Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19851 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2020, (ud. 11/06/2020, dep. 22/09/2020), n.19851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 90-2019 proposto da:

F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SQUARCIALUPO N. 36, presso lo studio dell’avvocato SANTINO D’ELLA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.S.G., in proprio e nella qualità di erede di

De.Sa.Gi.; D.S.L., D.S.S., D.S.E.,

D.S.M., in qualità di figli-eredi di De.Sa.Gi.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONZA 22, presso lo studio

dell’avvocato UMBERTO DE CESARE, che li rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5162/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’1 1/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che il Tribunale di Frosinone, accogliendo la domanda di F.D. avanzata nei confronti dei coniugi De.Sa.Gi. e D.S.G. (la causa verrà riassunta a seguito del decesso del De.Sa.), dichiarò che l’attore era proprietario di un fabbricato, per averlo acquistato allo stato rustico il 30/5/1982, procedendo successivamente al suo completamento;

che la Corte d’appello di Roma, accolta l’impugnazione proposta da D.S.G., D.S.L., D.S.M., D.S.E. e D.S.S., rigettò la domanda del F.;

ritenuto che avverso la sentenza d’appello F.D. propone ricorso sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e che gli intimati resistono con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo il ricorrente deduce “nullità della sentenza o dell’intero procedimento per errore in procedendo”, in relazione “all’art. 360 c.p.c., comma 4”, assumendo che “il contratto preso in considerazione in primo grado dal Tribunale di Frosinone è una scrittura privata del 30.05.1982, mentre il contratto (scrittura privata) qualificato come preliminare nella sentenza impugnata addirittura è del 30.05.2005 (nel mentre) il contratto su cui ha deciso la sentenza della cassazione n. 4942/17 (…) è del 3.05.1982”, con la conseguenza che si era in presenza di tre contratti risalenti a tre epoche diverse; di talchè gli esponenti non erano stati posti in condizione di contraddire, mancando correlazione fra il chiesto e il pronunciato;

ritenuto che con il secondo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto:

– il Tribunale aveva disatteso l’eccezione di litispendenza avanzata dai D.S. per la non assimilabilità fra la causa prevenuta e quella sopravvenuta (la prima avente a oggetto risoluzione contrattuale e la seconda accertamento del diritto di proprietà), la Corte di Roma aveva ribaltato la decisione di primo grado, sulla scorta della sentenza della Cassazione (che aveva tenuto conto di una domanda di risoluzione riguardante un contratto preliminare del 3/5/1982 e non del 30/5/1982), “omettendo completamente la motivazione sull’oggetto della domanda “accertamento della proprietà del F.” qualificando un contratto come preliminare addirittura non ben identificato, datato 30.05.2005, riprendendolo in un altro procedimento (sentenza Cassazione n. 4942/2017) dove è diverso il petitum e la causa petendi e il contratto perchè datato 3.05.1982″;

considerato che entrambe le doglianze, unitariamente scrutinabili, non superano il vaglio d’ammissibilità per le ragioni di cui appresso:

a) in primo luogo deve rilevarsi l’improprietà di entrambe le censure, delle quali la prima evoca una nullità della sentenza o del procedimento non espressamente riferita a un’ipotesi di violazione di norma, che non può qui identificarsi nella prospettata violazione del principio della correlazione fra domanda e statuizione, niente affatto descritta dal ricorrente e la seconda, prospetta vizio motivazionale estraneo al paradignia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5;

b) la ratio decidendi della sentenza d’appello si fonda sulla sussistenza di una preclusione derivante dal giudicato, poichè, a seguito del rigetto del ricorso per cassazione, la scrittura evocata, regolante il diritto in controversia, era stata qualificata come contratto preliminare, risolto per inadempimento del F. (promittente acquirente) – pag. 6 -;

– la predetta ratio decidendi non risulta essere stata in alcun modo attinta dal complesso censuratorio, il quale, giocando su talune reiterate erronee indicazioni di data, tenta di sostenere che si sarebbe trattato di vicende negoziali diverse e che perciò solo non avrebbe potuto esercitare il proprio diritto a contraddire;

– per contro, non risulta seriamente sostenuto, che, al di là delle evidenziate discrasie, attribuibili a svista, si sia trattato di vicende plurime e fra loro diverse, essendosi il F. limitato a nudamente rilevare le anzidette erronee trascrizioni di data (peraltro, non corrisponde al vero che la sentenza d’appello abbia fatto esclusivo riferimento a un contratto del 30.5.2005, constando che, nello stesso foglio, poche righe sopra, ha indicato la data del 30.5.1982);

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore dei controricorrenti siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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