto va pure osservato che la precisione e chiarezza sono

essenziali data la gravità delle conseguenze quali quelle della risoluzione di diritto del
contratto, specie a fronte del tipo di inadempimento commesso dalla New Team s.n.c. Non
avrebbe perciò potuto essere accolta la domanda di risoluzione di diritto del contratto.».
In relazione a tale motivazione, la ricorrente contesta che la clausola di cui all’art. 15
sia sta correttamente interpretata, assumendo che essa, dopo il riferimento al mancato
pagamento di canoni e spese evocava le due clausole contrattuali dell’art. 5 e dell’art. 6,
relative agli uni e alle altre, ed evidenziando, quindi, che l’art. 5 parla di “canone di
locazione”, usando il singolare, e che, alla stregua dell’esegesi della Corte lagunare si
sarebbe dovuto ritenere che la clausola risolutiva fosse applicabile solo per il mancato
pagamento di due annualità del canone, il che sarebbe del tutto illogico.
La ricorrente sostiene, inoltre, «che l’art. 1456 c.c. non richiede l’uso di formule
particolari o sacramentali, ritenendo sia sufficiente l’indicazione della prestazione non
eseguita e la relativa conseguente risoluzione del contratto: elementi questi entrambi
presenti nell’art. 15 del contratto di locazione». Rileva ancora che nella specie la
risoluzione era anche ricollegata all’inadempimento dell’obbligazione principale della
conduttrice, quella di pagare il canone.
§7.1. Il motivo è fondato.
In tanto si deve rilevare che l’assunto della Corte veneziana che la clausola risolutiva
sarebbe “generica e perplessa” non è spiegato in modo esplicito, dato che non si dice che
cosa si intende per genericità della clausola e per perplessità di essa.
La successiva motivazione, infatti, non appare espressamente ancorata a tali
caratteristiche expressis verbis.
Si deve, dunque, supporre, per implicito, che la genericità e la perplessità assunte
dalla sentenza risiedano solo nell’uso del plurale “canoni”.
Senonché, esaminando la clausola 5 del contratto, che è riprodotto nell’esposizione
del fatto del ricorso, si rileva: a) che nel punto 5.1. si fa riferimento al “canone di locazione
annuo” e, quindi, si commisura tale canone ad una percentuale del giro di affari, con la
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Est. Consi Raffaele Frasca

R.g.n. 30064-08 (ud. 23.5.2014)

garanzia di un importo minimo; b) che nel punto 5.3. si dice che <

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