Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19850 del 20/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/09/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 20/09/2010), n.19850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32250/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, Via Po n.

25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI Roberto, che la

rappresenta e difende come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Flaminia n. 195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA Sergio, che

la rappresenta e difende assieme all’avvocato LALLI Claudio per

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1621/2005 della Corte d’appello di Firenze,

depositata il 29/11/2005; R.G. 2356/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza

dell’8.7.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito gli avvocati Fiorillo, per delega Pessi, e Vacirca;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al giudice del lavoro di Firenze, P.A. chiedeva che fosse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., da lei stipulato per periodo avente inizio il 12.10.98.

Accolta la domanda, il giudice adito dichiarava l’esistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dalla data indicata, con condanna del datore a risarcire il danno mediante la corresponsione della retribuzione dalla notifica del ricorso introduttivo.

Proposto appello da Poste Italiane, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 29.11.06, rigettava l’impugnazione.

Il giudice rilevava che – nell’ambito del sistema creato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare in sede di contrattazione collettiva nuove ipotesi di assunzione a termine – il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97 per fare fronte ad “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”. Ritenuto che lo stesso accordo fissava alla data del 31.1.98 l’esistenza della situazione di esigenza eccezionale aziendale e che con un ulteriore accordo del 16.1.98 tale termine era stato spostato al 30.4.98, la Corte di merito riteneva che la clausola apposta al contratto di assunzione della P. fosse nulla, in quanto intervenuta in un momento in cui era cessata la legittimazione conferita dalla contrattazione collettiva per quel tipo di clausola. In ogni caso, proseguiva la Corte di merito, non era stata data dal datore la prova che le “esigenze” erano presenti anche nell’ufficio ove era stata destinata la dipendente.

Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione nei confronti della lavoratrice, la quale si difende con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso di Poste Italiane può essere sintetizzato come segue.

Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, in quanto il giudice di merito assegnerebbe indebitamente natura eccezionale all’ipotesi di contratto a termine prevista della contrattazione collettiva applicativa di detta norma di legge, tanto da ravvisare l’esigenza di limitarne temporalmente l’efficacia.

Con il secondo motivo è dedotta violazione dell’art. 1362 c.c., e carenza di motivazione in quanto lo stesso giudice avrebbe ritenuto non rilevante l’accordo collettivo 18.1.01, avendone limitato la portata a mera funzione di legittimazione a posteriori dei contratti a termine stipulati successivamente alla scadenza del limite temporale del 30.4.98, dopo il quale era venuta meno la legittimazione autorizzatoria della contrattazione collettiva.

Con il terzo motivo Poste Italiane deduce omessa motivazione a proposito dell’eccezione di aliunde perceptum da essa formulata in sede di merito, non avendo il giudice proceduto alla sua valutazione in termini concreti.

Partendo dalla disamina dei primi due motivi di ricorso, da trattare in unico contesto in ragione del loro evidente collegamento, è necessario premettere un richiamo alla giurisprudenza di questa Corte in punto di rapporti tra la L. n. 56 del 1987, art. 23 e la contrattazione collettiva regolatrice del rapporto di lavoro dei dipendenti postali.

La costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 26.7.04 n. 14011, 7.3.05 n. 4862), specificamente riferita ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, ritiene che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 56, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato.

Questa Corte (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti stipulati in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che ha consentito l’apposizione del termine, oltre che alle fattispecie già previste dall’art. 8 del ccnl 26.11.94, anche nella evenienza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ecc Si è ritenuto, infatti, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v.

S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato. Da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati per il soddisfacimento di esigenze eccezionali ecc. stipulati dopo il 30 aprile 1998, in quanto privi di presupposto normativo.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Il giudice di merito ha fatto applicazione dei suddetti principi e, considerato che il contratto in considerazione era motivato dal soddisfacimento di esigenze eccezionali ecc., ed era riferito a periodo successivo al 30.4.98, ha ritenuto nullo il termine ad esso apposto ed ha dichiarato che dall’inizio dello stesso decorre il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Essendo al riguardo la pronunzia conforme alla giurisprudenza di questa Corte, i primi due motivi debbono essere rigettati.

Quanto al terzo motivo di ricorso, non sussiste la carenza di motivazione dedotta dalla ricorrente.

Il giudice di merito, infatti, ha rilevato che sarebbe stato onere del datore di lavoro allegare dati di fatto e circostanze a fondamento dell’eccezione in punto di percezione di reddito da parte delle lavoratoci successivamente alla cessazione del rapporto, in modo tale da attivare – ove ritenuto necessario – i poteri istruttori di ufficio riconosciuti dall’ordinamento.

Tale motivazione appare non solo congruamente articolata, ma anche conforme alla giurisprudenza di questa Corte, per la quale lo svolgimento di altra attività lavorativa è rilevabile dal giudice anche in assenza di un’eccezione di parte in tal senso, ovvero in presenza di un’eccezione intempestiva, sempre che la rioccupazione del lavoratore costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo (sentenza 21.4.09 n. 9464).

Infondato anche l’ultimo motivo, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 12,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2010

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