Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19859 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 22/09/2020), n.19859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17144-2019 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PANTELLERIA 14, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO SGARLATA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO CANCARO;

– ricorrente –

contro

F.L.;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 48/19 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

B.E. impugna, articolando due motivi di ricorso ex art. 111 Cost. (violazione dell’art. 64 disp. att. c.c. e dell’art. 111 Cost., comma 2; violazione dell’art. 91 c.p.c.), il decreto n. 1715/2019 del 5 aprile 2019 della Corte d’Appello di Palermo. F.L. non ha svolto attività difensive.

Il decreto impugnato ha dichiarato inammissibile per tardività il reclamo avanzato da B.E. contro il decreto reso il 16 gennaio 2019 dal Tribunale di Palermo, che aveva respinto la domanda di revoca giudiziale di F.L. dall’incarico di amministratore del Condominio (OMISSIS). La Corte d’appello ha evidenziato come il decreto del Tribunale fosse stato comunicato in data 16 gennaio 2019 a mezzo pec alla ricorrente B., ed il reclamo era stato poi proposto il 30 gennaio 2019, senza perciò osservare il termine di dieci giorni stabilito dall’art. 64 disp. att. c.c.

B.E. deduce nel primo motivo che l’art. 64 disp. att. c.c. va letto alla luce dell’art. 739 c.p.c., comma 2, dovendosi perciò distinguere, ai fini del termine per proporre reclamo, fra decreti resi nei confronti di una parte o di più parti, sicchè occorrerebbe aver riguardo alla data della notificazione del provvedimento da impugnare.

Il comma 2 lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., non sussistendo soccombenza alla luce del primo motivo di ricorso. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Secondo consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la corte di appello provvede sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dall’art. 1129 c.c. e dall’art. 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso è, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (Cass. Sez. 6 – 2, 28/07/2020, n. 15995; Cass. Sez. 6 – 2, 11/04/2017, n. 9348; Cass. Sez. 6 – 2, 27/02/2012, n. 2986; Cass. Sez. 6 – 2, 01/07/2011, n. 14524; Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957). Non sono dunque ammissibili avverso il decreto in tema di revoca dell’amministratore di condominio le censure proposte sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere di discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129 c.c., comma 12, ovvero la valutazione dei presupposti legittimanti la statuizione di cessazione della materia del contendere, o, ancora, l’omesso esame di elementi istruttori che avrebbero diversamente potuto determinare il giudice del merito nella declaratoria della soccombenza virtuale (cfr. in termini Cass. Sez. 2, 06/05/2005, n. 9516).

Il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto reclamabile alla cote d’appello (art. 64 disp. att. c.p.c.) e si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status” (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 23/06/2017, n. 15706; Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957).

E’ comunque inammissibile la censura che, nel primo motivo di ricorso, B.E. rivolge al decreto impugnato, sotto forma di vizio in procedendo, diretta a sindacare la tempestività del proposto reclamo alla Corte d’appello. Si consideri, incidentalmente, come l’art. 64 disp. att. c.c., comma 2, disponga espressamente, a seguito della modifica apportata dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220: “contro il decreto motivato reso dal tribunale può essere proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione”. La norma, pertanto, pur in presenza di provvedimento di natura non decisoria reso nei confronti di parti contrapposte, disciplinato, nella forma, secondo il rito proprio dei procedimenti camerali, deroga espressamente alla regola generale posta dell’art. 739 c.p.c., comma 2, equiparando, ai fini della decorrenza del termine di dieci giorni per il reclamo, la notificazione di esso alla sua comunicazione eseguita a cura della cancelleria. Si tratta di scelta discrezionale del legislatore, ragionevolmente in linea con la natura celere del procedimento di revoca dell’amministratore, nè lesiva del diritto di difesa, in quanto il detto termine decorre dalla piena conoscenza dell’ordinanza, che si ha con la comunicazione predetta ovvero con la notificazione ad istanza di parte.

In ogni caso, il decreto con cui la Corte d’appello dichiari inammissibile il reclamo sul provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, come avvenuto nel caso in esame, comunque non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111 Cost., comma 7, essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, nè il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di inammissibilità resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato (arg. da Cass. Sez. 1, 05/02/2008, n. 2756; Cass. Sez. 1, 01/02/2016, n. 1873; Cass. Sez. 6 – 1, 07/07/2011, n. 15070; Cass. Sez. 6 – 2, 18/01/2018, n. 1237; Cass. Sez. 6-2, 18/03/2019, n. 7623).

Quanto al secondo motivo di ricorso, che censura la condanna al pagamento delle spese, la statuizione impugnata, giacchè conforme al criterio della soccombenza indicato come normale dall’art. 91 c.p.c., risulta corretta. Agli effetti del regolamento delle spese processuali la soccombenza ben può essere determinata, anzichè da ragioni di merito, da ragioni di carattere processuale tra cui, come nel caso in esame, l’assunta inammissibilità del reclamo.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile. Non occorre provvedere sulle spese di questo giudizio di cassazione, in quanto l’intimata non ha svolto difese.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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