Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19851 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. I, 23/07/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 23/07/2019), n.19851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24116/2018 proposto da:

N.G.E., elettivamente domiciliato in ROMA Via

Circonvallazione Clodia n. 88 presso lo studio dell’Avvocato

Giovanni Arilli, rappresentato e difeso dall’avvocato Carla Pennetta

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2018 della Corte d’appello di depositata il

18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza, ex art. 281 sexies c.p.c., n. 22/2018, depositata in data 18/01/2018, ha respinto il gravame proposto da N.G.E., cittadino della Nigeria, avverso la decisione di primo grado, che aveva respinto la richiesta dello straniero di protezione internazionale, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per sfuggire alle minacce di un gruppo di sabotatori di condutture petrolifere, avendo egli aiutato la polizia a sventare un attentato) era esclusivamente legata a questioni private e “pacificamente” non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato (tutela sulla quale infatti l’appellante neppure insisteva), non essendo stati neppure dedotti rischi di persecuzione o timori per la propria incolumità fisica, tali da non potere trovare adeguata protezione nel Paese di provenienza da parte delle Autorità locali, tanto più in ragione “della sostanziale coincidenza” tra l’interesse del richiedente e quello statuale; quanto poi alla protezione sussidiaria, era stata allegata una minaccia correlata ad una vicenda esclusivamente privatistica, non anche derivante da una situazione di violenza indiscriminata per conflitti interni nel paese d’origine; infine, quanto alla protezione umanitaria, non emergeva un particolare stato di vulnerabilità meritevole di tutela ed era impossibile un’applicazione generalizzata dell’istituto “ad un’intera categoria di soggetti qualificati dalla sola nazionalità”.

Avverso la suddetta pronuncia, N.G.E. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 18/7/2018, affidato a sei motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che la natura privatistica della persecuzione subita rendeva la stessa irrilevante ai fini della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, omettendo di verificare se le autorità statali erano effettivamente in grado di fornire adeguata protezione; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della convenzione di Ginevra del 1951, del Protocollo relativo allo statuto dei rifugiati adottato a New York nel 1967 e della Direttiva n. 2004/83/CE, sempre in relazione alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, essendosi la Corte d’appello limitata ad esprimere un giudizio di non meritevolezza, senza alcun approfondimento istruttorio; 2) con il terzo ed il quarto motivo, in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sia l’omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la Corte d’appello ignorato le allegazioni del richiedente circa gli specifici episodi di persecuzione subiti ed omesso di valutare la vicenda personale del ricorrente alla luce “della situazione attuale della Nigeria luogo nel quale continuano a registrarsi gravi violazioni di diritti umani fondamentali”; 3) con il quinto ed il sesto motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, avendo erroneamente la Corte d’appello ritenuto di dovere “separare” i presupposti di fatto dell’istanza di protezione umanitaria rispetto a quelli posti a fondamento della domanda di protezione internazionale.

2. La prima e la seconda censura, vertenti sulla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, sono inammissibili, in quanto la Corte d’appello ha anzitutto rilevato che la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato non era stata coltivata in appello, avendo il richiedente insistito sulla sola richiesta di protezione sussidiaria ed umanitaria; vero che la Corte territoriale ha poi anche affermato che erano “pacificamente” insussistenti i presupposti della domanda relativa allo status di rifugiato, ma tale statuizione deve ritenersi svolta ad abundantiam e non costituente un’autonoma ratio.

Non essendo stata efficacemente censurata la prima ed unica statuizione, le doglianze sono inammissibili.

3. Il terzo ed il quarto motivo, attinenti alla protezione sussidiaria, sono inammissibili per genericità.

Invero, la Corte d’appello, al di là del riferimento al carattere privato della vicenda narrata dal richiedente (essendo stato paventato dallo straniero il timore di ritorsioni da parte di privati), ha comunque ritenuto generico il racconto, con riguardo al rischio di morte o di danno grave, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, evidenziando che non si era fatto alcun riferimento alla impossibilità o seria difficoltà di far ricorso all’autorità pubblica per ottenere tutela a fronte delle aggressioni e minacce subite ad opera dell’organizzazione di sabotatori di condutture petrolifere.

Nel ricorso si fa soltanto riferimento alla persecuzione subita per effetto della propria decisione di contrastare l’attività “di sabotaggio nel controllo delle condutture petrolifere a (OMISSIS), oggetto di interessi economici di estremo e pericolo rilievo”.

Ma, nella specie, a fronte di tale valutazione di genericità del racconto, la doglianza in ordine alla mancanza di approfondimenti istruttori d’ufficio risulta del tutto incongrua.

4. Anche i restanti motivi sono inammissibili.

Invero, i motivi non colgono la ratio decidendi della decisione impugnata, avendo la Corte d’appello ritenuto che, anche alla luce di quanto verificato in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria, non fosse stato dimostrato il necessario stato di vulnerabilità, per mancata indicazione di elementi individualizzanti di rilievo, avendo il ricorrente soltanto fatto generico riferimento al “rischio Paese”.

Le censure sollevate in ricorso sono generiche e volte ad una inammissibile rivalutazione nel merito della decisione.

5.Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Infine, deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a motivo di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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