Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19864 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/08/2017, (ud. 03/07/2017, dep.09/08/2017),  n. 19864

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 789/2011 R.G. proposto da:

FANSIL PAROPAMISUS s.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, via

Sistina, n. 58/12, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Mac

Donaid, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e contro

Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., concessionario del servizio

di riscossione per la Provincia di Livorno;

– intimata –

nonchè contro

Ministero dell’economia e delle finanze, rappresentato e difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliato

in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, Sezione staccata di Livorno, n. 63/23/10, depositata il 2

settembre 2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2017

dal Consigliere Nicastro Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il 9 agosto 2006, la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., concessionario del servizio di riscossione per la Provincia di Livorno, notificò alla FANSIL PAROPAMISUS s.r.l. una cartella di pagamento emessa a seguito della liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazione modello Unico/2002 presentata dalla società contribuente relativamente all’anno 2001.

2. – Detta cartella fu impugnata dalla FANSIL PAROPAMISUS s.r.l. davanti alla Commissione tributaria provinciale di Livorno, che rigettò il ricorso.

3. – Avverso tale pronuncia, la FANSIL PAROPAMISUS s.r.l. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Toscana, Sezione staccata di Livorno (hinc, anche: “CTR”), che lo rigettò. I giudici dell’appello, in particolare, ritennero infondati entrambi i motivi di impugnazione formulati dalla FANSIL PAROPAMISUS s.r.l., i quali ponevano le questioni, il primo, della validità (o no) delle cartelle di pagamento prive dell’indicazione del responsabile del procedimento e, il secondo, del termine previsto, a pena di decadenza, per la notificazione delle stesse.

4. – Avverso tale sentenza della CTR, notificata il 29 ottobre 2010, ricorre per cassazione la FANSIL PAROPAMISUS s.r.l., che affida il proprio ricorso, notificato dall’avvocato, a mezzo del servizio postale, all’Agenzia delle entrate, alla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e al Ministero dell’economia e delle finanze il 28 dicembre 2010, a due motivi.

5. – L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 4 febbraio 2011.

6. – La Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e il Ministero dell’economia e delle finanze non si sono costituiti.

7. – Il ricorso è stato successivamente fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, aggiunto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. a), n. 2), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, art. 1.

8. – In ragione del constatato decesso dell’avvocato della società ricorrente, la cancelleria di questa Corte ha incaricato l’ufficiale giudiziario di comunicare la fissazione del ricorso in camera di consiglio alla FANSIL PAROPAMISUS s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va affermata l’ammissibilità della trattazione della causa nonostante l’avviso della fissazione del ricorso in camera di consiglio non sia stato comunicato neppure alla FANSIL PAROPAMISUS s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore.

Come si è detto (punto 8. della parte in fatto), dopo avere constatato la cancellazione dall’albo, in seguito a decesso, dell’unico avvocato della società ricorrente M.D.A. – ancorchè nella prima pagina del ricorso venga indicato come difensore anche l’avvocato Iliaria Morelli, la procura alle liti apposta in calce al ricorso non contempla tale avvocato, al quale non è stato quindi conferito alcun mandato – la cancelleria di questa Corte ha incaricato l’ufficiale giudiziario di comunicare la fissazione del ricorso in camera di consiglio alla FANSIL PAROPAMISUS s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore.

L’ufficiale giudiziario incaricato di effettuare tale comunicazione ha però esposto, nelle sue relazioni, di non aver potuto comunicare il detto avviso perchè: a) in Livorno, via Gaetano Poggiali, n. 9 – sede della società indicata nella sentenza impugnata – “non rinvenuto al sito indicato, la società come in atti, dove rinvengo un garage. Vane le ulteriori ricerche e informazioni ivi svolte” (relazione dell’11 aprile 2017); b) in Livorno, via Ricasoli, n. 108 – sede indicata dalla stessa FANSIL PAROPAMISUS s.r.l. nel proprio ricorso per cassazione – “non reperita all’indirizzo (…). Da informazioni assunte la società era domiciliata presso la studio Morelli trasferito altrove da alcuni anni” (relazione del 28 aprile 2017).

Da tanto emerge l’assoluta impossibilità di provvedere all’adempimento procedurale, sebbene posto a garanzia del diritto di difesa, “non potendosi spingere la tutela di tal diritto, comunque di esercizio squisitamente personale, alla ricerca di indirizzo oltre le possibilità offerte dagli atti propri del giudizio di cassazione” (Sez. 5, sentenza n. 21711 del 2006). Nel caso di specie, infatti, tali atti, al di là dell’indicazione delle due menzionate sedi della società – rivelatasi, però, priva di utilità – non contengono alcuna ulteriore informazione che consenta di individuare un diverso luogo dove poter inviare alla parte la comunicazione della fissazione del ricorso (onde consentirle di nominare un nuovo difensore), la cui trattazione è, comunque, pur sempre dominata dall’impulso d’ufficio. Deve pertanto farsi applicazione del principio – più volte ribadito da questa Corte – secondo cui “Nel giudizio di cassazione, in caso di morte del difensore del ricorrente, presso il quale quest’ultimo abbia eletto domicilio in Roma, l’assoluta impossibilità di notificare l’avviso di fissazione dell’udienza alla parte personalmente, a causa dell’irreperibilità della stessa nel luogo indicato nel ricorso (nella specie, la sede della società ricorrente) e dell’assenza di qualsiasi ulteriore indicazione idonea ad individuare un luogo diverso al quale indirizzare la comunicazione, non costituisce impedimento alla trattazione della causa, essendo quest’ultima pur sempre dominata dall’impulso d’ufficio, e non potendosi spingere la garanzia del diritto di difesa, comunque di esercizio squisitamente personale, fino al punto d’imporre la ricerca di un indirizzo oltre le possibilità offerte dagli atti propri del giudizio di legittimità” (Sez. 5, sentenza n. 21711 del 2006, Rv. 593272; nello stesso senso, ex plurimis, Sez. 4, sentenza n. 17218 del 2010 e Sez. 5, sentenza n. 12982 del 2007).

2. – Ancora in via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, in quanto soggetto privo di legittimazione. Questa Corte ha infatti da tempo chiarito che, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria (di cui l’amministrazione dello Stato resta, peraltro, titolare), per effetto della quale si deve ritenere che la legittimazione ad causam e ad processum, nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data, spetti esclusivamente alla menzionata Agenzia (per tutte, Sez. Un., sentenza n. 3116 del 2006).

3. – Sempre sul piano preliminare, si impongono, infine, ulteriori due rilievi.

3.1.- Da un canto, quello che la società ricorrente ha omesso di produrre l’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso spedita per la notificazione alla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., con la conseguenza che, non avendo questa svolto attività difensiva, difetta la prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento di notificazione e, quindi, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio nei riguardi della stessa.

3.2. – D’altro canto, quello che, nonostante l’impugnata sentenza della CTR sia stata emessa – come risulta sia dalla sua epigrafe che dalla sua motivazione – anche nei confronti della Gerit s.p.a., agente della riscossione per la Provincia di Livorno, la società ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione contro di essa. Poichè, nella specie, l’impugnazione concerne anche vizi propri della cartella di pagamento (quale certamente è quello relativo alla mancata indicazione, nella stessa cartella, del responsabile del procedimento), imputabili al soggetto cui è affidato l’esercizio delle funzioni relative alla riscossione, è configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, che determina l’inscindibilità della causa ai sensi dell’art. 331 c.p.c. (con riguardo a fattispecie analoghe, Sez. 5, sentenze n. 10934 del 2015 e n. 1462 del 2009; in generale, sulla necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione anche nel caso di litisconsorzio necessario processuale, quando si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, ex plurimis, Sez. 1, sentenza n. 7732 del 2016); con la conseguenza che questa Corte, in applicazione di tale disposizione, dovrebbe ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti del menzionato agente della riscossione Gerit s.p.a. (o del suo eventuale successore).

Sennonchè, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo, derivante dall’artt. 111 Cost., comma 2, e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali certamente rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. In applicazione di tale principio, essendo il ricorso prima facie inammissibile e, comunque, infondato – per le ragioni che si esporranno ai punti 3. e 4. – la fissazione del termine per l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., (della quale pure sussistono, come si è detto, i presupposti), nei confronti di una parte integralmente vittoriosa nei gradi di merito risulta superflua, atteso che tale fissazione si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento del tempo necessario per la definizione del giudizio di cassazione, senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (in tale senso, con riguardo a fattispecie analoghe, ex plurimis, Sez. 3, sentenze n. 15106 del 2013 e n. 690 del 2012, Sez. 6-3, ordinanza n. 21141 del 2011, Sez. 1, sentenza n. 2723 del 2010).

4. – Con il primo, complesso, motivo, la ricorrente denuncia, che “la sentenza (impugnata) viola le norme di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione o falsa applicazione di norme di diritto) e n. 5 (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) per quanto attiene il non contestare motivatamente in dettaglio quanto asserito nell’appello”. La ricorrente lamenta, in particolare (nei limiti in cui sembra possibile sintetizzarne le doglianze): a) quanto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che la CTR, posto che la L. n. 212 del 2000, art. 7, prevede che gli atti dei concessionari della riscossione debbono indicare il responsabile del procedimento – adempimento che, anche secondo l’ordinanza della Corte costituzionale n. 377 del 2007 e la sentenza della stessa Corte n. 58 del 2009 è diretto ad assicurare la trasparenza amministrativa, l’informazione del cittadino e il suo diritto di difesa – la CTR avrebbe errato nel non ritenere che la mancanza di detta indicazione nelle cartelle di pagamento relative (come quella impugnata) a ruoli consegnati all’agente della riscossione prima del 1 giugno 2008, ancorchè non sia causa di nullità delle stesse, secondo quanto previsto dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 – ter, periodo 2, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008, comporta “la pratica impossibilità di detto stesso atto di produrre effetti a carico del cittadino cui l’atto è riferito”; b) quanto alla “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, che la CTR, limitandosi, nella motivazione della sentenza impugnata, a riprodurre alcuni passaggi della sentenza della Corte costituzionale n. 58 del 2009, avrebbe trascurato di “contestare in dettaglio quanto asserito nell’appello” con riguardo alle conseguenze della mancata indicazione del responsabile del procedimento nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati all’agente della riscossione prima del 1 giugno 2008.

4.1.- Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

L’inammissibilità deriva dal fatto che la ricorrente prospetta più profili di doglianza, senza distinguere, nell’ambito del motivo, tra questioni di diritto e questioni di fatto (tanto da rendere difficoltosa la stessa individuazione delle medesime) e senza esplicitare chiaramente nè le norme di diritto asseritamente violate o falsamente applicate (neppure indicate nella rubrica del motivo) nè i fatti controversi e decisivi in ordine ai quali la motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata omessa, insufficiente o contraddittoria (vizi questi che, tra l’altro, reciprocamente si escludono; sulla necessità che, ai fini dell’ammissibilità del motivo articolato in più profili di doglianza, sia possibile cogliere con chiarezza le singole censure prospettate, Sez. Un., sentenza n. 9100 del 2015, Sez. 6-3, ordinanza n. 7009 del 2017). Inoltre, quanto al profilo di censura prospettato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – qui applicabile, ratione temporis, nella formulazione risultante dalla sostituzione del detto comma 1 operata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, comma 1, – con esso appare denunciata l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione relativamente non a un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, da intendersi come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, ma a “questioni” o “argomentazioni”, rispetto alle quali il suddetto vizio motivazionale è irrilevante (ex plurimis, Sez. 5, sentenza n. 21152 del 2014, ordinanza n. 2805 del 2011).

L’infondatezza discende dal principio, più volte ribadito da questa Corte e condiviso da questo Collegio, secondo cui l’omessa indicazione del responsabile del procedimento nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al 1 giugno 2008 – quale è, pacificamente, quella qui in considerazione – non comporta nè la nullità di dette cartelle, dato che il D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, ha previsto tale sanzione solo con riguardo alle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati a decorrere dalla data menzionata (in tale senso, per tutte, Sezioni Unite, sentenza n. 11722 del 2010), nè l’annullabilità delle stesse, essendo la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, priva di sanzione, e non incidendo direttamente la violazione in questione sui diritti costituzionali del destinatario (Sez. 5^, sentenza n. 11856 del 2017, ordinanza n. 8138 del 2016; Sez. 6-5, ordinanza n. 13747 del 2013; Sez. Un., sentenza n. 11722 del 2010). Alla luce di tale principio, nessun error in judicando ha perciò commesso la CTR nel ritenere non affetta da alcuna forma di invalidità – sotto il profilo qui considerato – la cartella di pagamento impugnata dalla FANSIL PAROPAMISUS s.r.l..

5. – Con il secondo, complesso, motivo, la ricorrente denuncia che “la sentenza (impugnata) viola di nuovo l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione o falsa applicazione di norme di diritto) e n. 5 (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) per quanto attiene il non contestare motivatamente in dettaglio quanto asserito nell’appello al punto 2”. La ricorrente lamenta, in particolare (anche qui, nei limiti in cui appare possibile sintetizzarne le doglianze): a) quanto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che la CTR avrebbe errato nel negare che fosse decorso il termine di decadenza per la notificazione della cartella di pagamento impugnata, atteso che la disposizione del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 156 del 2005, art. 1, – che ha dettato una disciplina transitoria dei termini di decadenza per la notificazione delle cartelle – non potrebbe avere, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2, e 3, nè natura interpretativa nè, comunque, efficacia retroattiva; b) quanto alla “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, che la CTR, limitandosi, nella motivazione della sentenza impugnata, a fare riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 11 del 2008, “non risponde a tutte le eccezioni formulate nel ricorso” e, in particolare, “nulla ha detto” a proposito degli “argomenti” nello stesso utilizzati a sostegno delle menzionate natura non interpretativa ed efficacia non retroattiva del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 – bis.

5.1. – Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

Anche in questo caso, l’inammissibilità deriva dal fatto che la ricorrente prospetta più profili di doglianza, senza distinguere, nell’ambito del motivo, tra questioni di diritto e questioni di fatto (tanto da rendere difficoltosa la stessa individuazione delle medesime) e senza esplicitare chiaramente nè le norme di diritto asseritamente violate o falsamente applicate (neanche qui indicate nella rubrica del motivo) nè i fatti controversi e decisivi in ordine ai quali la motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata omessa, insufficiente o contraddittoria. Anche in questo caso, inoltre, quanto al profilo di censura prospettato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), viene denunciata l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione relativamente non a un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, da intendersi come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, ma a “questioni” o “argomentazioni”, rispetto alle quali il suddetto vizio motivazionale è irrilevante.

L’infondatezza discende dai principi, anch’essi più volte ribaditi da questa Corte e condivisi da questo Collegio, per cui la normativa di cui al D.L. n. 106 del 2005 ha un inequivoco valore transitorio e trova applicazione non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, ma anche a quelle non ancora definite con sentenza passata in giudicato, operando detta normativa retroattivamente (ex plurimis, Sez. 5, sentenze n. 8368 e n. 7866 del 2015, n. 15661 e n. 15329 del 2014).

Alla luce degli stessi, posto che, nel caso di specie, alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 156 del 2005 (il 10 agosto 2005, giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della detta legge), il giudizio non era ancora pendente, va rilevato che, venendo qui in rilievo una dichiarazione presentata nel 2002, la notifica dell’impugnata cartella di pagamento, in quanto avvenuta, secondo quanto riferito dalla sentenza impugnata, il 9 agosto 2006, risulta pienamente idonea a impedire la decadenza dal potere impositivo, atteso che il menzionato D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5-bis, lett. b), fissa il termine per la notificazione della stessa al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione e, quindi, al 31 dicembre 2006.

6. – In conclusione, il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze deve essere dichiarato inammissibile, il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate e della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. deve essere rigettato e la sentenza impugnata deve essere confermata.

Dalla soccombenza consegue la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte: dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate e della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese processuali, che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 5^ sezione civile, il 3 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017

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