Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19852 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. I, 23/07/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 23/07/2019), n.19852

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24117/2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA Via

Circonvallazione Clodia n. 88 presso lo studio dell’Avvocato

Giovanni Arilli, rappresentato e difeso dall’avvocato Carla Pennetta

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 53/2018 della Corte d’appello di PERUGIA

depositata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza, ex art. 281 sexies c.p.c., n. 53/2018, depositata in data 25/01/2018, ha respinto il gravame proposto da S.M., cittadino del Mali, avverso la decisione di primo grado, che aveva respinto la richiesta dello straniero di protezione internazionale, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, a causa di una disputa familiare relativa alla proprietà di un terreno, di cui i cugini si erano impossessati) era esclusivamente legata a questioni private; quanto poi alla protezione sussidiaria (non avendo l’appellante insistito sulla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, avendola svolta solo in primo grado, limitando poi il gravame alla protezione sussidiaria ed umanitaria), la situazione di conflitto interno, con riferimento ad atti terroristici, nel Mali riguardava soltanto il Nord del Paese e comunque era in corso un processo di stabilizzazione, tanto che si erano tenute elezioni presidenziali nel 2013, legislative nel 2014 e locali nel 2016; infine, quanto alla protezione umanitaria, non emergeva un particolare stato di vulnerabilità meritevole di tutela ed era impossibile un’applicazione generalizzata dell’istituto “ad un’intera categoria di soggetti qualificati dalla sola nazionalità”.

Avverso la suddetta sentenza, S.M. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 25/7/2018, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della convenzione di Ginevra del 1951, del Protocollo relativo allo statuto dei rifugiati adottato a New York nel 1967 e della Direttiva n. 2004/83/CE, sempre in relazione alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, essendosi la Corte d’appello limitata ad esprimere un giudizio di non meritevolezza, senza alcun approfondimento istruttorio, laddove come risulta da un rapporto dell’UNHCR del 2014 aggiornato al 2016 emergerebbe nel Paese d’origine del richiedente “una situazione di instabilità politica, di violazioni di diritti e di rappresaglie contro coloro che ritornano nel loro paese natale”; 2) con il secondo ed il terzo motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, avendo erroneamente la Corte d’appello ritenuto di dovere “separare” i presupposti di fatto dell’istanza di protezione umanitaria rispetto a quelli posti a fondamento della domanda di protezione internazionale, con motivazione del tutto apparente; 3) con il quarto motivo, l’omessa pronuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, in violazione dell’art. 112 c.p.c., su motivo di gravame inerente alla domanda, avanzata in via subordinata, di riconoscimento del diritto di asilo costituzionale.

2. La prima censura, vertente sulla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, è inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha anzitutto rilevato che la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato non era stata coltivata in appello, avendo il richiedente insistito sulla sola richiesta di protezione sussidiaria ed umanitaria.

Non essendo stata efficacemente censurata la suddetta statuizione, la doglianza è inammissibile.

3. Anche il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.

Invero, i motivi non colgono la ratio decidendi della decisione impugnata, avendo la Corte d’appello ritenuto che, anche alla luce di quanto verificato in relazione alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, non fosse stato dimostrato il necessario stato di vulnerabilità, per mancata indicazione di elementi individualizzanti di rilievo.

Le censure sollevate in ricorso sono generiche e volte ad una inammissibile rivalutazione nel merito della decisione.

4. Il quarto motivo è manifestatamente infondato. Con riguardo al diritto di asilo, costituzionalmente garantito, questa Corte ha già precisato che “il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3″ (Cass. 16362/2016; Cass. 11110/2019).

La Corte d’appello non ha affatto negato, come pare ritenere l’istante, che la protezione umanitaria potesse trovare, in astratto, uno spazio applicativo: ha invece escluso che potesse essere in concreto riconosciuta, essendo mancata la dimostrazione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili all’appellante.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Infine, deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a motivo di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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