Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19863 del 29/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19863 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 3748-2008 proposto da:
RATINI

GABRIELE

RTNGRL51P13H501N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MAGNAGRECIA 13 presso lo
studio dell’avvocato DI LASCIO SEBASTIANO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
1324

contro

GERALDINI CLARA, IL MESSAGGERO S.P.A., ANSA S.R.L.,
EDITRICE ROMANA S.P.A., VENTURINI FABRIZIO, GRUPPO
EDITORIALE L’ESPRESSO S.P.A.;

1

Data pubblicazione: 29/08/2013

- intimati –

sul ricorso 7698-2008 proposto da:
GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO S.P.A. 00488680558 in
persona

del

elettivamente

Direttore
domiciliata

generale
in

e

procuratore,

ROMA,

PIAZZA DEI

GUARDASCIONE BRUNO, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato RIPA DI MEANA VITTORIO giusta
delega in atti;
– ricorrenti contro

GERALDINI CLARA, VENTURINI FABRIZIO, RATINI GABRIELE,
ANSA S.R.L., EDITRICE ROMANA S.P.A., IL MESSAGGERO
S.P.A.;
– intimati –

sul ricorso 7798-2008 proposto da:
COOPERATIVA ANSA 00391130580 AGENZIA NAZIONALE STAMPA
ASSOCIATA A R.L. in persona dell’amministratore
delegato e legale rappresentante pro tempore Dr.
GIUSEPPE CERBONE, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA A. CHINOTTO 1, presso lo studio dell’avvocato
MAJONICA ROMANA, che la rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

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CAPRETTARI 70, presso lo studio dell’avvocato

RATINI GABRIELE, EDITRICE ROMANA S.P.A., IL MESSAGGERO
S.P.A., GRUPPO EDITORIALE L’EPRESSO S.P.A., GERALDINI
CLARA, VENTURINI FABRIZIO;
– intimati –

sul ricorso 8616-2008 proposto da:

legale rappresentante pro tempore Dott. ANTONINO
TESTA, GERALDINI CLARA, elettivamente domiciliate in
ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio
dell’avvocato RUFFOLO UGO, che le rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

IL

MESSAGGERO

S.P.A.,

RATINI

GABRIELE,

GRUPPO

EDITORIALE L’ESPRESSO S.P.A., VENTURINI FABRIZIO, ANSA
A R.L.;
– intimati

avverso la sentenza n. 281/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 22/01/2007, R.G.N.12439-1250412514/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/06/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato SEBASTIANO DI LASCIO;
udito l’Avvocato BRUNO GUARDASCIONE;

EDITRICE ROMANA S.R.L. 07756160581 in persona del

udito l’Avvocato ROMANA MAJONICA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso principale assorbito il

ricorso incidentale;

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione ritualmente notificata nel 1999 Gabriele Ratini
conveniva in giudizio l’ANSA srl, il Gruppo Editoriale
L’Espresso Spa, L’Editrice Romana Spa, la giornalista
Geraldini Clara, il Messaggero Spa, il giornalista Fabrizio

Sera, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni
materiali e morali subiti a seguito di una campagna
diffamatoria condotta dai detti organi di stampa nei
confronti suoi e della srl Teknica, della quale era
amministratore, mediante articoli firmati dalla Geraldini e
dal Venturini ed articoli privi di firma pubblicati
dall’Ansa, da La Repubblica e da Paese Sera. Deduceva che il
Tribunale penale di Roma aveva condannato i giornalisti ed
assolto i direttori responsabili; in secondo grado, la Corte
aveva assolto i direttori per non aver commesso il reato
contestato e dichiarato estinti per prescrizione i reati
contestati ai giornalisti. In esito al giudizio, il Tribunale
di Roma dichiarava il carattere diffamatorio di due articoli
di stampa del 14 ottobre 1989, pubblicati rispettivamente, il
primo, dal quotidiano “Il Messaggero” con il titolo
“Spionaggio via Telefax” a firma di Fabrizio Venturini, il
secondo, dal quotidiano “Il Tempo” intitolato
“Intercettazioni telefoniche: Axel sotto inchiesta” a firma
della Geraldini; condannava in solido tra loro gli editori
dei due giornali – il Messaggero e l’Editrice Romana- nonché

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Venturini e Giorgio Rossi, già direttore del quotidiano Paese

i due giornalisti a pagare a favore dell’attore la
. complessiva somma di C 110.000,00 per danni patrimoniali e
morali; dichiarava improcedibile la domanda avanzata nei
confronti del Rossi in relazione all’articolo del 14 ottobre
1989 pubblicato senza firma su “Paese Sera”, intitolato “Sul

per prescrizione del diritto azionato nei confronti dell’Ansa
per il comunicato stampa del 13 Ottobre 1989 e nei confronti
del Gruppo Editoriale l’Espresso per una serie di articoli
apparsi il 14, il 15 ed il 21 ottobre 1989 sul quotidiano “La
Repubblica”; respingeva infine la domanda ex art.96 cpc
proposta da “L’Espresso” nei confronti del Ratini.
Avverso tale decisione proponevano appello con tre distinti
atti il Ratini, la Spa “il Messaggero” ed il Venturini nonché
l’Editrice Romana e la Geraldini ed in esito al giudizio, in
cui si costituivano l’Ansa e ed il Gruppo Editoriale
L’Espresso, che proponeva a sua volta impugnazione
incidentale, la Corte di Appello di Roma con sentenza
depositata in data 22 gennaio 2007 accoglieva in parte
l’appello del Ratini; respingeva le altre impugnazioni;
dichiarava che anche il comunicato Ansa e gli articoli
pubblicati da “La Repubblica” il 14 ed il 15 ottobre 1989
avevano natura diffamatoria; condannava la Spa “il
Messaggero”, il Venturini, l’Editrice Romana, la Geraldini,
.

il gruppo editoriale L’Espresso e l’Ansa in via tra loro
solidale a pagare in favore del Ratini la somma di euro

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4

filo del fax il nuovo spionaggio?”; dichiarava l’estinzione

100.000,00 oltre interessi dalla pubblicazione della sentenza
del Tribunale per danno patrimoniale, la somma di euro
30.000,00 oltre interessi per danno non patrimoniale;
provvedeva infine al governo delle spese.
Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso

Ratini; ricorso incidentale, affidato a tre motivi,
L’Espresso Spa; ricorso incidentale in quattro motivi l’Ansa;
ricorso incidentale affidato ad un solo motivo ed illustrato
da memoria l’Editrice Romana e Clara Geraldini.
MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale
e quelli incidentali sono stati riuniti, in quanto proposti
avverso la stessa sentenza .
Sempre, in via preliminare,deve soffermarsi l’attenzione
sulla circostanza che, in data 22 gennaio 2010, è stata
depositata presso la cancelleria di questa Corte una memoria
di nomina di nuovo difensore, in persona dell’avv. Riziero
Angeletti, da parte del ricorrente in via prIruipai,
principale, Gabriele Ratini, atto che non può essere però
tenuto in considerazione da questo Collegio, a ragione della
sua irritualità.
Se è vero infatti che, per effetto dell’introduzione della
legge n. 69/09, l’art.45 co.9 lett.a) ha modificato il terzo
comma dell’art.83 c.p.c. prevedendo che il mandato alle
liti può essere rilasciato anche a margine della memoria di

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principale per cassazione articolato in due motivi, il

nomina in aggiunta o in sostituzione del difensore
originariamente designato, non può trascurarsi in senso
contrario che, ai sensi dell’art.58 co.1 della predetta
legge, l’innovazione vale solo con riferimento ai giudizi
instaurati dopo la data della entrata in vigore della legge,

decisioni statuendo che “nel giudizio di cassazione, il nuovo
testo dell’art. 83 cod. proc. civ. secondo il quale la
procura speciale può essere apposta a margine od in calce
anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si
applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado
dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 della 1. n. 69
del 2009 (4 luglio 2009), mentre per i procedimenti
instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene
rilasciata a margine od in calce al ricorso e al
controricorso, si deve provvedere al suo conferimento
mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come
previsto dall’art. 83, secondo comma. (ex

muitis

Cass.n.7241/2010).
Procedendo all’esame del ricorso principale, va rilevato che
con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa
applicazione degli artt.2056, 1226 cc, il Ratini ha censurato
la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello proceduto
ad una liquidazione equitativa del danno apodittica ed
immotivata, senza considerare i documenti da lui forniti. Ha
quindi concluso il motivo con il seguente quesito di diritto:

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come ha già avuto modo di affermare questa Corte in numerose

”il giudice di merito, nella liquidazione equitativa del
danno, ai sensi degli artt.1226 e 2056 cc, non deve tener
conto degli elementi di prova forniti dal creditore ed
acquisiti agli atti in ordine all’entità dello stesso? ”
La censura è inammissibile per un duplice ordine di

In primo luogo, il quesito di diritto risulta formulato in
maniera assai generica e non in maniera compiuta ed
autosufficiente in modo che dalla sua risoluzione scaturisca
necessariamente il segno della decisione (cfr Sez.Un.
28054/08).
In particolare, non contiene la riassuntiva esposizione degli
elementi di fatto sottoposti all’esame del giudice di merito
come risulta evidente dal rilievo che il ricorrente ha omesso
di indicare e chiarire quali sarebbero gli elementi di prova,
utili ai fini della determinazione del danno, da lui forniti
e trascurati dalla Corte. Inoltre, il quesito non contiene
l’indicazione della questione di diritto controversa e la
formulazione del diverso principio di diritto rispetto a
quello che è alla base del provvedimento impugnato, di cui si
chiede, in relazione al caso concreto, l’applicazione (cfr
Sez.Un. n.23732/07).
L’inammissibilità deriva infine dal rilievo che le ragioni di
doglianza, formulate dalla ricorrente, come risulta di ovvia
evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate,
non concernono violazioni o false applicazioni del dettato

9

A

considerazioni.

normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è
. stata operata dalla Corte di merito; nè evidenziano effettive
carenze o contraddizioni nel percorso motivazionale della
sentenza impugnata ma, riproponendo l’esame degli elementi
fattuali già sottoposti ai giudici di seconde cure e da

risultanze processuali, trascurando che a questa Corte non è
riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare
il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto
il profilo logico-formale e della correttezza giuridica,
l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al
quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio
convincimento, valutarne le prove, controllarne
l’attendibilita’ e la concludenza, scegliendo, tra le varie
risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i
fatti in discussione.
Con la seconda doglianza, svolta per omessa ed insufficiente
motivazione, il Ratini ha lamentato inoltre che la Corte di
appello non avrebbe motivato in maniera adeguata in ordine
all’entità del risarcimento dei danni. Anche tale censura è
inammissibile in quanto non è accompagnata dal prescritto
momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne
circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia
l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si
_

assuma l’omissione, la contraddittorietà

o l’insufficienza

della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la

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questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle

motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass.
ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n.4311/2008).
Ne deriva l’inammissibilità del ricorso principale.
Analoghe considerazioni vanno svolte, riguardo

al ricorso

incidentale, proposto dall’Editrice Romana srl e da Clara

con cui le ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata
per aver la corte di appello omesso di pronunciarsi
sull’apporto causale fornito dall’articolo della Geraldini
nella vicenda e di modulare l’entità del risarcimento dovuto
da ciascun appellato e per averli condannato in solido – non
è ugualmente corredata dal prescritto momento di sintesi.
Anche tale ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
posto che la norma di cui all’art. 366 bis citato non può
essere interpretata nel senso che il momento di sintesi possa
desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di
ricorso, poiché una siffatta interpretazione si risolverebbe
nell’abrogazione tacita della norma in questione. Pertanto,
il ricorso in esame, privo dei requisiti richiesti, deve
essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art.366 bis
c.p.c.
Passando al ricorso incidentale, proposto dall’ANSA srl, va
osservato che con la prima doglianza per violazione degli
artt.81cpc e 1945 cc, la ricorrente ha censurato la decisione
impugnata per aver il giudice di appello erroneamente
disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del

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Geraldini, la cui unica doglianza per omessa motivazione –

Ratini, trascurando che la pretesa diffamazione riguardava
solo la società Teknica e non anche il Ratini, il quale era
soltanto socio di maggioranza e fideiussore della società.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “in caso di diffamazione di una persona giuridica e

fideiussore e socio di maggioranza e diretta a conseguire i
danni patrimoniali e morali da esso patiti può ritenersi lo
stesso legittimato ad agire quale sostituto del legale
rappresentante della società offesa?”
La censura è inammissibile non essendo il quesito di diritto
conferente con la ratio decidendi della sentenza impugnata,
la quale non è fondata sul ruolo di sostituto del legale
rappresentante della società offesa, rivestito dal Ratini,
bensì sul suo personale, immediato e diretto interesse ad
agire, quale socio di maggioranza e fideiussore della Teknica
srl, in relazione ad articoli di stampa denigratori e lesivi
dell’immagine di serietà imprenditoriale della società cui
era legato.
Ciò in quanto – così scrive la Corte di merito – “è di tutta
evidenza come notizie giornalistiche diffamatorie
sull’attività di una società di capitale, quale la Teknica
srl, possano essere state foriere di danni non solo nei
confronti del legale rappresentante della persona giuridica
ma anche di soggetti, come il Ratini, cointeressato
all’andamento della Teknica srl, di cui era socio di 24

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di azione risarcitoria promossa da soggetto qualificatosi

maggioranza e fideiussore – destinato perciò a sopportare
personalmente la ricaduta negativa degli articoli in
questione su detta società” (v. pag.9 della sentenza
impugnata).
Ed è appena il caso di osservare che le ragioni di gravame,

decisione, devono correlarsi con le stesse, in modo che alle
argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino
contrapposte quelle dell’impugnante, volte ad incrinare il
fondamento logico-giuridico delle prime.
Con la seconda doglianza per violazione degli artt.2947 cc,
157 cp e 13 legge n.47/48, la ricorrente ha censurato la
decisione impugnata per aver il giudice di appello ritenuto
applicabile alla fattispecie la prescrizione decennale per
attribuzione di un fatto determinato, ad onta del fatto che
il Ratini non era stato neppure nominato.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “qualora nel corpo di una notizia ritenuta
diffamatoria di una persona giuridica, non sia fatto cenno al
soggetto che agisca per ottenere il risarcimento dei danni da
esso subiti, può ritenersi attribuito un fatto determinato
con conseguente applicazione della prescrizione decennale?”
La censura è infondata in quanto, se il fatto illecito per il
quale si aziona il diritto al risarcimento del danno è
considerato dalla legge come reato e, per questo, la legge
stabilisce una prescrizione più lunga di quella di cinque

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per risultare idonee a contrastare le ragioni della

anni prevista dall’art. 2947, primo comma cod. civ.,

ai

sensi del terzo comma, prima parte dello stesso articolo,
quest’ultima si applica anche all’azione civile, essendo il
maggior termine di prescrizione correlato alla sola astratta
previsione dell’illecito come reato. E ciò, indipendentemente

dalla fondatezza o meno della domanda risarcitoria avanzata,
con riguardo alla legittimazione “sostanziale” dell’attore.
Con la terza doglianza per violazione degli artt.2055 cc
comma l, la ricorrente ha censurato la decisione impugnata
per aver il giudice di appello ritenuto sussistente la
responsabilità solidale di tutti i convenuti ad onta della
reciproca indipendenza delle attività distinte ed autonome
degli asseriti compartecipi.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “in fattispecie di autonomi e distinti articoli di
stampa autonomamente, potenzialmente lesivi della reputazione
di terzi e a fronte di condotte distinte suscettibili di
diversa valutazione anche in termini di responsabilità è da
ritenere operante la responsabilità solidale sancita
dall’art.2055 1 0 comma c.c.”
La doglianza è infondata alla luce del consolidato
orientamento di questa Corte, secondo cui “l’unicità del
fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 cod. civ. ai fini
della configurabilità della responsabilità solidale degli
autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma
relativo, sicchè ricorre tale responsabilità, volta a

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/k

rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la
responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto
dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o
colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche
diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da

efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a
differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza
di un collegamento psicologico tra le stesse. Deve infatti
escludersi, a norma dell’art. 41, comma secondo, cod. pen.,
l’imputabilità del fatto dannoso a taluno degli autori delle
condotte illecite esclusivamente nel caso in cui a uno solo
degli antecedenti causali debba essere riconosciuta
efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere il
legame eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti,
relegati al rango di mere occasioni, mentre non contrasta con
tale principio la disposizione dell’art. 187, capoverso, cod.
pen., la quale, statuendo per i condannati per uno stesso
reato l’obbligo in solido al risarcimento del danno, non

un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera

esclude ipotesi diverse di responsabilità solidale di
soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o siano
colpiti da condanna per reati diversi o siano taluni colpiti
da condanna e altri no”. (Cass.n.6041/2010, n.17397/07,
13272/06)
Con l’ultima doglianza per violazione degli artt.2043 e 2059
cc, la ricorrente ha censurato infine la decisione impugnata

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A

per aver il giudice di appello ritenuto la responsabilità di
. essa ANSA per il solo fatto di aver indebitamente associato
la Teknica alla Axel, trascurando che l’errore era scusabile
a motivo della coabitazione delle due società negli stessi
uffici e che il giorno dopo l’Ansa pubblicò opportune

precisazioni atte a sanare l’errore.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “L’inesatta denominazione riportata in una notizia
di una società sottoposta a indagine con l’aggiunta al
nominativo di quella indagata di altra avente la stessa sede,
tempestivamente rettificata, costituisce diffamazione della
società estranea ai fatti?”
La censura è inammissibile in quanto il quesito, come
formulato, non soddisfa le prescrizioni richieste
dall’art.366 bis cpc. Ed invero, il quesito non può
risolversi nel generico invito alla S.C. perché si pronunzi
sulla censura come illustrata, così come è avvenuto nella
specie, occorrendo invece che il ricorrente nella redazione
del quesito proceda all’enunciazione di un principio di
diritto diverso da quello posto a base del provvedimento
impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della
decisione adottata dal giudice a quo, indicandone l’errore o
gli errori compiuti e specificando la regola da applicare”
(cfr S.U. n. 3519/2008, Cass.n.19769/08)
.

Ne deriva il rigetto del ricorso incidentale in questione.

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A

Si deve infine passare all’esame del ricorso incidentale,
proposto dal Gruppo Editoriale L’Espresso Spa.
A riguardo, va osservato che con la prima doglianza,
articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa
applicazione degli artt.652, 648 cpp, 47 e 595 cp nonché

contraddittoria, il ricorrente ha censurato la decisione
impugnata nella parte in cui la Corte di Appello, dopo aver
statuito che il primo giudice aveva erroneamente applicata la
prescrizione quinquennale mentre avrebbe dovuto invece
applicare quella decennale posto che gli articoli pubblicati
dal quotidiano La Repubblica dovevano considerarsi
diffamatori con l’attribuzione di fatti determinati,

ha

quindi ritenuto di potere e dovere esaminare autonomamente i
fatti materiali, condotta, evento e nesso di causalità,
oggetto del giudizio penale a carico del direttore
responsabile ad onta dell’efficacia di giudicato della
sentenza penale di assoluzione, emessa a seguito del
dibattimento, sul presupposto che “per un evidente errore nel
capo di accusa formulato dal PM non era stato contestato al
direttore il reato ex art.57 cp di omesso controllo”.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “il giudice di merito in un giudizio civile può
accertare incidenter tantum il fatto reato laddove sia
intervenuta una

sentenza

irrevocabile di assoluzione

pronunciata in seguito a dibattimento che abbia accertato che

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sotto il profilo della motivazione omessa, insufficiente e

il fatto non sussiste o che l’imputato non l’ha commesso e
laddove la dedotta responsabilità derivi dagli stessi
elementi e dagli stessi fatti materiali esclusi dal giudicato
penale ?”.
Con la seconda doglianza per violazione e/o falsa

nonché per motivazione omessa e contraddittoria, il
ricorrente ha lamentato che la Corte di Appello ha ritenuto
applicabile alla fattispecie il termine decennale di
prescrizione in luogo di quello quinquennale, ad onta della
sentenza penale, divenuta irrevocabile, la quale aveva
pronunciato l’assoluzione del direttore.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “può il giudice civile accertare, al solo fine
dell’applicazione dell’art.2947 cod. civ. la sussistenza in
concreto di una fattispecie che integri in tutti i suoi
elementi costitutivi un fatto considerato dalla legge come
reato, nonostante che, per quel medesimo fatto, nella specie
pubblicazione di n.3 articoli di stampa, sia intervenuta
sentenza irrevocabile nel giudizio penale che abbia
dichiarato che il fatto (diffamazione) non sussiste?”
I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in
quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili,
prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro,
sono infondati.

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applicazione degli artt.13 legge 47/48, 157 cp e 2947 cc

A riguardo, corre l’obbligo di premettere che, secondo il
consolidato orientamento di questa Corte, ai sensi dell’art.
652 (nell’ambito del giudizio civile di danni) e dell’art.
654 (nell’ambito di altri giudizi civili) cod. proc. pen., il
giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio

accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della
partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui
l’assoluzione sia determinata dall’accertamento
dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la
commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato
e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma
dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen. (Cass. n.
3376/2011, n. 5676/2010). L’effetto preclusivo del giudicato
è comunque limitato all’accertamento della insussistenza del
fatto ed all’affermazione che l’imputato non lo ha commesso.
Ciò posto, vale la pena di aggiungere che per “fatto”
accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo
oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica,
costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice
penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di
causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e
le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso.
Ne consegue che, mentre è precluso un nuovo accertamento da
parte del giudice civile, che non può procedere ad una
diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio,

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fr

civile solo ove contenga un effettivo e specifico

nessun’efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il
giudizio penale – e cioè l’apprezzamento e la valutazione di
tali elementi. Inoltre, il giudice civile può indagare su
altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale
ai fini del giudizio a lui demandato, negli aspetti non

causale nella produzione dell’evento. Altresì è rimesso
all’accertamento ed alla valutazione del giudice civile
l’elemento soggettivo del fatto, in quanto tale, estraneo
alla nozione obbiettiva di esso. (v. sul punto anche
Cass.n.19384/2004)
La premessa torna utile perché la ragione fondamentale posta
dalla Corte di appello a base della decisione impugnata si
fonda sul rilievo che la sentenza penale, passata in
giudicato, che aveva confermato l’assoluzione del direttore
responsabile per gli articoli di cui trattasi per
insussistenza del fatto si era basata sulla considerazione
che al direttore suddetto era stato erroneamente contestato
“un inesistente concorso nel reato di diffamazione commesso
dai singoli giornalisti”.
Con la conseguenza che al giudice civile era ben consentito
indagare su altre modalità del fatto non considerate dal
giudice penale ai fini del giudizio a lui demandato, quale
l’omesso controllo del contenuto degli articoli pubblicati,da
parte del direttore responsabile, di cui all’art.57 cp, reato
che invece non gli era stato affatto contestato (v. pag.5

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esaminati dal giudice penale, ed incidenti sull’apporto

della sentenza penale depositata in copia nel fascicolo di
parte del Ratini).
In presenza di un giudicato assolutorio di tale portata così continua la Corte di merito – rimaneva perciò ” aperta
per il Collegio la possibilità di verificare autonomamente la

uno siglato da giornalista non identificato) oggetto di
gravame del Ratini, con implicito richiamo per relationem a
quanto dedotto a pg 7/8 dell’atto di citazione ” (cfr pag.15
della sentenza) e tale conclusione non merita censura alcuna
trattandosi di aspetti non esaminati dal giudice penale e
certamente incidenti sull’apporto causale nella produzione
dell’evento.
Ed è appena il caso di osservare che nella specie il
carattere diffamatorio in danno dell’immagine della Teknica e
del socio di maggioranza è stato riconosciuto sussistente
dalla Corte di appello con motivazione assolutamente
corretta, la quale non merita censura alcuna. Ciò, già alla
luce del primo articolo del 14 ottobre 1989,
significativo e suggestivo titolo “Roma,

dal

spiavano i

professionisti. E ora si scoprono i pirati del telefax”, il
cui incipit era il seguente “Roma. Comunicazioni via telefax
riservate e destinate a studi professionali venivano
intercettate da una strana società, la Tecnica, di proprietà
.

di Francesco Santoro, un personaggio noto per una serie di
infortuni

nei

quali

è

incorso

21

per

alcuni

servizi

natura diffamatoria degli articoli (di cui due non firmati ed

giornalistici pubblicati dall’agenzia di stampa Axel di cui è
proprietario e direttore. La redazione dell’agenzia che
ospita anche una serie di esposti presentati proprio dagli
studi professionali oggetto dello “spionaggio”…”
Ed invero, le ragioni poste dalla Corte a base della

racconto dei fatti, già riferiti in maniera affrettata,
viene altresì accompagnato da modalità espositive volte ad
ingenerare suggestive – oltre che erronee – rappresentazioni
della realtà, la cronaca è sicuramente capace di incidere
in maniera rilevante sulla valutazione degli avvenimenti, da
parte dei lettori. Si aggiunga che nel medesimo articolo si
sottolineava come la società Tecnica avesse lo stesso
indirizzo dell’agenzia Axel e si appartenesse all’inquisito
Santoro, ingenerando conseguentemente tra i lettori l’errata
convinzione che la società fosse direttamente implicata in
indagini penali per gravi reati che riguardavano, invece,
solo la Axel.
Ne deriva l’infondatezza delle due censure.
Resta da esaminare la terza doglianza, articolata sotto il
profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art.112
cpc nonché sotto il profilo della motivazione insufficiente
e contraddittoria in relazione all’art.360 nn3 e 5 cpc, con
cui il ricorrente ha dedotto che la Corte territoriale ha
.

condannato tutti i convenuti in solido omettendo di
considerare che il Ratini in primo grado aveva proposto nei

22

A

valutazione non meritano di essere censurate perché quando il

9

confronti

dei

convenuti

una

domanda

risarcitoria

specificamente graduata in considerazione della diversa
diffusione degli organi di stampa.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “nel giudizio di risarcimento del danno da fatto

nei confronti dei singoli convenuti in ragione di una diversa
gravità e di una diversa incidenza delle singole condotte, il
giudice può procedere indistintamente ad una liquidazione del
danno in via solidale nei confronti di tutti i convenuti e,
in tal caso, la pronuncia così assunta costituisce violazione
della regola tra il chiesto ed il pronunciato di cui
all’art.112 cpc”
La censura è inammissibile per un duplice ordine di
considerazioni.

In

primo

luogo,

deve

rilevarsi

l’inammissibilità del profilo, attinente al vizio
motivazionale,non accompagnato nella specie dal prescritto
momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne
circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia
l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si
assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza
della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la
motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass.
ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n.4311/2008).
.

E ciò,

alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo

cui “in caso di proposizione di motivi di ricorso per

23
»/.\

illecito, allorquando il danneggiato richieda l’accertamento

.

cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in
profili autonomi e differenziati di violazioni di legge
diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella
proposizione cumulativa di più motivi, affinché non risulti
elusa la “ratio” dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve

la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili
fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la
conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati
rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono
qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato
idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati,
dovendo la decisione della Corte di cassazione essere
limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente
formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce
l’illustrazione.( S. .U.5624/09, Cass.5471/08)
In secondo luogo, va rilevato che con la censura in esame
risulta denunciato dal ricorrente, in forza dell’esplicito e
reiterato richiamo all’art. 360 co. l nn 3 del C.P.C, quale
vizio di violazione di norma sostanziale, un vizio di
violazione dell’art.112 c.p.c, che è invece norma
strettamente processuale.
Ora, il vizio per violazione di norme di diritto sostanziale
ex art. 360 c.p.c co.1 n. 3, si riferisce al tipico error in
• iudicando, avente ad oggetto l’erronea individuazione della
norma

applicabile

al

in

caso

24

esame

oppure

l’erronea

h

ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con

interpretazione della stessa o ancora il cd. errore di
sussunzione perché la norma è stata applicata ad una fattispecie
che da essa non è regolata.
Al contrario, la censura del vizio in questione deve essere,
invece, formulata mediante la denunzia del pertinente error
in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4.
Ciò premesso, deve aggiungersi che questo Collegio è ben
consapevole del diverso orientamento giurisprudenziale
secondo cui, ai fini della ammissibilità del ricorso per
cassazione, non costituirebbero condizione necessaria né
l’esatta indicazione delle disposizioni di legge delle quali
viene lamentata l’inosservanza né la corretta menzione
dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito
adire il giudice di legittimità, purché si faccia valere un
vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la
pronuncia (così, Cass.n. 6671/2006, n. 4349/2000).
Ma si tratta di un orientamento, peraltro minoritario, che
questo Collegio ritiene di non poter condividere alla luce
della considerazione, invero fondamentale, secondo cui,
essendo il giudizio di cassazione un giudizio a critica
vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, il
singolo motivo assume una funzione identificativa
condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento
alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una
limitata elasticità dal legislatore.

25

.

.

Pertanto, la tassatività e la specificità del motivo di

censura esigono una precisa formulazione, di modo che il
vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura
enucleate dal codice di rito (cfr Cass.n.18202/2008) e deve
ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione nel quale

dall’art. 360 cod. proc. civ., il vizio che ha inteso
denunciare, esigendo la tassatività e la specificità del
motivo di censura una precisa formulazione.
Ne deriva che, come ha avuto modo di ribadire assai
recentemente questa Corte, l’erronea sussunzione nell’uno
piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il
ricorrente intende far valere in sede di legittimità,
comporta l’inammissibilità del ricorso. (Cass.n.7268/2012,
n.8585/2012, n. 6858/04, n.375/05, n.1755/06, n.16153/2010,
n.12952/07, n.1196/07).
Consegue che il ricorrente avrebbe dovuto dedurre il vizio ai
sensi dell’art.360 primo comma n.4 del c.p.c., mentre
deducendo la violazione di legge a norma del precedente comma
3 ha in realtà erroneamente individuato la categoria logicogiuridica del vizio deducibile in questa sede che, soltanto
se correttamente individuato, avrebbe potuto portare
all’indispensabile controllo degli atti processuali. Ne
discende l’inammissibilità della censura dedotta.

e

Ne deriva il rigetto anche di quest’ultimo ricorso
incidentale.

26

la parte abbia erroneamente inquadrato, tra quelli previsti

Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, ritenuto
che la sentenza impugnata appare esente dalle censure
dedotte, ne consegue che vanno dichiarati inammissibili il
ricorso principale proposto da Ratini Gabriele ed il ricorso
incidentale proposto dalla Editrice Romana Sri e Geraldini

dall’ANSA srl e dal Gruppo Editoriale L’Espresso Spa.
Sussistono giusti motivi per compensare

fra le parti le

spese di questo giudizio in ragione della reciproca
soccombenza.
P.Q.M.

La Corte decidendo sui ricorsi riuniti dichiara inammissibili
il ricorso principale proposto da Ratini Gabriele ed il
ricorso incidentale proposto dalla Editrice Romana srl e da
Geraldini Clara; rigetta i ricorsi incidentali

proposti

dall’ANSA srl e dal Gruppo Editoriale L’Espresso Spa.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità
Così deciso in Roma in camera di Consigl o in data 12.6.2013

Clara; vanno invece rigettati i ricorsi incidentali proposti

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