Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19864 del 26/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 19864 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 17872-2017 proposto da:
D’AGOSTINO RAFFAELE, domiciliato in ROMA, PIAllA
CAVOUR, presso la Cancelleria della Corte di
Cassazione, rappresentato e difeso dallAvvocato PAOLO
GALLUCCIO, RAFFAELE BENE giusta delega in atti;
– ricorrente 2018
1894

contro

COMUNE POZZUOLI, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FASANA 21,
presso lo studio dell’avvocato MICHAEL LOUIS STIEFEL,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE FERRARO

Data pubblicazione: 26/07/2018

giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 3905/2017 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/05/2017 R.G.N.
4407/2016;

udienza del 09/05/2018 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MATTA MAFALDA per delega verbale
Avvocato PAOLO GALLUCCIO.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Udienza del 9 maggio 2018 – Aula B
n. 6 del ruolo – RG n. 17872/17
Presidente: Manna – Relatore: Tria

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata l’11 maggio 2017)
rigetta il reclamo proposto da Raffaele d’Agostino avverso la sentenza n.
8391/2016 del Tribunale di Napoli di rigetto della domanda, proposta con
ricorso in opposizione ex art. 1, comma 51, della legge n. 92 del 2012 dal
D’Agostino, con consequenziale conferma dell’ordinanza n. 1340/2016 con la
quale era stata respinta l’impugnativa del licenziamento presentata dal
reclamante.
La Corte d’appello di Napoli – dopo aver sottolineato l’improprietà della
richiesta applicazione del rito Fornero perché nella presente vicenda non si
discute di un licenziamento,ma di una risoluzione unilaterale del rapporto di
lavoro posta in essere dal Comune di Pozzuoli in applicazione delle specifica
normativa in materia – per quel che qui interessa, precisa che:
a) il Comune di Pozzuoli in applicazione delle procedure in materia di
ricognizione del fabbisogno del personale e, in particolare, di quelle relative al
prepensionamento, ha disposto con nota del 6 luglio 2015 la risoluzione
unilaterale, con decorrenza 1 febbraio 2016, del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato del ricorrente assunto il 1 marzo 1979, inquadrato nella
categoria C con qualifica di istruttore amministrativo contabile;
b) nella vicenda viene in considerazione, in primo luogo, l’art. 33 del d.lgs.
n. 165 del 2001, come sostituito dall’art. 16 della legge n. 183 del 2011,
mentre non si applica l’art. 6 dello stesso decreto;
c) peraltro, il provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro in
oggetto – al pari dei numerosi altri analoghi adottati sulla base nell’indicata
delibera comunale – è stato emesso in applicazione della disciplina di cui
all’art. 72, comma 11, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, essenzialmente per esigenze
di contenimento della spesa del personale delle Pubbliche Amministrazioni, a
fronte di riscontrate eccedenze di personale nei profili professionali delle
categorie A, B e C;
d) le contestate informazioni richieste dalla PA all’INPS prima
dell’emanazione della delibera n. 100 del 2014 (di ricognizione delle eccedenze
i

ESPOSIZIONE DEL FATTO

e) inoltre, diversamente da quel che sostiene il reclamante, non si rinviene
nella normativa alcun termine di scadenza inderogabile e perentorio entro cui
dichiarare le eccedenze, visto che il tenore testuale della legge esclude che sia
attribuibile un simile carattere al termine del 31 dicembre 2013 ivi indicato;
f) per effetto delle modifiche apportate dall’art. 16 del d.l. n. 98 del 2011,
convertito dalla legge n. 111 del 2011 all’art. 72, comma 11, cit., l’esercizio
della facoltà riconosciuta alle Pubbliche Amministrazioni da tale ultima
qualora
motivazione,
ulteriore
di
non
necessitava
disposizione
l’amministrazione interessata avesse preventivamente determinato appositi
criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al
visto dei competenti organi di controllo;
g) tra i dipendenti in eccedenza rientravano coloro che erano in possesso
dei requisiti di cui all’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, come il ricorrente;
h) essendo il suddetto un criterio di scelta legale e inderogabile,anche da
questo punto di vista non è ipotizzabile alcuna violazione da parte della PA dei
principi di trasparenza, buona fede e non discriminazione;
i) è inconferente il richiamo a Cass. n. 11595 del 2016, che riguarda
un’ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro verificatasi prima dell’entrata in
vigore della riforma dell’art. 72, comma 11, cit. da parte dell’art. 16, comma
11, del d.l. n. 98 del 2011;
I) non è neppure configurabile alcuna violazione delle direttive UE, come
già affermato dalla giurisprudenza di legittimità in controversie analoghe alla
presente;
m) la procedura di prepensionamento in argomento risulta essere stata
attuata e giustificata dalla necessità del Comune di procedere alla
ridistribuzione delle risorse disponibili al fine di garantirne una maggiore
efficienza, derivante dalla sproporzione della spesa per il personale, dallo
squilibrio nel rapporto dipendenti/abitanti, dalle eccedenze di personale di
qualifiche medio-basse dovuta soprattutto ad assunzioni avvenute in passato
per effetto di leggi speciali negli anni ’80;
n) in sintesi l’operato del Comune di Pozzuoli è immune da vizi e censure
in quanto risulta conforme alla citata normativa in materia di collocamento a
2

di personale, razionalizzazione degli assetti organizzativi e riduzione della
spesa per il personale), avendo ad oggetto la ricognizione dei dipendenti
potenzialmente interessati alla procedura per i quali sussisteva il diritto alla
pensione, erano finalizzate a tutelare il personale e certamente non ad
effettuare discriminazioni;

riposo d’ufficio e non ha alcun rilievo, in contrario, l’avvenuta assunzione di
due dipendenti appartenenti alla categoria D, in quanto si tratta di categoria
diversa da quella del ricorrente e non ricompresa nella procedura di
prepensionamento comunale.
2. Il ricorso di Raffaele d’Agostino domanda la cassazione della sentenza
per sei motivi; resiste, con controricorso, illustrato da memoria, il Comune di
Pozzuoli.

I — Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in sei motivi.
1.1. Con il primo motivo si denunciano: 1) errata applicazione delle
seguenti disposizioni: a) art. 72, comma 11, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; b) direttiva
2000/78/CE, cui è stata data attuazione con il d.lgs. n. 216 del 2003; c) art.
33, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato e integrato dall’art.
16 della legge n. 183 del 2011; 2) errata applicazione: a) della Circolare c.d.
Madia n. 4 del 2014; b) della Circolare del Ministero della Funzione Pubblica n.
3 del 2013.
Si sostiene che la presente fattispecie non sarebbe configurabile come
pensionamento per raggiunti limiti di età e di anzianità secondo la c.d. Riforma
Fornero, in quanto si tratta di una risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro
con conseguente prepensionamento in deroga alle leggi applicabili. Infatti,
diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, il ricorrente avrebbe
raggiunto i requisiti di cui all’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 nel mese di
settembre 2019, con il compimento del sessantasettesimo anno di età e i
requisiti per la pensione di vecchiaia, sulla base di una contribuzione pari a 41
anni e 6 mesi. D’altra parte, la maturazione dell’anzianità massima
contributiva, pari a 40 anni, il d’Agostino l’avrebbe raggiunta solo il giorno 1
marzo 2018.
Pertanto, non era applicabile il richiamato art. 72, comma 11, del d.l. n.
112 del 2008, attributivo alle Pubbliche Amministrazioni della facoltà di
risoluzione unilaterale del rapporto solo al raggiungimento dell’anzianità
contributiva massima.
Nella specie il rapporto è stato risolto con decorrenza 1 febbraio 2016,
cioè da una data nella quale il ricorrente aveva 63 anni e 5 mesi di età e
un’anzianità contributiva di 37 anni e 11 mesi (quota 97,3 maturata in data 17
gennaio 2014), pertanto la risoluzione del rapporto presupponeva il consenso
3

RAGIONI DELLA DECISIONE

Pertanto la delibera n. 78 del 2015 sarebbe stata adottata dal Comune di
Pozzuoli senza la preventiva necessaria ricognizione del personale in
soprannumero e in contrasto con l’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 165 del
2001, come modificato e integrato dall’art. 16 della legge n. 183 del 2011.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia errata applicazione dell’art. 2,
comma 11,1ettere a) e b), del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7
agosto 2012, n. 135, con riferimento all’affermazione della Corte d’appello
secondo cui è stato esclusa la previsione legislativa di alcun termine di
scadenza inderogabile e perentorio entro cui dichiarare le eccedenze,
sull’assunto che il tenore testuale della legge non consente di attribuire un
simile carattere al termine del 31 dicembre 2013 ivi indicato. Si sostiene,
invece, il carattere perentorio del suddetto termine e che, di conseguenza, il
suo rispetto avrebbe dovuto portare a fare riferimento esclusivamente alla
delibera della Giunta comunale n. 68 del 2013, nella quale era stata attestata
l’assoluta assenza di eccedenze di personale al 31 dicembre 2013.
1.3. Con il terzo motivo si denunciano:a) errata applicazione dell’art. 72,
comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 cit. e della direttiva 2000/78/CE; b)
violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., con riferimento alla ritenuta
inesistenza dell’obbligo di motivazione, statuizione che viene contestata sul
presupposto che avrebbe dovuto considerarsi applicabile la disciplina dei
licenziamenti collettivi, come affermato da Cass. n. 11595 del 2016.
Si sottolinea, inoltre, che dalla citata sentenza si desume che la
“motivazione organizzativa” deve sostenere anche le risoluzioni “automatiche”
dei rapporti di lavoro, per evitare discriminazioni (anche per età) vietate dalla
richiamata direttiva UE oltre che per garantire il rispetto dei canoni di buona
fede e trasparenza dell’azione della PA.
1.4. Con il quarto motivo si denuncia errata applicazione delle seguenti
disposizioni: art. 6 d.lgs. n. 165 del 2001, art 2, comma 8, e art. 16, comma 8,
del d.l. n. 95 del 2012 cit.; d.m. 16 marzo 2011, n. 51770; direttiva
2000/78/CE, cui è stata data attuazione con il d.lgs. n. 216 del 2003.

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del dipendente e non poteva essere decisa d’ufficio, sovvertendo l’iter
procedimentale stabilito nella c.d. circolare Madia cit. che non è stata rispettata
anche perché la PA non ha mai individuato in astratto i dipendenti in
soprannumero, ma si è limitata a stilarne un elenco sulla base delle
informazioni richieste all’INPS prima di avviare l’iter procedimentalizzato dalla
normativa, senza applicare il criterio del pensionamento ordinario, indicato
dalla circolare c.d. Madia come prioritario.

Si sostiene che la Corte d’appello non avrebbe considerato che, nella
specie, mancavano sia il prescritto atto preventivo di macro-organizzazione sia
la apposita determinazione dirigenziale supportata da esauriente motivazione.
Neppure la Corte territoriale avrebbe tenuto conto del fatto che il decreto
del Ministero dell’Interno 24 luglio 2014 ha individuato i rapporti medi tra
popolazione e dipendenti pubblici per il triennio 2014-2016, ma solo per gli enti
in condizioni di dissesto o che avessero fatto ricorso alla procedura di
riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243-bis, comma 8, lettera g), TUEL.
Ma il Comune di Pozzuoli non si trovava nelle descritte condizioni quindi
non gli era imposta un’azione necessitata ed automatica di adeguamento.
1.5. Con il quinto motivo si denuncia errata individuazione della norma
applicabile ed errata applicazione della c.d. circolare Madia n. 4 del 2014, del
d.lgs. n. 165 del 2001 nonché del d.l. n. 101 del 2013 e degli artt. 1175 e
1375 cod. civ., con riguardo all’affermata correttezza della risoluzione del
rapporto di lavoro in oggetto, che sarebbe stato invece discriminatorio ed
effettuato senza trasparenza, come sarebbe dimostrato dal fatto che la PA eludendo la normativa pensionistica – ha avviato la procedura di
prepensionamento come autoritativa (ex circolare Madia), ma poi nella
sostanza ha licenziato i dipendenti facendo riferimento alla disciplina del
prepensionamento su base volontaria.
1.6. Con il sesto motivo si denuncia omessa motivazione sulla violazione
dell’art. 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e della c.d.
circolare Madia n. 4 del 2014, sul rispetto del patto di stabilità interno che
sarebbe stato violato dalla decisione del Comune di disporre l’integrazione
salariale di alcuni LSU nel periodo immediatamente successivo all’adozione
della procedura di prepensionamento in argomento.
II – Esame delle censure

2. Il ricorso è da respingere, per le ragioni di seguito esposte e in
continuità con i condivisi indirizzi espressi da questa Corte in precedenti
decisioni relative a controversie analoghe alla presente.
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Si contesta la statuizione secondo cui la procedura di prepensionamento
sarebbe stata attuata e giustificata dalla necessità del Comune di procedere
alla ridistribuzione delle risorse disponibili al fine di garantirne una maggiore
efficienza., derivante dalla sproporzione della spesa per il personale, dallo
squilibrio nel rapporto dipendenti/abitanti, dalle eccedenze di personale di
qualifiche basse dovuta soprattutto ad assunzioni avvenute per effetto di leggi
speciali negli anni ’80.

3. Il primo motivo è inammissibile per plurime, concorrenti ragioni.

Infatti, in base ad un costante orientamento di questa Corte, le circolari
della P.A. sono atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo
uniforme l’attività degli organi inferiori e, quindi, hanno natura non normativa,
zgit
ma diti amministrativi, pertanto la loro violazione non è denunciabile in
cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass. 10
agosto 2015, n. 16644; Cass. 12 gennaio 2016, n. 280; Cass. 30 maggio 2005
n. 11449).
3.2. Inoltre, sia con riguardo alle suddette Circolari, sia per le delibere
comunali richiamate sia per le contestate informazioni richieste dal Comune
all’INPS, non risulta rispettato il principio di specificità dei motivi di ricorso per
cassazione (c.d. autosufficienza), in base al quale il ricorrente per cassazione
qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di
documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art.
366, n. 6, cod. proc. civ. e all’art. 369, n. 4, cod. proc. civ. (vedi, per tutte:
Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
3.3. Infine la contestazione della statuizione della Corte d’appello secondo
cui il ricorrente era in possesso dei requisiti di cui all’art. 24 del d.l. 6 dicembre
2011, n. 201 del 2011, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e
quindi rientrava tra i dipendenti in eccedenza viene effettuata dal ricorrente
facendo riferimento in parte ai suindicati documenti non ritualmente richiamati
e, in parte, apoditticamente ad elementi di fatto – relativi, in particolare, ai
requisiti di età e di anzianità contributiva posseduti – e così implicitamente
chiedendone a questa Corte una inammissibile rivalutazione.
4. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Con esso il ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello
secondo cui non si rinviene nella normativa alcun termine di scadenza
inderogabile e perentorio entro cui dichiarare le eccedenze, visto che in
particolare il tenore testuale della legge (in particolare dell’art. 2 comma 11,
lettere a) e b), del d.l. n. 95 del 2012) non consente di attribuire un simile
carattere al termine del 31 dicembre 2013 ivi indicato.
Tale contestazione però è del tutto generica e non è idonea a scalfire la
chiara statuizione della Corte territoriale sul punto, in quanto non offre
argomenti al riguardo, essendo principalmente basata sul richiamo – peraltro
non autosufficiente – della delibera della Giunta comunale n. 68 del 2013, nella
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3.1. In primo luogo risulta irrituale la denuncia del mancato rispetto della
Circolare c.d. Madia n. 4 del 2014 e della Circolare del Ministero della Funzione
Pubblica n. 3 del 2013, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.

quale sarebbe stata attestata l’assoluta assenza di eccedenze di personale al
31 dicembre 2013. Ma è evidente che una simile attestazione comunque non
avrebbe alcuna incidenza sulla natura del termine previsto dall’art. 2, comma
11, cit.
5. Il terzo motivo non è fondato.

a) per effetto delle modifiche apportate dall’art. 16 del d.l. n. 98 del 2011,
convertito dalla legge n. 111 del 2011 all’art. 72, comma 11, cit., l’esercizio
della facoltà riconosciuta alle Pubbliche Amministrazioni da tale ultima
qualora
motivazione,
ulteriore
necessitava
di
non
disposizione
l’Amministrazione interessata avesse preventivamente determinato in via
generale appositi criteri 3E applicativi con atto generale di organizzazione
interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo;
b) è inconferente il richiamo a Cass. n. 11595 del 2016, che riguarda
un’ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro verificatasi prima dell’entrata in
vigore della riforma dell’art. 72, comma 11, cit. da parte dell’art. 16, comma
11, del d.l. n. 98 del 2011;
c) non è configurabile alcuna violazione delle direttive UE, come già
affermato dalla giurisprudenza di legittimità in controversie analoghe alla
presente.
5.2. Tutte e tre le suddette statuizioni sono corrette e conformi alla
giurisprudenza di questa Corte in materia, che è da intendere qui richiamata
(vedi, spec.: Cass. 18 ottobre 2017, n. 24583).
5.3. Deve essere premesso, sul punto, che, come correttamente affermato
dalla Corte d’appello, la presente vicenda trova la sua disciplina principale
ratione temporis applicabile nell’art. 33 del d.lgs. n. 165 del 2001, come
sostituito dall’art. 16 della legge n. 183 del 2011.
Tale disposizione indica le procedure che le Pubbliche Amministrazioni, le
quali hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di
personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria,
sono tenute ad osservare.
5.4. In particolare, al comma 5, stabilisce che, ai suddetti fini,
l’Amministrazione, in via principale, applica l’art. 72, comma 11, del d.l. 25
giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che nella
versione originaria non conteneva alcuno specifico riferimento alla motivazione
del provvedimento in oggetto.
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5.1. Con esso si contestano le seguenti plurime statuizioni contenute nella
sentenza impugnata:

Quest’ultima è ratione tennporis la disposizione da applicare alla presente
fattispecie, che ha avuto inizio prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma
5, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114
il quale ha nuovamente sostituito il comma 11 del citato art. 72, prevedendo,
fra l’altro, espressamente l’adozione di una “decisione motivata con riferimento
alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati”.
5.5. Questa Corte con le plurime recenti pronunce cui dianzi si è fatto
cenno (Cass. nn. n. 24583, 1754 e 1706 del 2017; nn. 26475, 25378, 18723,
11595 del 2016; n. 21626 del 2015) ha, sulla base della interpretazione della
normativa applicabile, affermato principi di diritto che – benché nella maggior
parte dei casi enunciati in relazione a fattispecie svoltesi in epoca antecedente
all’entrata in vigore del citato art. 16, comma 11, del d.l. n. 98 del 2011 tuttavia risultano essere nella sostanza applicabili anche nel presente giudizio
con riguardo all’assolvimento dell’obbligo motivazionale, al rispetto dei canoni
generali di correttezza e buona fede, alla conformità della disciplina con il
diritto della UE, nella parte in cui fa divieto di trattamenti discriminatori in
ragione dell’età.
5.6. Quanto all’obbligo di motivazione, premesso il carattere innovativo e
non interpretativo dell’art. 16, comma 11, cit., alla luce delle suindicate
pronunce va precisato che per le fattispecie – come la presente – cui tale
disposizione è applicabile, attraverso l’adozione dell’atto organizzativo previsto
dalla norma vengono tutelati gli interessi cui risponde la previsione della
motivazione dell’atto amministrativo – ostensione delle ragioni organizzative
sottese all’adozione dell’atto di risoluzione, che rendono l’atto rispondente al
pubblico interesse il quale deve costantemente orientare l’azione
amministrativa (d.lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2), rispetto dei canoni
generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), dei principi
di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché dell’art. 6,
comma 1, della direttiva 78/2000/CE – poiché il suddetto atto, per la sua
stessa natura, è idoneo ad esplicitare le finalità dell’azione dell’ente e la sua
previa adozione permette anche di verificare la riconducibilità del singolo atto
di risoluzione alle esigenze esplicitate nel provvedimento di carattere generale.
8

È con l’art. 16, comma 11, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, che si prevede che l’esercizio della facoltà di
risoluzione unilaterale dei rapporti di lavoro dei dipendenti riconosciuta alle
Pubbliche Amministrazioni, dall’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008
“non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata
abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi
con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti
organi dì controllo”.

5.7. Quanto alla sentenza di questa Corte n. 11595 del 2016 va precisato
che, ai fini della questione relativa all’obbligo della motivazione, tale sentenza
non è richiamabile nel presente giudizio in quanto si riferisce ad una fattispecie
antecedente all’entrata in vigore dell’art. 16, comma 11, cit., altresì
caratterizzata anche dalla mancanza di un atto generale di organizzazione,
presente invece nella vicenda qui all’esame.
5.8. Quanto alla lamentata violazione delle direttive comunitarie è
sufficiente ricordare il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo
cui la risoluzione unilaterale da parte di una Pubblica amministrazione dei
rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n.
165 del 2001 e in applicazione dell’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008
non contrasta con l’art. 6 della direttiva 2000/78/CE, attuata dal d.lgs. n. 216
del 2003, come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, in
quanto tale direttiva consente agli Stati membri di prevedere, nell’ambito del
diritto nazionale, forme di differenze di trattamento dei lavoratori fondate
sull’età purché siano “oggettivamente e ragionevolmente” giustificate da una
finalità legittima quale è la politica del lavoro e del relativo mercato o della
formazione professionale e sempre che i mezzi per il raggiungimento di tale
scopo siano necessari e appropriati, come si verifica nella specie (vedi, per
tutte: Cass. 28 ottobre 2015, n. 22023; Cass. 9 giugno 2016, n. 11859).
5.9. Di qui il rigetto del terzo motivo.
6. Il quarto motivo è inammissibile sia per mancato rispetto del principio
di autosufficienza (specialmente, con riferimento alle delibere comunali
richiamate) sia perché – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di
diritto contenuto nell’intestazione del motivo – con esso sostanzialmente si
contestano scelte discrezionali operate dalla PA al fine di dare l’avvio alla
procedura di risoluzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti di cui si tratta non sindacabili nel merito in questa sede non essendo consentito al giudice
sostituirsi alla Pubblica Amministrazione nelle scelte di carattere organizzativo
– mentre, d’altra parte, non sono offerti argomenti idonei ad inficiare il giudizio
di correttezza e legittimità della procedura espresso dalla Corte d’appello.

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In tale ipotesi – che è quella che qui ricorre – quindi, per espressa volontà
del legislatore, non è necessario che la risoluzione anticipata del rapporto
venga ulteriormente giustificata, ben potendo l’Amministrazione limitarsi a
richiamare i criteri applicativi della norma di legge individuati in via preventiva,
criteri che non possono essere sindacati nel merito, non essendo consentito al
giudice sostituirsi alla Pubblica Amministrazione nelle scelte di carattere
organizzativo.

8. Infine anche il sesto motivo è inammissibile in quanto le censure con
esso proposte attengono ad una prospettata omissione di motivazione in
ordine ad una scelta discrezionale della PA – come tale non sindacabile in sede
giudiziaria – e, quindi, fanno riferimento a parti della motivazione in diritto
della sentenza impugnata, sicché risultano formulate in modo non conforme
all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo successivo alla modifica ad opera
dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012,
n. 134, applicabile ratione tennporis nella specie (Cass. SU 7 aprile 2014, n.
8053; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928).
III

Conclusioni

9. In sintesi, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura
indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della
sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 200,00
(duecento/00) per esborsi, euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi
professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per
legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
pcipale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso p-Fi-Frei-pa+e, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 9
maggio 2018.
Il Presidente
10

7. Pure il quinto motivo è inammissibile perché con esso il ricorrente senza dare adeguato rilievo alla critica situazione eccedentaria riscontratasi nel
Comune di Pozzuoli con conseguente eccessiva spesa per il personale – critica
il criterio discrezionale prescelto dalla PA per uscire dall’anzidetta situazione,
rappresentato dal prepensionamento delle categorie medio-basse di personale,
oltretutto basando le sue contestazioni sulla prospetta violazione della c.d.
Circolare Madia, irritualmente invocata, come si è detto sopra (vedi punto 3.1).

Il Funzionario Giudiziario ,
Dott.ssa Dotlate”

Dopositato Céatiét
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