Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19853 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. I, 23/07/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 23/07/2019), n.19853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27643/2018 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA Via Barnaba

Tortolini n. 30 presso lo studio dell’Avvocato Alessandro Ferrara

che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 3214/2018 della Corte d’appello di NAPOLI

depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 3214/2018, ha respinto il gravame proposto da S.G., cittadino del Senegal, avverso la decisione di primo grado, che aveva respinto la richiesta dello straniero di protezione internazionale, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, perchè sfruttato, sotto il profilo lavorativo, da un amico del padre, successivamente alla sua morte) era generica e, rispetto alla protezione umanitaria, per quanto ancora qui interessa, non emergeva alcun elemento di rilievo, nè un effettivo inserimento lavorativo nè circostanze famigliari che legassero in modo significativo il richiedente all’Italia.

Avverso la suddetta sentenza, S.G. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo UG il 19/09/2018, affidato ad un unico motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., non avendo la Corte d’appello valutato la documentazione prodotta in appello attestante l’integrazione socio-lavorativa del ricorrente in Italia (in particolare, relativa a contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato part-time, stipulato nell’aprile 2017, ed ad un attestato di alfabetizzazione ed apprendimento della lingua italiana), che, unitamente alla condizione di oggettiva difficoltà di esercizio dei diritti umani inalienabili nel Paese d’origine, giustificavano l’accoglimento della richiesta di protezione umanitaria.

2. La censura è inammissibile.

Questa Corte, con orientamento consolidato (Cass. 13960/2014), ha chiarito che “in tema di ricorso per cassazione, la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c., è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, con conseguente “inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

In sostanza, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27000/2016; Cass. 23940/2017).

La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 26965/2007) ed ormai, nei limiti della attuale formulazione del suddetto vizio (omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti).

Nella specie, viene per l’appunto dedotto un vizio di violazione di legge degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’asserita erronea valutazione delle risultanze probatorie.

Ora, la Corte d’appello ha rilevato che, in un contesto di insussistenza di condizioni di vulnerabilità correlate ad episodi di violenza o di persecuzione subiti nel Paese d’origine, non ricorrevano neppure le condizioni per la chiesta protezione umanitaria, anche in difetto di “un effettivo inserimento lavorativo” o di “circostanze famigliari che leghino in modo significativo il…al territorio italiano”.

A fronte di tale rilievo, il ricorrente si è limitato a invocare una generica compromissione del proprio diritto ad accedere ad un livello di vita adeguato non garantito nel Paese d’origine, rispetto a quello raggiunto in Italia con il percorso di integrazione avviato.

Ma la Corte d’appello ha compiuto un esame del materiale istruttorio e non si evince che abbia trascurato di vagliare il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato part-time, stipulato nell’aprile 2017, e l’attestato di alfabetizzazione ed apprendimento della lingua italiana, avendo ritenuto insufficiente quanto allegato. Come è stato precisato, infatti, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072).

La decisione risulta immune da censure azionabili in questa sede di legittimità.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Infine, deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a motivo di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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