Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19856 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. I, 23/07/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 23/07/2019), n.19856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29301/2018 proposto da:

W.A., elettivamente domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA

della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Nunzia Lucia Messina del Foro di Catania;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di BOLOGNA, resa nel

procedimento n. 1233/2016 depositata il 2 maggio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1059/2018, ha respinto il gravame proposto da W.A., cittadino del Senegal, avverso la decisione di primo grado, che aveva, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, temendo di essere ucciso dal padre e dalla matrigna, dopo continue vessazioni e maltrattamenti ed a seguito di un tentativo di avvelenamento da parte di costoro) presentava diverse lacune e risultava poco credibile e comunque concerneva questioni del tutto private e famigliari; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il Senegal è uno degli Stati riconosciuti sicuri anche dal Federal Office for Migration and Asylum tedesco; non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero, in quanto anche il disturbo psichico certificato (riconducibile più che ai maltrattamenti subiti nel Paese d’origine alle dolorose esperienze vissute durante il viaggio intrapreso per raggiungere l’Italia) non rappresentava una malattia che non potesse essere curata nel Paese d’origine; nè poteva accogliersi la richiesta di protezione con riguardo al diritto di asilo costituzionalmente garantito, non essendovi alcun margine di residuale diretta applicazione dell’art. 10 Cost.; veniva altresì revocata l’ammissione al gratuito patrocinio del richiedente, stante la manifesta infondatezza del gravame.

Avverso la suddetta sentenza, W.A. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 26/09/2018, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,11 e 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 32, sia l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla ritenuta non credibilità del racconto del ricorrente, vertendo gli elementi ritenuti contraddittori o discordanti su aspetti secondari o isolati, avendo il richiedente compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la propria domanda; 2) con il secondo ed il terzo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dalle dichiarazioni rese dal richiedente dinanzi alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio, in relazione all’essere stato il richiedente “vittima di tratta”, erroneamente ritenuta dalla Corte d’appello non rilevante ai fini della chiesta protezione, quantomeno, per ragioni umanitarie, ed in generale dai seri motivi umanitari per la chiesta protezione, sulla base della allegata condizione di vulnerabilità; 3) con il quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6, in relazione al rigetto della richiesta di protezione umanitaria; 4) con il quinto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, in relazione alla disposta revoca del gratuito patrocinio.

2. La prima censura è inammissibile.

In materia di protezione internazionale questa Corte ha da tempo chiarito nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

L’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340). Sempre questa Corte (Cass. 27503/2018) ha precisato che “l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3,comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate”.

Sull’indicata premessa, la valutazione sul punto svolta dai giudici di appello si sottrae a sindacato di questa Corte, avendo i primi ritenuto non credibile il racconto, in relazione ai pretesi maltrattamenti subiti, al tentativo di avvelenamento da parte dei famigliari ed alle ragioni dell’odio del padre nei confronti dei figli; nè il ricorrente spiega perchè le lacune e contraddizioni specificate dalla Corte territoriale verterebbero su aspetti secondari ed irrilevanti.

3. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, tutti incentrati sul mancato riconoscimento della protezione umanitaria, sono del pari inammissibili, in parte, ed infondati, in altra parte.

La Corte d’appello ha escluso la ricorrenza di particolari condizioni di vulnerabilità del richiedente meritevoli di tutela, osservando che non rilevavano le ragioni di persecuzione allegate, in un ambito esclusivamente famigliare e privato, rapportate alle condizioni sociali e di stabilità e sicurezza del Paese d’origine, che non poteva tenersi conto della circostanza relativa all’essere stato vittima di tratta di esseri umani durante il viaggio intrapreso per venire in Italia, rilevando solo le motivazioni che avevano spinto il richiedente a lasciare il suo Paese, e che il disturbo psicologico (disturbo post traumatico da stress) neppure rilevava sia perchè correlato non a violazione dei diritti umani subiti nel Paese di provenienza ma alle dolorose esperienze vissute durante il viaggio verso l’Italia (quali la traversata nel deserto e l’affondamento del barcone sul quale viaggiava) sia perchè in ogni caso non si trattava di una malattia che non potrebbe essere curata nel Paese d’origine.

La Corte di appello ha dunque vagliato la mancanza di prove e la non credibilità del racconto del richiedente, nella decisione, che rimane in tal modo non censurabile in questa sede.

Il ricorrente, nel secondo motivo, implicante vizio motivazionale, lamenta l’omessa valutazione della circostanza, allegata nel giudizio di merito, di essere stato vittima di tratta di esseri umani durante il viaggio per giungere in Italia, evidenziando che non viene invocata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18, ratione temporis vigente (disposizione contemplante, anche per le ipotesi dello straniero vittima dei reati di tratta e sfruttamento di esseri umani, artt. 600 e 601 c.p., lo speciale permesso per motivi umanitari),non risultando essere “stata attivata la procedura per la richiesta di tale permesso”, quanto l’omesso esame di tale fatto ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

La doglianza è infondata, non ricorrendo il vizio denunciato di omesso esame.

Invero la condizione di vulnerabilità correlata al trauma subito dal richiedente durante il viaggio per venire in Italia è stata valutata comunque dalla Corte d’appello, pur essendosi inizialmente, in motivazione, affermato che la circostanza “neppure può essere valutata…rilevando…esclusivamente i motivi che hanno spinto il richiedente a lasciare il proprio Paese”, in quanto la Corte territoriale, nell’esaminare la richiesta di protezione umanitaria, ha rilevato che il disturbo psichico certificato (lo stress post traumatico), conseguente alle dolorose esperienze allegate (e quindi anche all’essere stato vittima di sfruttamento e tratta di esseri umani), vissute durante il viaggio per raggiungere l’Italia, non integrava una condizione di vulnerabilità meritevole di tutela, trattandosi di una malattia che in Senegal poteva essere curata.

4. Il quinto motivo è inammissibile.

Questa Corte ha da tempo chiarito (Cass. 3028/2018; Cass. 29228/2017) che “la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del D.P.R. citato” (conf. Cass. 32028/2018).

6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Infine, deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a motivo di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

PQM

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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