Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19855 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. I, 23/07/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 23/07/2019), n.19855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28908/2018 proposto da:

A.Y., elettivamente domiciliato in ROMA Viale Angelico 38

presso lo studio dell’Avvocato Roberto Maiorana, che lo rappresenta

e difende gusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2067/2018 della Corte d’appello di BOLOGNA

depositata il 2/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 2067/2018, ha respinto il gravame proposto da A.Y., cittadino del Pakistan, avverso la decisione di primo grado, che aveva, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, avendo perso il bestiame e parte del terreno di sua proprietà a causa di un’alluvione) presentava diverse lacune e risultava poco credibile e comunque concerneva questioni del tutto private, economiche e personali; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la paventata situazione di pericolosità e mancato rispetto dei diritti umani e civili nel Pakistan risultava “in sè e per sè legata ad uno stereotipo automatismo narrativo”; non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero; veniva altresì revocata l’ammissione al gratuito patrocinio del richiedente.

Avverso la suddetta sentenza, A.Y. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC l’1/10/2018, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dalle dichiarazioni rese dal richiedente dinanzi alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio, in relazione alla situazione di violenza diffusa nel paese d’origine; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e falsa applicazione, e art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, delle fonti informative, in relazione al rigetto della richiesta di protezione sussidiaria, malgrado la grave situazione di pericolo per la sicurezza individuale all’interno del Pakistan, evincibile dagli ultimi rapporti di Amnesty International e dal Sito del MAE, senza che la Corte d’appello abbia attivato i poteri officiosi necessari ovvero indicato le fonti informative utilizzate; infine, con il terzo motivo, si lamenta sia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, sia l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatti decisivi, in relazione al rigetto della richiesta di protezione umanitaria, deducendosi che nel caso di specie ricorrevano comunque i presupposti per l’accoglimento della richiesta “di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b)”.

2. La prima censura è inammissibile.

Invero, la Corte d’appello ha esaminato le allegazioni del ricorrente, ritenendole in parte non credibili, quanto alle vicende personali che avevano condotto il ricorrente a lasciare il Paese d’origine, ed in parte indimostrate.

Il ricorso è del tutto generico nell’individuazione delle dichiarazioni e delle allegazioni del richiedente allegate nel merito e non esaminate dalla corte territoriale, facendo rinvio alla situazione di “violenza diffusa” nel Pakistan.

3. La seconda censura è parimenti inammissibile, in quanto, attraverso una massiccia riproduzione di documentazione che dovrebbe riguardare la situazione del Pakistan, risulta diretta ad una inammissibile revisione critica del giudizio di fatto svolto dalla Corte d’appello (a conferma della decisione di primo grado), non censurabile avanti al giudice di legittimità.

Inoltre, pur avendo la Corte d’appello liquidato la valutazione di insussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria, ritenendo sinteticamente, a conferma del giudizio negativo già espresso dal Tribunale, che la situazione del Pakistan dedotta in appello risultava “in sè e per sè legata ad uno stereotipo automatismo narrativo”, il ricorrente deduce, in questa sede, che, da una serie di fonti consultate, il Pakistan risulterebbe interessato da una situazione di violenza diffusa ed individuale non controllata dallo Stato, senza chiarire se quelle fonti ufficiali fossero state allegate in sede di merito. Nel motivo non si specifica infatti quali siano stati i contenuti di allegazione curati in appello e diretti a sollecitare l’esercizio ufficioso, in materia di prova, dei poteri integrativi nel giudizio di impugnazione.

Ora, questa Corte (Cass. 14282/2019, in motivazione) ha di recente chiarito che “in materia di protezione internazionale, quando se ne invochi l’applicazione nella forma sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – là dove riferita all’esistenza di uno stato di diffusa ed indiscriminata violenza, di grado tale da attingere colui che richieda protezione per il solo fatto che egli faccia rientro nel suo paese di origine senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato – gli oneri di allegazione gravanti sul richiedente che impugni in appello devono, in quella fase, conformarsi a natura e struttura del giudizio, destinato a veicolare attraverso i motivi la censura alla decisione di primo grado”, il tutto in correlazione alla specificità della critica difensiva in appello, imposta dall’art. 342 c.p.c., non essendo consentito al ricorrente, che della decisione di secondo grado censuri l’illegittimità, di far valere per la prima volta nel giudizio di cassazione deduzioni ed allegazioni mancate nella fase impugnatoria di merito.

4. Anche la terza censura è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha negato la protezione umanitaria osservando come l’istante avesse rappresentato una situazione di disagio dai risvolti economici, situazione che non poteva ritenersi espressiva di una condizione di particolare vulnerabilità. A fronte di tale rilievo il ricorrente si è limitato a invocare una generica compromissione del proprio diritto ad accedere ad un livello di vita adeguato, per sè e la propria famiglia, non garantito nel Paese d’origine.

Con riguardo al diritto di asilo, costituzionalmente garantito, questa Corte ha già precisato che “il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3″ (Cass. 16362/2016; Cass. 11110/2019).

La Corte d’appello non ha affatto negato, come pare ritenere l’istante, che la protezione umanitaria potesse trovare, in astratto, uno spazio applicativo: ha invece escluso che potesse essere in concreto riconosciuta, essendo mancata la dimostrazione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili all’appellante.

Non è condivisibile, infine, quanto osservato dall’istante con riguardo alla mancata valutazione del grado di sua integrazione nel nostro Paese. Come è stato precisato, infatti, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072).

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Infine, deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a motivo di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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