Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19858 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/08/2017, (ud. 03/07/2017, dep.09/08/2017),  n. 19858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17090/2010 R.G. proposto da:

B.F., rappresentato e difeso dagli avv. Carlo Amato e

Giuseppe Marini, con domicilio eletto in Roma, via Monti Parioli 48,

presso lo studio dell’avv. Giuseppe Marini;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

Ministero dell’economia e delle finanze;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto

n. 26/14/2009, depositata il 6 maggio 2009.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2017

dal Consigliere Tedesco Giuseppe.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

B.F. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto (Ctr), che ha riformato la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno 2003, erano stati accertati maggiori ricavi sulla base di studi di settore;

– il ricorso per cassazione, cui l’Agenzia delle entrate ha reagito con controricorso, è proposto sulla base di sei motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze in quanto, in tema di contenzioso tributario, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale la legittimazione ad causam e ad processum nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetta esclusivamente all’Agenzia (Cass. 10183/2016: conf. Cass. n. 22889/2006, n. 22992/2010, n. 8177/2011. n. 18369 del 2015);

– i primi due motivi di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurano la sentenza per non avere considerato che: a) l’accertamento fondato sugli studi di settore implica non solo il rilievo dello scostamento del reddito rispetto agli studi, ma una verifica della concreta realtà economica del contribuente; b) a giustificare l’inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente occorrono altri elementi idonei a giustificare l’attendibilità dello studio nella situazione considerata;

– i motivi sono infondati, proprio in forza di quei principi giurisprudenziali sanciti dalle Sezioni unite di questa Suprema corte con una delle pronunce (Cass., S.U., n. 26635/2009) impropriamente richiamate dal ricorrente a sostegno della sua tesi;

– la procedura di accertamento mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente;

– il contradditorio preventivo tra contribuente e Amministrazione finanziaria è, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, elemento centrale e fondante la validità dell’accertamento (Cass., S.U., nn. 26635, 26636, 26637, 26638 del 2009);

– il principio dell’obbligatorietà del contraddittorio produce effetti anche sulla motivazione dell’avviso di accertamento, la quale per essere congrua, non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento, ma deve dimostrare la concreta applicabilità dello studio di settore e deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni del contribuente: “è da questo più complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente” (Cass. n. 19767/2013; conf. Cass. n. 6929/2013; Cass. n. 12558/2010);

– nel caso in esame, il rispetto dell’iter procedimentale da parte dell’Amministrazione finanziaria non ha costituito minimamente oggetto di censura (anzi, in un passaggio motivazionale, la Ctr dà atto che l’accertamento aveva tenuto conto in una certa misura delle osservazioni avanzate in sede amministrativa);

– ciò posto, la conseguenza, tratta dalla Ctr, che spettava al contribuente “precisare e dettagliare meglio i dati di accertamento”, al di là dalla imperfetta terminologia usata, è perfettamente in linea con gli insegnamenti di questa Suprema Corte: qualora l’avviso di accertamento sia stato emesso nel rispetto dell’iter procedimentale delineato dalle Sezioni Unite, gli studi di settore acquisiscono il valore della presunzione idonea a legittimare l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente;

– con il terzo motivo, anch’esso dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza è censurata per violazione del D.P.R. n. 699 del 1973, art 42, per non avere ritenuto nullo l’avviso di accertamento sottoscritto da un soggetto diverso dal capo dell’ufficio emittente, “senza che questi abbia fornito adeguata prova e dimostrazione dell’esercizio del potere sostitutivo”;

– secondo la giurisprudenza di questa Sezione “L’avviso di accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. In caso di contestazione, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare la sussistenza della delega, sebbene non necessariamente dal primo grado, visto che si tratta di un atto che non attiene alla legittimazione processuale, avendo l’avviso di accertamento natura sostanziale e non processuale” (Cass. n. 12781/2016);

– nel corpo del motivo si chiarisce che l’Amministrazione finanziaria aveva inteso provare la delega solo in grado d’appello mediante produzione di un ordine di servizio;

– con riguardo a tale produzione il ricorrente ha avanzato due censure, una processuale, evidenziando che non si trattava di un documento nuovo e quindi incluso nell’ambito delle produzioni consentite dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, l’altra di contenuto, in quanto dal documento non risultava se il soggetto delegato avesse il requisito funzionale previsto dalla norma;

– così identificato il complessivo senso della censura, il motivo incorre in una palese ragione di inammissibilità: è ovvio infatti che la violazione di legge imputata alla Ctr non è quella relativa al D.P.R. n 699 del 1973, art. 42, ma piuttosto la violazione della norma processuale per non avere rilevato la tardività della produzione (violazione però insussistente secondo la giurisprudenza di questa Corte sopra citata);

– la seconda censura (quella attinente all’errore in cui sarebbero incorsi i giudici d’appello nella valutazione del documento) non riguarda neanche una violazione di legge, ma andava semmai censurata per vizio di motivazione;

– il quarto motivo è inammissibile, in quanto deduce contemporaneamente vizio di motivazione e violazione di legge, essendo corredata solo dal quesito di diritto e non pure dal momento di sintesi, richiesto ex art. 366 – bis c.p.c. applicabile ratione temporis alla fattispecie, sebbene abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47(Cass. n. 12248/2013);

– ad ogni modo, la questione è pur sempre quella della inammissibile produzione del documento con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva provato la delega di firma al funzionario che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento;

– è stato già incidentalmente chiarito che la censura è infondata;

– il quinto e il sesto motivo sono inammissibili, perchè deducono vizio di motivazione, ma non sono corredati da momento di sintesi;

– il sesto motivo, inoltre, riferisce inammissibilmente il vizio di motivazione a una questione non di fatto, ma diritto, riguardante la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, a causa della mancata allegazione all’atto impositivo dello studio di settore utilizzato per la rideterminazione dei ricavi;

– in conclusione il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate va interamente rigettato.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; rigetta il ricorso proposto contro l’Agenzia delle entrate; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente Agenzia delle entrate, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017

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