Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19851 del 05/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/10/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 05/10/2016), n.19851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21038-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 27/2012 della COMM. TRIB. REG. del FRIULI

VENEZIA GIULIA, depositata il 12/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2016 dal Consigliere Dott. LA TORRE MARIA ENZA;

udito per il ricorrente l’Avvocato BACHETTI che ha chiesto

raccoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia ricorre per la cassazione della sentenza della CTR del Friuli Venezia Giulia n. 25/7/2013 dep. 12.2.2013, emessa in relazione al rigetto dell’istanza di rimborso (presentata il 18 gennaio 2011) delle maggiori ritenute IRPEF operate da Telecom Italia s.p.a. sulle somme corrisposte a V.F., ex dipendente della società, a titolo di incentivo all’esodo alla data di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, avvenuto nell’anno (OMISSIS), all’età di 53 anni. La CTR, accertato che l’istanza presentata dal contribuente in data 23.6.2003 conteneva una diversa richiesta, fondata su differenti motivi, confermava la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente sulla base della sentenza della Corte di Giustizia europea, che aveva ritenuto l’art. 19, comma 4 bis TUIR in contrasto con i principi comunitari di pari trattamento fra uomini e donne, laddove prevedeva solo per le donne l’applicazione dell’incentivo all’esodo all’età di 50 anni. In particolare, al fine di stabilire il dies a quo dal quale decorre la decadenza per la richiesta di rimborso, la CTR ha ritenuto inapplicabili l’art. 37 e l’art. 38 TUIR – in relazione alla pronuncia della CG del 21/7/2005- e applicabile alla fattispecie ai fini della decadenza il termine di proposizione del ricorso (di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21), e ai fini della prescrizione, il termine decennale di cui all’art. 2946 c.c..

L’Intimato non si è costituito.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione di legge (D.P.R. 602 del 1973, artt. 37 e 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), in quanto, assodato che l’istanza proposta dal V. nel (OMISSIS) non atteneva al rimborso della ritenuta applicata – come espressamente affermato dalla CTR – e non era stata coltivata in sede giurisdizionale, l’istanza datata 2011, oggetto del giudizio, deve considerarsi tardiva, in quanto presentata oltre il termine di 48 mesi previsto dall’art. 38 cit., che contrariamente a quanto affermato dalla CTR è applicabile al caso di specie.

2. Il motivo è fondato.

Secondo le sezioni Unite di questa Corte (n. 13676/2014; conf. Cass. 26 febbraio 2016, n. 3793), la domanda di rimborso del credito IRPEF generato dalla maggiore trattenuta operata dal datore di lavoro sull’incentivo all’esodo in base alla norma del TUIR successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione Europea dalla sentenza della Corte di Giustizia, deve comunque essere presentata entro 48 mesi dalla data della trattenuta e non dalla data della sentenza. Perde, dunque, il diritto al rimborso il lavoratore che non abbia presentato l’istanza entro il predetto termine.

Come le stesse Sezioni Unite hanno spiegato, nella vicenda qui sub judice non si è affatto verificata l’espunzione di una norma impositiva dall’ordinamento, bensì il diverso caso di “una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea che, con effetto retroattivo analogo a quello di una sentenza di illegittimità costituzionale, ha dichiarato in contrasto con una direttiva comunitaria self executing una norma nazionale di agevolazione fiscale, ampliandone la portata soggettiva”.

In tema di rimborso delle imposte sui redditi, l’indebito tributario è infatti soggetto ai termini di decadenza o prescrizione previsti dalle singole leggi di imposta, qualunque sia la ragione della non debenza, quali l’erronea interpretazione o applicazione della legge fiscale, il contrasto con norme di diritto comunitario, ovvero uno jus superveniens con applicabilità retroattiva (Cass. n. 17009/2012; n. 5978/2006; conf. n. 17918/2004, n. 15276/2008). La scadenza del termine per richiedere il rimborso determina pertanto il consolidamento dei rapporti di dare ed avere tra contribuente ed erario e l’esaurimento dello stesso rapporto tributario (v. Cass. 9223/2011), con la conseguenza che il contenuto dello stesso non può più essere rimesso in discussione. Ne deriva che anche le richieste di rimborso dei tributi incompatibili con la normativa comunitaria, devono essere presentate entro i termini di decadenza, termini che non contrastano con le disposizioni comunitarie (v. Cass. 11316/2000, 7173/2002, 7178/2004, 2809/2005). D’altra parte, anche la CGCE ha espressamente affermato che “il diritto comunitario non vieta ad uno Stato membro di opporre un termine nazionale di decadenza alle azioni di rimborso di tributi percepiti in violazione di disposizioni comunitarie, anche se questo Stato membro non ha ancora modificato la propria normativa interna per renderla compatibile con tali disposizioni” (causa C- 228/96, fallimento Aprile). Questa regola trova la sua ragion d’essere nella superiore esigenza di garantire la stabilità e la certezza del bilancio dello Stato, sul versante delle entrate.

Ha pertanto errato la CTR a ritenere applicabile al caso di specie il termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2496 c.c..

Conclusivamente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, col rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

3. In considerazione del consolidarsi della giurisprudenza posta a base della decisione in epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo, vanno compensate le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2016

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