Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19864 del 28/09/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/09/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 28/09/2011), n.19864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’AVVOCATURA

COMUNALE, rappresentato e difeso dall’avvocato MAGNANELLI ANDREA,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MANFREDI 17, presso lo studio dell’avvocato CONTI CLAUDIO,

che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6532/2010 del TRIBUNALE di ROMA del 21.1.2010,

depositata il 23/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il controricorrente l’Avvocato Claudio Conti che si riporta

agli scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. TOMMASO

BASILE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza n. 6532 del 23/3/2010 il Tribunale di Roma, in riforma della pronunzia G. di P. Roma 28/2/2006, accoglieva la domanda proposta dal sig. F.M. nei confronti del COMUNE di ROMA di pagamento del servizio di custodia di autoveicoli rimossi su disposizione di quest’ultimo.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello il COMUNE di ROMA propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 MOTIVI. Resiste con controricorso il F..

Con il 1 MOTIVO il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., degli artt. 324, 39 e 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Con il 2 MOTIVO il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2041, 2042 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè difetto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, si appalesano sotto plurimi profili inammissibili.

Va anzitutto osservato che come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare e – anche recentemente – di ribadire, perchè il giudicato esterno, che è rilevabile d’ufficio, possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale deve essere provata attraverso la produzione della sentenza completa della motivazione, non potendone risultare la portata dal solo dispositivo, e recante il relativo attestato di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c. (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586; Cass., 8/5/2009, n. 10623; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass, 2/4/2008, n. 8478;

Cass., 22/5/2007, n. 11889; Cass., 3/11/2006, n. 23567; Cass., Sez. Un. 16/6/2066, n. 13916).

Orbene, nel caso siffatta produzione della evocata sentenza n. 25619/03 del Tribunale di Roma non risulta invero dal ricorrente effettuata, nè il medesimo potrà ammissibilmente ovviarvi ex art. 372 c.p.c., trattandosi di giudicato asseritamente formatosi anteriormente al termine per la proposizione del ricorso per cassazione (cfr. Cass., Sez. Un. 16/6/2066, n. 13916).

Va quindi posto in rilievo che giusta del pari consolidato principio i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718 Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierno ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come il medesimo faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es. all’affidamento a partire dal 1991 … a vari soggetti del servizio di rimozione e deposito veicoli asportati per sosta vietata ed intralcio o percolo alla circolazione, ai sub affidamenti per il materiale svolgimento dello stesso, con particolare riferimento alla custodia dei veicoli, alla costituzione del Consorzio (CAST) fra i soggetti privati che materialmente gestivano tale servizio di deposito, alla messa in liquidazione del CAST, all’atto di citazione in Tribunale in data 26.6.1998, all’atto di appello, ad altro ed autonomo atto di citazione … contenente anche una dichiarazione di rinuncia all’altra azione intrapresa, alla notificazione di atto di rinuncia al giudizio già instaurato, agli artt. 10 e 12 della Convenzione con la quale il Comune aveva affidato il servizio all’ATAC, al petitum (sia pur parziale sul piano solo quantitativo nel giudizio dinanzi al Giudice di pace) e della causa petendi del giudizio relativo alla sentenza del tribunale n. 25619/2003, agli atti introduttivi (in primo e secondo grado), all’affidamento da parte del personale della Polizia Municipale del veicolo rimosso (anche) alla ditta Fabrizi solo in virtù del rapporto esistente tra questa ed il Concessionario del servizio limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v.

Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., lo/2/1995,n. 1161).

Va per altro verso sottolineato che il ricorrente non pone questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777).

Non sono infatti sufficienti affermazioni -come nel caso- apodittiche, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la pronunzia impugnata (Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Per altro verso, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si configura solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (cfr., in particolare, Cass,, 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso, come nella specie, dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito ( v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322), solamente a quest’ultimo spettando individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (v. Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 21/3/2001, n. 4025; Cass., 8/8/2000, n. 10417; Cass., Sez. Un., 11/6/1998, n. 5802; Cass., 22/12/1997, n. 12960).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già, come evidentemente suppongono gli odierni ricorrenti, il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v., da ultimo v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 20/10/2005, n. 20322; v. Cass., 27/4/2005, n. 8718; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 21/3/2001, n. 4025; Cass., 8/8/2000, n. 10417; Cass., 8/8/2000, n. 10414; Cass., Sez. Un., 11/6/1998, n. 5802; Cass., 22/12/1997, n. 12960).

Al riguardo, il ricorrente non ha d’altro canto formulato censura degli art. 115, 116 c.p.c. Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443);

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;

rilevato che il ricorrente non ha presentato memoria, che è stata viceversa presentata dal controricorrente;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;

ritenuto che il ricorso va pertanto rigettato;

atteso che non può farsi luogo a pronunzia in ordine al giudicato esterno, come richiesto dal controricorrente nella memoria, atteso che le sentenze prodotte non recano invero la prescritta attestazione di cancelleria in ordine al loro passaggio in giudicato, nè questo può ritenersi avvenuto, atteso che dal loro stesso tenore emerge come sia stato nelle stesse disposta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio al giudice del merito, e non è fornita la prova della avvenuta definizione del giudizio di rinvio;

considerato che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 900,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2011

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